Il paziente muore per infezione, ma non è omicidio colposo

Viene operato e dopo un mese muore per infezione. I medici non sono responsabili perché manca la prova del nesso causale.

In caso di decesso del paziente, per valutare se sussiste responsabilità medica, è necessario sviluppare un ragionamento che chiarisca cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall'ordinamento. Dunque, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21028 del 26 maggio, conferma il precedente orientamento delle Sezioni Unite. Il caso. Tre medici venivano dichiarati, dal Tribunale di Milano, responsabili del delitto di omicidio colposo in danno a un paziente deceduto poco tempo dopo aver subito un intervento chirurgico un anno e 4 mesi di libertà controllata per il primario e un anno di libertà controllata per gli altri 2 medici collaboratori, oltre la condanna al risarcimento in solido dei danni in favore delle parti civili. Anche la Corte d'appello riteneva inadeguata la scelta terapeutica rispetto al quadro clinico del paziente, pertanto, confermava la sentenza di primo grado. La stessa Corte sottolineava la posizione di garanzia nei confronti del paziente rivestita dal primario, in quanto superiore gerarchico rispetto agli altri due collaboratori che, però, per evitare la condanna, avrebbero dovuto esprimere formale dissenso rispetto alle sue scelte terapeutiche. Disattese le regole sul giudizio di prevedibilità dell'evento nell'ambito della valutazione della colpa. Questo in sostanza il motivo, risultato fondato, del ricorso per cassazione. Infatti, il ricorso viene presentato deducendo erronea applicazione della legge penale da parte del Collegio che aveva omesso di rilevare che il batterio, responsabile dell'infezione, non era di origine intestinale il che avrebbe confermato il nesso causale tra operazione ed evento morte e che aveva confermato l'imprudenza della scelta sul tipo di intervento chirurgico da eseguire. I ricorrenti, oltre ad osservare che il paziente aveva superato brillantemente l'intervento, rimarcavano l'assenza di evidente errore clinico nella scelta effettuata dal primario, per cui non risultava esigibile la formalizzazione del dissenso da parte dei due collaboratori. È utopistico pensare che ci sia una relazione eziologica tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi. La Corte di legittimità, richiamando un importante orientamento delle sue Sezioni Unite sentenza n. 30328/02 , esclude che ci sia un modello di indagine fondato esclusivamente sulla forza esplicativa di leggi di copertura universale .I giudici con l'ermellino, specificano anche che, ai fini dell'imputazione causale dell'evento, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento che chiarisca cosa sarebbe accaduto se fosse stata posta in essere la condotta richiesta dall'ordinamento. Nel caso di specie questo, a parere della S.C., non è avvenuto. Perciò, mancando le condizioni per attribuire materialmente l'evento ai sanitari, la sentenza viene annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 - 26 maggio 2011, n. 21028 Presidente Romis - Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 18.04.2008, dichiarava S.M., P.A. e M.A. responsabili del delitto di omicidio colposo in danno del paziente C.F. e condannava il primo alla pena di anni uno mesi quattro di libertà controllata, così sostituita la sanzione detentiva di mesi otto di reclusione, il secondo ed il terzo alla pena di anni uno di libertà controllata ciascuno, così sostituita la sanzione detentiva di mesi sei di reclusione. Gli imputati venivano condannati in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili e al versamento in favore delle medesime parti civili di provvisionali immediatamente esecutive. 2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 21 luglio 2009, confermava integralmente la sentenza di primo grado. Il Collegio considerava che la scelta terapeutica di inserire una protesi in zona poplitea, effettuando un intervento di by-pass aorto popliteo, era risultata inadeguata rispetto allo specifico quadro clinico del paziente ciò in quanto C., al momento del ricovero, era affetto da arteriopatia obliterante cronica periferica, al III stadio se non al IV, era già stato sottoposto ad un by-pass aorto bisiliaco, ad un by-pass aorto femorale sinistro e ad un by-pass femoro-sovrapubico, pure questo risultato severamente occluso. La Corte evidenziava, inoltre, che il paziente aveva subito un gravissimo trauma cranico, evenienza che aveva lasciato importantissimi reliquati neurologici, ossia paralisi dell'arto superiore sinistro, paralisi di quello inferiore destro e patologia epilettica post traumatica da grave danno ischemico cerebrale. Sotto altro aspetto, la Corte territoriale considerava che trattandosi di attività di equipe chirurgica il primario S., superiore gerarchico rispetto agli altri due imputati, rivestiva una posizione di garanzia nei confronti del paziente e che non avendo i medici subordinati espresso formale dissenso rispetto alle scelte diagnostiche e terapeutiche effettuate dal superiore, anche M. e P. risultavano responsabili per l'errata scelta chirurgica del S., di effettuare un intervento di by-pass aorto popliteo. 3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione S.M. e P.A., a mezzo del difensore. Le parti deducono la nullità della sentenza impugnata, per manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e l'erronea applicazione della legge penale, laddove il Collegio afferma che l'intervento di by-pass aorto popliteo è frutto di scelta dovuta ad Imprudenza, per mancata considerazione delle complicanze settiche dell'intervento. Sotto altro aspetto, gli esponenti deducono la nullità della sentenza impugnata, ove si afferma la penale responsabilità del Dott. P., per non aver manifestato il proprio dissenso a fronte di un errore evidente da parte del S Gli esponenti ritengono che le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale siano assolutamente generiche, laddove il Collegio fa riferimento all'infezione come complicanza dell'intervento chirurgico, omettendo di rilevare che il batterio, responsabile dell'infezione che colpì il C., come accertato, non era di origine intestinale. Gli esponenti rilevano che le Linee Guida della Società Italiana di Chirurgia Vascolare propongono il by-pass extranatomico in soggetti ad alto rischio chirurgico e con addome ostile, evenienze non presenti nel caso di specie. E che la complicanza in concreto verificatasi risulta eterogenea rispetto ai rischi considerati dalle predette linee guida. Osservano i deducenti che la scelta terapeutica effettuata, se del caso, avrebbe esposto il paziente al rischio di sviluppare una infezione dovuta alla accidentale lesione della parete intestinale, evenienza non verificatasi nel caso di specie ciò in quanto il batterio isolato sul C. era di origine non intestinale. I ricorrenti ritengono che la Cotte di Appello abbia disatteso le regole sul giudizio di prevedibilità dell'evento, nell'ambito della valutazione della colpa. I deducenti rilevano che la Corte di Appello afferma che il Dott. S. avrebbe dovuto optare per l'innesto di un by-pass axillo femorale, alternativamente rispetto al by-pass aorto-popliteo osservano al riguardo che, secondo le emergenze istruttorie, detta tecnica presentava in realtà un amplissimo margine di fallimento, di talché non può ritenersi cogente la diversa scelta terapeutica ipotizzata dal perito e mutuata dalla Corte territoriale. Con specifico riferimento al nesso causale, i ricorrenti rilevano che la morte del C. non rappresentò la concretizzazione di alcuno dei rischi indicati dalle richiamate linee guida, atteso che il paziente aveva superato brillantemente l'intervento e che la scelta terapeutica effettuata dai sanitari si qualifica, pertanto, come mera occasione dell'evento, tenuto conto della natura - non intestinale - della infezione che colpì il paziente, come ex post accertata. Con riguardo alla posizione del Dott. P., viene poi osservato che in considerazione dello specifico quadro clinico del C., la scelta effettuata dal Dott. S. non palesava alcun evidente errore clinico, di talché non risultava esigibile la formalizzazione del dissenso da parte del P., rispetto alle valutazioni effettuate dal primario. In relazione al trattamento sanzionatorio, gli esponenti si dolgono della entità delle pene, e considerano che la pena inflitta al Dott. P., pari a mesi sei di reclusione, ben poteva essere sostituita nella pena pecuniaria della specie corrispondente, ex art. 53, Legge n. 689/1981. All'odierna udienza sono state acquisite le quietanze sottoscritte dalla costituite parti civili, a fronte dell'intervenuto integrale risarcimento dei danni da reato. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono fondati, per le ragioni di seguito esposte. Va preliminarmente esaminata per il suo carattere pregiudiziale - riguardando un elemento costituivo del reato - la censura, comune ad entrambi i ricorrenti, relativa al nesso causale. 4.1 Occorre soffermarsi sulle valutazioni effettuate dai giudici di primo e secondo grado, in ordine alla sussistenza del nesso di derivazione causale tra la condotta colposa che si ascrive agli imputati - in relazione all'impianto chirurgico di by pass aorto-popliteo destro - e l'evento morte. Ed invero, i giudici di merito, ispirandosi ai criteri di probabilità logica affermati dalla giurisprudenza di legittimità Cass. Sez. Un., sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Rv. 222138 , hanno svolto conformi apprezzamenti, con riferimento alla riferibilità, in termini di certezza processuale, dell'evento morte, come in concreto verificatosi, alla scelta terapeutica effettuata dai sanitari. Come noto, la Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza ora richiamata, hanno fugato le incertezze in ordine alla utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche nell'ambito del ragionamento causale. La Corte regolatrice ha considerato utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi di copertura universali, che esprimono una relazione eziologia tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi. Ed invero, nell'ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali congiunte con l'analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante. Ciò che è invece importante è che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi. Nella verifica dell'imputazione causale dell'evento occorre, cioè, dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l'agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Detta valutazione risulta di maggiore complessità in riferimento alle fattispecie omissive ovvero ogni qual volta la condotta, anche se attiva, risulti qualificata dalla rilevanza causale di condizioni negative dell'evento, in rapporto al contenuto omissivo della colpa. In tali fattispecie, qualificate dalla presenza di condizioni negative dell'evento, si rende indispensabile la costruzione di decorsi causali ipotetici il giudice, procedendo alla ricostruzione controfattuale del nesso causale, si interroga in ordine all'evitabilità dell'evento, per effetto delle condotte doverose mancate che, naturalisticamente, costituiscono un nulla . Ebbene, in conformità all'insegnamento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha da ultimo enunciato il carattere condizionalistico della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata probabilità logica . Con specifico riferimento all'accertamento del nesso di derivazione causale, la Suprema Corte ha evidenziato che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabllistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l'apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica Cass. Sez. IV sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep, 13.12.2010, Rv. 248943 . Ai fini dell'imputazione causale dell'evento, pertanto, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall'ordinamento. Ed è appena il caso di ribadire che nell'indagine causale, da effettuarsi ex post, vengono in rilievo le basi nomologiche note al momento del giudizio, mentre nell'indagine sulla colpa, che si effettua ex ante, dovendosi valutare il comportamento posto in essere dall'agente, ai fini del giudizio di rimproverabilità personale, vengono in rilievo soltanto le basi nomologiche note all'agente nel momento di realizzazione della condotta. 5. Nel caso di specie, il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte territoriale non risulta aderente alle evidenziate coordinate interpretative. Difetta, in particolare, l'individuazione della legge generale di copertura - scientifica ovvero statistica, pure integrata dalle particolarità del caso concreto, come sopra chiarito -che supporti l'indagine giudiziaria in tema di nesso causale. La Corte di Appello, invero, ha ricondotto la morte del paziente alla scelta terapeutica in concreto effettuata dai sanitari, senza chiarire le ragioni in base alle quali ha ritenuto che l'intervento, come in concreto praticato, abbia determinato la produzione dell'evento lesivo e senza esplicitare la dinamica causale, in base alla quale, la diversa scelta terapeutica ritenuta cogente, avrebbe scongiurato il verificarsi dell'episodio settico, che ha determinato il decesso del paziente. 5.1 Invero, agli imputati S. e M. si contesta di aver effettuato l'intervento chirurgico sulla persona di C.F. il omissis al P. di aver firmato il omissis la lettera di dimissione del C. dall'Istituto Clinico omissis e a tutti di avere provocato la morte del paziente, intervenuta il omissis , per complicanza emorragica dalla ferita inguinale destra e per sepsi aumentata da un moncone di sutura aortica. La Corte territoriale ha rilevato che anche a prescindere dalle indicazioni fornite dalla Società italiana di Chirurgia vascolare, che suggerivano un trattamento extranatomico, cioè una protesizzazione non aortica ma sottocutanea, la protesizzazione sottocutanea, in caso di infezione, avrebbe consentito di effettuare una diagnosi tempestiva, mentre l'infezione, a causa dell'intervento di by-pass aorto popliteo era emersa solo dopo venti giorni. La Corte di Appello ha considerato che, secondo le indicazioni fornite dai periti, l'intervento chirurgico era stato effettuato con perizia, in tempi accettabili e con tecnica corretta. Dopo avere rilevato che la gestione della complicanza settica si era palesata enormemente più difficile di quanto lo sarebbe stato in caso di protesizzazione sottocutanea, il Collegio ha affermato che l'addebito riguardava la scelta del tipo di intervento, in considerazione delle eventuali complicanze e che in caso di protesizzazione sottocutanea, come il by pass axillo femorale, l'eventuale infezione che fosse insorta, avrebbe potuto essere diagnosticata e neutralizzata con maggiore celerità. Orbene, l'apprezzamento sul ruolo salvifico della condotta omessa risulta, nel caso, del tutto assiomatico la valutazione controfattuale, in particolare, non poggia né su leggi di copertura universali neppure richiamate , tali da esprimere una relazione eziologia tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi, né su riferimenti esplicativi fondati sulla caratterizzazione del fatto storico quali l'individuazione del batterio isolato sul C. . Difettano, pertanto, le condizioni per riferire materialmente l'evento ai sanitari, odierni imputati, secondo il giudizio di elevata probabilità logica , necessario per l'affermazione di responsabilità penale. 6. Si impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, per nuovo esame della regiudicanda, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. Gli ulteriori motivi di doglianza risultano assorbiti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano, altra Sezione.