De Chirico e Picasso sono falsi, ma l'autentica del notaio è vera: va rivista la posizione del commerciante d'arte

Il commerciante di quadri viene raggirato sull'autenticità di un'opera? Allora, la sentenza di condanna, che riguarda anche altre opere contraffatte e messe in commercio come originali, deve essere rivista.

Il commerciante di quadri viene 'raggirato' sull'autenticità di un'opera? Allora, la sentenza di condanna, che riguarda anche altre opere contraffatte e messe in commercio come originali, deve essere rivista, anche solo parzialmente, anche solo relativamente a un singolo quadro. A stabilirlo i giudici di piazza Cavour, che - con la sentenza n. 25192 del 23 giugno scorso - chiedono alla Corte di Appello di Trieste di rivedere la propria pronuncia, analizzando le situazioni ad hoc relative a opere pittoriche precise, che potrebbero alleggerire la posizione dell'imputato. De Chirico e Picasso sì, no, forse. L'accusa, conclamata, è di avere posto in commercio opere pittoriche contraffatte, spacciandole per autentiche. Su questo, la posizione di un commerciante di quadri è chiarissima. Resta, però, all'interno di questo quadro, un 'buco nero', quello relativo a un quadro attribuito a De Chirico Piazza Italia con Arianna e quello relativo a un disegno su carta bianca, a firma Picasso raffigurante un rapporto sessuale tra uomo e donna . Per entrambe le opere, esiste non solo la presunta firma dell'artista, ma anche una dichiarazione di autenticità, firmata da un notaio. Secondo i difensori del commerciante di quadri, ciò ne rimette in gioco, complessivamente, la buonafede. Non a caso, alla Corte d'Appello di Trieste era stata chiesta anche una verifica sulle firme degli artisti e sulla veridicità dell'autenticazione. Ma questa richiesta era stata respinta. Su questo punto si sofferma la Corte di Cassazione, sottolineando la necessità di valutare, almeno su queste due opere, l'autenticità dell'attribuzione a De Chirico e a Picasso. E, di conseguenza, di riconsiderare la posizione dell'imputato. Solo e soltanto, però, per queste due opere. Ritorno a Trieste. Non è un caso che, per il resto, la condanna venga confermata dalla Cassazione. Sulla quasi totalità delle opere ritrovate, difatti, è chiaro e certificato il reato attribuito al commerciante di quadri. Ma sulle due opere più contestate, quella di De Chirico e quella di Picasso, la situazione è tutta da valutare. A prescindere che venga riconosciuta la veridicità della firma degli artisti, resta il peso dell'autentica notarile. Elemento che, secondo i giudici di piazza Cavour, avrebbe dovuto spingere la Corte d'Appello di Trieste a chiedere ulteriori approfondimenti tecnici. Non lo ha fatto, la Corte di Trieste, ma sarà obbligata a farlo ora. Perché la decisione dei giudici del 'Palazzaccio' è di annullare la sentenza limitatamente ai fatti relativi ai due quadri contestati. E di chiedere ai giudici di appello triestini di riconsiderare la posizione dell'imputato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 marzo - 23 giugno 2011, n. 25192 Presidente Gentile - Estensore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Trieste confermò la sentenza 4.3.2008 del tribunale di Udine, che aveva dichiarato R.D. colpevole del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 178, comma 1, lett. b , d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42, per avere posto in commercio o detenuto al fine di porre in commercio, come autentiche una serie di opere pittoriche contraffatte, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia. L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo 1 mancanza di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato. Osserva che con l'atto di appello aveva eccepito la sua mancanza di volontà di porre in commercio le opere ulteriori rispetto ai due quadri attribuiti a F., ed in particolare il dipinto attribuito a D.C., detenuto in attesa di restituirlo e di ottenere dal P. il rimborso della somma pagata per esso, nonché il disegno a firma Picasso, ritrovato appeso ad una parete di casa. Per tutti gli ulteriori quadri manca la motivazione sulla sua volontà di destinarli al commercio. Manca inoltre la prova che egli fosse a conoscenza della falsità delle opere sequestrate, anche per quanto concerne i due falsi F . 2 mancata assunzione di una prova decisiva in ordine alla richiesta perizia ai sensi dell'art. 220 cod. proc. pen., avene ad oggetto il dipinto firmato D.C., per accertare l'autenticità dell'opera e l'autenticità della sottoscrizione posta a tergo dell'opera medesima, nonché in ordine alla richiesta prova testimoniale. Ricorda che la firma dell'autore era stata autenticata con atto del notaio G. di Roma, e che la prova richiesta era decisiva anche per l'accertamento dello elemento psicologico, perché l'autentica notarile era elemento idoneo a configurare la buona fede del detentore del quadro. 3 mancanza di motivazione sull'entità della pena. Motivi della decisione Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere accolto solo in relazione ai fatti relativi ai dipinti di cui ai n. 4 e 10 del capo di imputazione. Il n. 4 riguarda un olio su tela intitolato Piazza d'Italia con Arianna o Malinconia torinese attribuito a D.C.G L'imputato aveva eccepito che il dipinto recava sul retro una dichiarazione di autenticità della firma dell'autore rilasciata dal notaio D.G. di Roma. Questa circostanza, secondo la difesa, da un lato provava che l'opera era autentica e, dall'altro lato, provava comunque la buona fede dell'imputato che aveva fatto legittimo affidamento sulla autentica notarile. L'imputato aveva chiesto quindi l'espletamento di una nuova perizia che accertasse sia l'autenticità dell'opera sia l'autenticità dell'autentica rilasciata dal notaio G. o comunque altri accertamenti istruttori sul punto. La corte d'appello ha rilevato che il consulente del PM prof. Pi., che era stato anche sentito nel dibattimento di primo grado, aveva escluso l'autenticità dell'opera. Di conseguenza, ha osservato che era di perspicua comprensione porsi il legittimo dubbio che anche [l'autentica notarile] possa essere contraffatta, onde la necessità di una verifica sull'autentica . Ma però proseguito affermando che si trattava di una prospettazione del tutto eventuale che, nella carenza di concreti, aggettivi dati fattuali a sostegno dell'assunto, non scardina in alcun modo le autorevoli conclusioni sul dipinto sequestrato espresse dalla consulenza del PM. Ha quindi aggiunto che ogni ulteriore approfondimento istruttoria da svolgere nella presente sede giudiziale, mirato ad un'ulteriore verifica di una sola delle molteplici opere la cui contraffazione è stata accertata, oltre a dilatare eccessivamente la durata del processo in rapporto all'economia complessiva dei fatti per i quali l'imputato è stato riconosciuto colpevole, appare del tutto esplorativo e non fondato su idonee ragioni giustificatrici di tale, ulteriore dispendio processuale . Ora, innanzitutto, dal testo della motivazione sembrerebbe che la corte d'appello abbia affermato che, in mancanza di oggettivi dati fattuali, era del tutto eventuale la prospettazione che l'autentica notarile fosse falsa, e non che la stessa fosse vera. In altre parole, sembra che la corte abbia affermato - peraltro logicamente - che in mancanza di prova contraria l'autentica notarile doveva ritenersi vera, ma allora non si comprende perché non ne abbia tratto le dovute conseguenze e comunque perché non abbia disposto i richiesti accertamenti. In ogni caso, la corte d'appello ha, in sostanza, ritenuto di non disporre il richiesto e dovuto approfondimento istruttorio per non allungare i tempi del processo e perché tanto vi erano già elementi per condannare l'imputato in relazione agli altri fatti contestati. La motivazione è manifestamente logica. In primo luogo, infatti, la corte d'appello motiva solo sull'elemento materiale della falsità dell'opera che si ricaverebbe dalla consulenza del PM ma omette di motivare sull'incidenza dell'autentica notarile sulla sussistenza della consapevolezza della falsità in capo all'imputato, ossia non fornisce alcuna indicazione delle ragioni per le quali doveva escludersi che l'imputato avesse ritenuto in buona fede l'autenticità dell'opera a causa dell'autentica notarile. In ogni modo, la motivazione avrebbe potuto avere un senso ma non essere giustificata se la corte avesse concluso per l'assoluzione per mancanza o insufficienza di prove sulla falsità o sull'elemento soggettivo, ma non può supportare una pronuncia di condanna. Infatti, la stessa corte d'appello, laddove ha riconosciuto l'esistenza di un dubbio sulla autenticità della notifica e la necessità di una verifica al riguardo, ha anche riconosciuto che, allo stato, l'elemento oggetti vo e quello soggettivo del reato non risultavano provati al di là di ogni ragionevole dubbio. In questa situazione, pertanto, non poteva pronunciare una sentenza di condanna solo per non allungare i tempi del processo e perché tanto l'imputato era già colpevole per altri episodi. Può aggiungersi che la sentenza impugnata ha anche omesso di motivare adeguatamente e congruamente sul rigetto delle specifiche eccezioni difensive, secondo le quali, dagli elementi indicati, sarebbe emerso che il R. non intendeva fare commercio del quadro attribuito a D.C., ma restituirlo al P. Lo stesso vizio di motivazione sussiste in ordine all'opera indicata nel n. 10 del capo di imputazione, e cioè al disegno su carta bianca con firma Picasso, raffigurante un rapporto sessuale tra un uomo e una donna, munito di falsa autentica. La difesa aveva specificamente eccepito non solo che si trattava di una mera riproduzione fotografica, ma comunque che non vi era alcuna prova che l'imputato avesse intenzione di porre in commercio questa opera, e che anzi vi erano elementi probatori che dimostravano la mancanza di una destinazione al commercio, dato che si trattava di un regalo personale di tale S. e che il disegno era stato trovato appeso al muro dell'abitazione del R. La corte d'appello ha omesso di motivare su queste specifiche eccezioni. Ritiene il Collegio che, per il resto, il ricorso debba essere rigettato perché verte in realtà su accertamenti in punto di fatto e su valutazioni degli elementi probatori che la corte d'appello ha fondato su congrua, specifica ed adeguata motivazione. In particolare, la corte d'appello ha congruamente ed adeguatamente motivato sugli elementi in base ai quali ha ritenuto provato che l'imputato fosse consapevole della falsità delle altre opere indicate nel capo di imputazione e che le detenesse per destinarle al commercio, attesa la sua abituale attività di commerciante di quadri. Del resto, i motivi del ricorso non investono specificamente altre singole opere, oltre alle due dianzi prese in esame. Il terzo motivo, relativo alla entità della pena, resta assorbito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente ai fatti relativi ai dipinti indicati ai nn. 4 e 10 dell'imputazione, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Trieste, per nuovo esame anche in ordine alla eventuale rideterminazione della pena. Nel resto il ricorso va rigettato. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata, limitatamente ai fatti relativi ai dipinti indicati ai nn. 4 e 10 dell'imputazione, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Trieste, anche per l'eventuale rideterminazione della pena. Rigetta il ricorso nel resto.