""Direttiva rimpatri"" vs ""Delitti di inottemperanza all'ordine di espulsione"": una questione controversa

di Massimo Brazzi

di Massimo Brazzi * 24 dicembre 2010 termine ultimo e inderogabile. Il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell'Unione Europea, in data 16 dicembre 2008, hanno emanato la Direttiva 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare . L'art. 20 della Direttiva, rubricato Attuazione , individua il termine ultimo e inderogabile del 24 dicembre 2010 affinchè gli Stati membri mettano in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva . Lo Stato italiano si è reso purtroppo inadempiente alla predetta Direttiva, non avendo adeguato nel termine di cui sopra l'attuale assetto normativo, che disciplina la materia dell'immigrazione, ai principi espressi dal legislatore comunitario. Pertanto risulta indispensabile fornire una chiave di lettura che possa risolvere il difficile coordinamento tra la normativa comunitaria e la disciplina interna, al deliberato fine di individuare una linea guida da adottare qualora si debba giudicare il clandestino inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio nazionale. Preliminarmente corre l'obbligo però di enunciare i principi cardine della Direttiva che possono essere così riassunti 1 il rimpatrio degli immigrati irregolari deve avvenire in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità considerando n. 2 2 le decisioni di rimpatrio dovranno essere prese a seguito di una procedura equa e trasparente , adottate caso per caso e non limitandosi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare considerando n. 6 3 cooperazione con gli Stati di appartenenza dell'immigrato da rimpatriare considerando n. 7 4 preferenza per il rimpatrio volontario rispetto al rimpatrio forzato considerando n. 10 5 stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio decisioni adottate in forma scritta, motivate e contenenti informazioni sui mezzi di ricorso esperibili, tradotte in una lingua comprensibile all'immigrato - considerando n. 11 6 strumentalità e proporzionalità delle misure coercitive considerando n. 13 7 divieto di discriminazione considerando n. 21 8 tutela del minore e della vita familiare considerando n. 22 . Il contrasto giurisprudenziale. La querelle di straordinaria attualità che si sta affrontando in questi giorni nelle Aule di Giustizia è quella relativa al trattamento da riservare al clandestino colto nel territorio nazionale in flagranza del reato p. e p. dall' art. 14, comma 5 ter o 5 quater, D. Lgs. n. 286/1998. La questione per la verità può essere scissa in due ipotesi a nel caso in cui sia stato notificato all'immigrato irregolare l'ordine di allontanamento dal territorio nazionale prima della fatidica data del 24 dicembre 2010, quid juris? b nel caso in cui, invece, il predetto ordine questorile sia stato notificato successivamente al 24 dicembre 2010, quid juris? La risposta ai casi pratici non si è fatta attendere, tanto che attualmente si possono individuare due orientamenti giurisprudenziali. Le prime sentenze in subiecta materia sono state emesse dal Tribunale di Torino in data 03.01.2011 imp. B.T. , 04.01.2011 imp. B.F. , 05.01.2011 imp. L.B.V. , 08.01.2011 imp. A.S. , che potremmo definire disapplicative della normativa interna in favore della legislazione comunitaria. Essenzialmente i motivi comuni evidenziati nelle predette sentenze sono i seguenti 1 la Direttiva comunitaria rimasta inadempiuta contiene in materia di espulsioni un contenuto chiaro, preciso e non condizionato e pertanto deve ritenersi, per la parte che interessa, self executing 2 la normativa statale in materia di espulsioni deve considerarsi recessiva rispetto alla legislazione comunitaria e pertanto la normativa interna dovrà essere disapplicata la Direttiva 115/2008/CE sancisce in materia di espulsioni un ordine inverso rispetto a quello delineato dal D. Lgs. n. 286/1998 in quanto nella legislazione comunitaria è previsto in via principale il rimpatrio volontario dell'immigrato entro un termine congruo non inferiore a 7 giorni, mentre nell'ipotesi in cui non sia possibile la partenza volontaria o sia spirato invano il termine assegnato potrà essere adottato l'ordine di allontanamento in extrema ratio ed in via residuale è previsto il rimpatrio manu militari. Invece, nell'ordinamento delineato dal D.Lgs. n. 286/1998 l'espulsione viene eseguita dal Questore mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, l'eccezione risulta costituita dal trattenimento dell'immigrato presso un C.I.E., qualora non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera, ed infine l'eccezione dell'eccezione, quando non sia stato possibile trattenere l'immigrato presso un C.I.E., ovvero sia spirato il termine massimo di permanenza, risulta essere l'emissione nei confronti dello straniero dell'ordine questorile di lasciare il territorio nazionale entro 5 giorni 3 disapplicazione della normativa interna anche in relazione agli ordini di allontanamento emessi prima del 24/12/2010 perché in insanabile contrasto con la Direttiva ed in modo particolare con il principale obiettivo della medesima di garantire i principali diritti fondamentali dell'individuo fra i quali va sicuramente annoverato il diritto alla libertà personale sul punto viene citata Cass. S.U. sent. n. 2451 del 27.09.2007 nella quale si sostiene la rilevanza, ai fini dell'art. 2 c.p., delle norme extrapenali . La sentenza del Tribunale di Verona. L'unico orientamento di segno contrario, rispetto a quello sopra evidenziato, viene sostenuto dal Tribunale di Verona con la sentenza del 18 gennaio 2011 nella quale si ritiene che la Direttiva 115/2008/CE non sia autoapplicativa in quanto rimette allo Stato di dettare la complessiva normativa di dettaglio che attui le singoli disposizioni e quindi, non essendo stata recepita dal legislatore, non potrebbe ritenersi self executing. Inoltre, secondo il Giudice di Verona, i reati di cui all'art. 14 D. Lgs. n. 286/1998 non sarebbero abrogati poiché la Direttiva esclude dal proprio ambito applicativo la disciplina dell'espulsione quale sanzione penale sul punto viene citata la sentenza della Corte di Giustizia CE Grande Sezione del 30 novembre 2009 Said Shalimovich Kadzoev - Causa C-357/09 PPU . Ancora diversa la posizione del Tribunale di Milano. Il giudice meneghino non solo ha deciso di sospendere il procedimento in corso nei confronti di un cittadino senegalese, ma constatando la non possibile coesistenza della direttiva con la legge ha rinviato il tutto alla Corte di Giustizia Europea. Rebus sic stantibus, alla Corte di Cassazione l'ardua sentenza risolutiva del contrasto giurisprudenziale! * Avvocato e Tesoriere Camera Penale di Perugia

Tribunale di Verona, sentenza 18 gennaio 2011 Giudice Piziali Fatto e diritto Nel corso dell'udienza l'imputato, a mezzo del proprio procuratore, e il Pubblico ministero hanno concordato l'applicazione di una pena da loro determinata. Questo giudice, compiuti gli accertamenti di cui sotto si dà conto, ha provveduto in conformità ad applicare la pena come determinata dalle parti, come da dispositivo trascritto in calce. Le ragioni per cui la decisione è stata presa sono le seguenti. In relazione alla responsabilità non vi sono elementi che possano indurre ad escluderla nell'ottica di cui all'art. 129 c.p.p., atteso quanto emerso dall'acquisizione del decreto di espulsione, del conseguente ordine di allontanamento, dall'accertamento compiuto in sede di arresto nonché da quanto verificato circa il precedente utilizzo di altri dati anagrafici. Per completezza di motivazione in relazione al fatto sub a , attesa la discussione in sede giurisprudenziale e dottrinaria circa l'applicabilità diretta della Direttiva 2008/115/Ce dedicata ai rimpatri, occorre osservare che la predetta direttiva, non tradotta dal legislatore dello Stato in una normativa di attuazione, non appare autoapplicativa per le norme incidenti su disposizioni di rilievo penale nazionali, atteso che rimette allo Stato di dettare la complessiva normativa di dettaglio che attui le singole disposizioni. Peraltro, neppure appare che le norme della direttiva contrastino con le previsioni della normativa nazionale che vengono in rilievo nel presente giudizio, atteso che l'unica previsione che potrebbe contrastare attiene alla previsione del termine da concedere per l'ordine che rimane tale anche nella direttiva di allontanamento volontario, che non potrà essere inferiore ai sette giorni, mentre ora secondo la legislazione nazionale è di cinque. Tuttavia, a parte il fatto che anche rispetto alla previsione di quel temine la direttiva rimette allo Stato la definizione dell'istituto, ammettendo, ad esempio, che possa essere ridotto in presenza di alcuni presupposti da definire nel dettaglio o, addirittura, che possa essere escluso e proprio per soggetti come l'attuale, che per sottrarsi all'ordine ha reso false dichiarazioni , in ogni caso, nel caso di specie, il termine di cinque giorni è stato concesso nell'ottobre del 2010 allorché era indiscutibilmente corretto e il reato si è consumato già alla data del 24 ottobre 2010, per cui nulla consente di disapplicare retroattivamente il provvedimento amministrativo e tanto meno avrebbe rilievo l'esclusione del reato alla data di entrata in vigore della direttiva visto che lo stesso si era già consumato prima ed era stata pure già interrotta la permanenza al 25.10.2010. Del tutto e anche più gravemente errata è, invece, l'interpretazione secondo cui per effetto della Direttiva le sanzioni penali previste dall'ordinamento italiano per l'inottemperanza ad ordini di espulsioni sarebbero radicalmente abrogate perché in contrasto con la normativa dettata dalla direttiva, che prevederebbe come unico strumento limitativo della libertà il trattenimento. Questa interpretazione è del tutto errata per molti motivi. Il primo è che la direttiva, come mostrano le stesse finalità esplicitate nei propri considerando , non aveva ad oggetto il tema relativo agli interventi sanzionatori di natura penale previsti negli ordinamenti di alcuni Stati comunitari. E ciò è tanto vero che la direttiva addirittura esclude dal proprio ambito applicativo la disciplina dell'espulsione quale sanzione penale. Il secondo è che il contenuto espresso della direttiva e la sua intitolazione mostrano senza ombra di dubbio che ciò di cui si occupa è la disciplina delle procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare art. 1 della direttiva , per questo aspetto regolando anche il delicato istituto che ha trovato ampia e differenziata applicazione negli ordinamenti degli stati membri cioè il trattenimento. Istituto che nulla ha a che fare con le sanzioni penali previste dagli ordinamenti statuali per condotte connesse alla clandestinità, senza che neppure si possa legittimamente dire che la sanzione penale dettata per punire comportamenti tenuti nell'ambito di una procedura di espulsione sarebbe in realtà un trattenimento mascherato, in quanto funzionale a realizzare l'espulsione. Infatti, non è assolutamente vero che la pena detentiva irrogata allo straniero inottemperante all'ordine di espulsione sia finalizzata a garantirne l'espulsione anzi è vero il contrario. Lo straniero clandestino detenuto in esecuzione di una pena non può essere espulso. Inoltre, la detenzione è disposta per la una sua specifica condotta, cui lo Stato legittimamente attribuisce rilievo penale, ma soprattutto quella sanzione ha un contenuto e una finalità del tutto e radicalmente diverse dal trattenimento. E, a questo riguardo, è essenziale prendere atto che la direttiva, lungi dal vietare la possibilità di sanzioni penali per condotte quali l'inottemperanza ad un ordine di espulsione, in realtà semmai le ammette, perché all'art. 8 prevede la possibilità che lo Stato adotti tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio , tra le quali non si vede perché non possano essere ricomprese anche la minaccia di sanzioni penali per il soggetto inottemperante. Sanzioni previste, ad esempio, in Italia, anche per i cittadini italiani che inottemperino ad un ordine della pubblica autorità in alcuni settori. Ma la riprova che è del tutto errato dedurre l'incompatibilità tra la previsione nazionale di una pena detentiva per l'inottemperanza ad un ordine di espulsione e le norme della direttiva dedicate al trattenimento deriva da una pronuncia della stessa Corte di giustizia della CE resa proprio in relazione alla stessa Direttiva rimpatri. Con sentenza della Corte Grande Sezione del 30 novembre 2009 domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Administrativen sad Sofia-grad - Bulgaria - Said Shalimovich Kadzoev Huchbarov Causa C-357/09 PPU è stato affermato che il periodo durante il quale una persona è stata collocata in un Centro di permanenza temporanea in forza di una decisione adottata a norma delle disposizioni nazionali e comunitarie relative ai richiedenti asilo non deve essere considerato un trattenimento ai fini dell'allontanamento ai sensi dell'art. 15 della direttiva 2008/115 . Ossia, addirittura rispetto ad un trattenimento disposto nell'ambito di una procedura di asilo, diversa dalla procedura di trattenimento finalizzato all'espulsione, la Corte ha affermato che quel periodo di limitazione della libertà non può essere equiparato al trattenimento ai fini dell'allontanamento disciplinato dall'art. 15 della direttiva. Si vede come tanto più una detenzione disposta per sanzionare una condotta che lo Stato ritiene integri un reato non possa essere equiparata al trattenimento a fini di allontanamento. Ancora, se ve ne fosse bisogno, il possibile contrasto tra la direttiva e l'art. 10 bis del d.lgs. n. 286/1998, nazionale, che addirittura punisce la semplice condizione di clandestino, è già stato portato all'attenzione della Corte costituzionale, la quale, oltre a dire in quel caso che la questione non aveva rilievo perché in quel momento non era ancora decorso il termine per l'adempimento della direttiva, ha però voluto anticipare che in realtà un contrasto non deriverebbe comunque dall'introduzione del reato oggetto di scrutinio, quanto piuttosto - in ipotesi - dal mantenimento delle norme interne preesistenti che individuano nell'accompagnamento coattivo alla frontiera la modalità normale di esecuzione dei provvedimenti espulsivi in particolare, art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998 norme diverse, dunque, da quella impugnata . E quella dell'accompagnamento coattivo è norma diversa anche da quelle qui in esame che puniscono l'inottemperanza all'obbligo di allontanamento nel termine dato. Parimenti corretto è il riconoscimento della continuazione tra i due fatti perché è evidente che le false generalità siano state date per sottrarsi all'obbligo di espulsione, nonché delle generiche per il corretto comportamento processuale. Reato più grave si deve ritenere quello sub b . Quanto alla misura della pena le parti hanno dunque convenuto il seguente calcolo pena base per il fatto sub b anni 1 di reclusione aumento per la continuazione ad anni 1 e mesi 3 di reclusione riduzione per il rito mesi 10 di reclusione. Nell'ambito del potere di valutazione della congruità della pena e precisato che sotto questo profilo la verifica rimessa al giudice non deve essere condotta ricercando una esatta corrispondenza tra pena convenuta e pena che il giudice applicherebbe nel caso concreto, ma valutando se la pena convenuta dalle parti, e per ciò stesso frutto di un accordo volto ad attenuarne l'entità, sia tale da garantire la funzione propria della pena fissata dall'art. 27 della Costituzione oppure se vanifichi tale funzione. Alla luce di ciò la pena indicata dalle parti è apparsa coerenti ai criteri di cui all'art. 133 c.p. letti nell'ottica rieducativa voluta dall'art. 27 Cost. citato, tenendo conto del corretto comportamento processuale, della tipologia dei reati, della pregna di un solo precedente per il reato di clandestinità, ma tenendo conto anche della specifica portata rieducativa propria nel fatto che l'imputato ha mostrato di accettare l'imputazione chiedendo l'applicazione della pena e contribuendo alla sua definizione. Correttamente calcolate sono le riduzioni operate. P.Q.M. Visti gli artt. 444 e segg. c.p.p. Applica all'imputato la pena complessiva di mesi 10 di reclusione, come convenuto dalle parti in sede di accordo.