Tempi lunghi per avere la linea telefonica nello studio: risarcito l’avvocato

Confermata la responsabilità dell’azienda per il disservizio subito dal professionista. Quest’ultimo però deve accontentarsi di un ristoro economico contenuto, cioè 3mila euro, mentre invece in primo grado i Giudici gli avevano riconosciuto 10mila euro. Decisiva la mancanza di prove sulle difficoltà nella gestione del lavoro e sulla conseguente contrazione del reddito.

Tempi lunghi per l’attivazione della linea telefonica nello studio legale. Legittima la pretesa risarcitoria avanzata dall’avvocato. Quest’ultimo deve però accontentarsi di soli 3mila euro – molto inferiori ai 10mila euro stabiliti in Tribunale – decisiva la mancanza di prove sulle gravi difficoltà di gestione del lavoro e dei rapporti con i clienti e con altri studi professionali e sulla teorica contrazione di reddito , connessa a una ipotetica riduzione della possibilità di acquisire nuovi clienti Cassazione, ordinanza n. 1105/21, depositata oggi . All’origine della vicenda giudiziaria l’insoddisfazione del titolare di uno studio legale in Campania per la tardiva attivazione della linea telefonica . Sotto accusa, ovviamente, l’azienda di telecomunicazioni, che viene condannata in primo grado a versare all’avvocato ben 10mila euro come risarcimento . In secondo grado non è messa in discussione la responsabilità della società, che tuttavia ottiene una riduzione del risarcimento, fissato in soli 3mila euro. Per i Giudici d’Appello è decisiva la mancanza di prove concrete sui presunti danni riportati dallo studio legale. Inevitabile la reazione dell’avvocato che col ricorso in Cassazione pone in evidenza l’indubbia responsabilità dell’azienda telefonica per il disservizio da lui subito e mostra di ritenere insoddisfacente la determinazione equitativa del risarcimento stabilito in Appello. Per il titolare dello studio legale non sono sufficienti 3mila euro, anche considerando i 10mila euro stabiliti in Tribunale. Per i Giudici della Cassazione, invece, in secondo grado si è fatta corretta applicazione del potere di liquidazione equitativa del danno , soprattutto ricordando che è ammesso il ricorso alla valutazione equitativa di un danno patrimoniale di impossibile o difficile quantificazione . In questa vicenda è risultato dimostrato solo il danno patrimoniale risultante da una nota che riferiva di una revoca di mandati con richiesta di restituzione di documentazione e quindi il risarcimento del danno, seppure liquidato in via equitativa, andava rapportato solo alle sopradette circostanze fattuali , osservano i Giudici del Palazzaccio. A depotenziare la pretesa del titolare dello studio legale, in sostanza, il fatto che non sono stati allegati indici rilevatori delle gravi difficoltà di gestione del lavoro e dei rapporti con i clienti e con altri studi professionali . Assenti anche le prove su una teorica situazione di isolamento in cui si è trovato lo studio professionale e su una presunta contrazione di reddito connessa a una riduzione della possibilità di acquisire nuovi clienti . Impossibile, poi, anche ipotizzare danni derivanti dalla perdita di chance , poiché il legale non ha dimostrato, neppure in via presuntiva o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuno dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile fosse conseguenza immediata e diretta . Respinte, quindi, le osservazioni proposte dal professionista, anche perché generiche nello specifico egli ha solo sostenuto che il notevole periodo di inattività dell’utenza telefonica ha comportato notevoli disagi nella possibilità di interagire con i propri clienti .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 26 novembre 2020 – 21 gennaio 2021, n. 1105 Presidente Amendola – Relatore Gorgoni Ritenuto che Ro. Pu. ricorre per la cassazione della sentenza n. 754/2018 della Corte d'Appello di Salerno del 24 maggio 2018, pubblicata il 28 maggio 2018, affidandosi ad un solo motivo, illustrato con memoria. Resiste con controricorso TIM SPA, già TELECOM Italia SPA. Il Tribunale di Salerno, cui si rivolgeva Ro. Pu. per ottenere la condanna di TIM SPA al risarcimento dei danni per il ritardo con cui essa aveva provveduto ad allacciare la linea telefonica del suo nuovo studio professionale, accoglieva la domanda e, di conseguenza, condannava la convenuta a pagare Euro 10.000,00 a titolo risarcitorio, oltre alle spese di giudizio, La Corte d'Appello, con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, investita del gravame da TIM, accoglieva parzialmente l'appello e rideterminava l'importo dovuto, a titolo risarcitorio, a Ro. Pu., da parte dell'appellante in Euro 3.000,00. Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. Considerato che 1. Il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione all'art. 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale accolto ii gravame avverso la sentenza di prime cure che non aveva chiarito in che modo avesse determinato in Euro 10.000,00 l'importo dovuto dalla TIM a titolo risarcitorio, con una motivazione - alla luce della documentazione depositata, in ragione dell'indubbia responsabilità della Telecom del disservizio rappresentato nel giudizio di primo grado, applicando le coordinate sopra individuate per la determinazione equitativa del risarcimento, lo stesso può essere quantificato in Euro 3.000,00 - che, a sua volta, non lasciava intendere perché il criterio equitativo da essa applicato fosse migliore di quello cui aveva fatto ricorso il giudice di primo grado, in quanto pur ben definendo i criteri in base ai quali scaturiscono le decisioni in base alla cosiddetta equità giudiziale espressione del più generale potere di cui all'art 115 cod. proc. civ., la Corte non li attaglia al caso concreto . La Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione del potere di liquidazione equitativa del danno. Considerando, infatti, che è ammesso il ricorso alla valutazione equitativa di un danno patrimoniale di impossibile o difficile quantificazione, a condizione che la ricorrenza di esso sia certa, la Corte territoriale ha ritenuto che fosse stato dimostrato solo il danno patrimoniale risultante dalla nota dello Studio tecnico Sc. che riferiva di una revoca di mandati con richiesta di restituzione di documentazione, concludendo che il risarcimento del danno, seppure liquidato in via equitativa, andava rapportato solo alle sopradette circostanze fattuali precisava, infatti, che non erano stati allegati indici rilevatori delle gravi difficoltà di gestione del lavoro, dei rapporti con i clienti e con altri studi professionali, della situazione di isolamento in cui si era trovato lo studio professionale, né ricorreva prova di alcuna contrazione di reddito o di una riduzione della possibilità di acquisire nuovi clienti. Tantomeno risultavano provati i danni derivanti dalla perdita di chance, non avendo il ricorrente dimostrato, neppure in via presuntiva o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuno dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile fosse conseguenza immediata e diretta. Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, il giudice a quo ha fatto corretta applicazione delle norme denunciate in epigrafe, in considerazione del fatto che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ma che ciò non esime la parte interessata - per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso - dall'onere di dimostrare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno, di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre. Il ricorrente fonda la sua censura su affermazioni del tutto apodittiche ed indimostrate - il ricorrente ha assolto all'onere ex art. 2697 c.c. p. 6 , il notevole periodo di inattività dell'utenza telefonica ha comportato notevoli disagi ad esso appellato nella stessa possibilità di interagire con i propri clienti p. 7 - che non sono idonee a dimostrare che la Corte territoriale sia incorsa nell'errore denunciato, risultando piuttosto volte a contestare l'esito degli accertamenti operati dal giudice a quo quanto alla ricorrenza del danno, in primo luogo, e in ordine alla sua quantificazione, in secondo luogo. Non ha pregio neppure la censura mossa alla sentenza impugnata per non avere ritenuto integrati gli estremi della perdita di chance. La perdita di una chance patrimoniale, la quale postula la preesistenza di una situazione positiva , i.e. di un quid su cui sia andata ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa così Cass. 11/11/2019, n. 289939 , è vero che, secondo l'insegnamento di questa Corte, potrebbe ricorrere in ipotesi quale quella in esame, così come è vero che potrebbe essere liquidata equitativamente Cass. 03/08/2017, n. 19342 , ma sarebbe stato necessario dimostrarne la configurabilità, rispondente ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza Cass. 08/06/2018, n. 14916 Cass. 29/01/2019, n. 2358 . Ciò non è avvenuto nel caso di specie e, quindi, nessun appunto può muoversi alla decisione impugnata. 2. Il ricorso è, dunque, rigettato. 3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 4. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l'obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.