Esclusa la responsabilità del Comune per l’incidente di cui è rimasto vittima un automobilista. Evidente, secondo i Giudici, la scarsa attenzione dell’uomo alla guida.
Orario, visibilità della buca e velocità della vettura inchiodano l’automobilista. Colpa sua l’essere finito col veicolo nel grosso avvallamento presente sulla strada. Di conseguenza, è priva di fondamento la richiesta risarcitoria da lui avanzata nei confronti del Comune titolare del tratto viario in cui si è verificato l’episodio Cassazione, ordinanza numero 25460, sezione sesta civile, depositata oggi Scenario della vicenda è un piccolo paese in Campania. Protagonista un uomo che cita in giudizio il Comune chiedendo il risarcimento dei danni da lui patiti a seguito di un sinistro stradale che aveva visto la vettura da lui condotta finire «in una grande buca esistente sul manto stradale». La domanda viene respinta prima dal Giudice di pace e poi dal Tribunale. Esclusa, in sostanza, la responsabilità del Comune per la disavventura subita dall’automobilista. Per i Giudici di secondo grado è acclarato che «il Comune era titolare del tratto di strada in questione». Allo stesso tempo, però, per i giudici è anche evidente come l’incidente sia addebitabile alla distrazione del conducente, poiché «la buca non poteva non essere vista da un attento utente della strada». Il legale dell’automobilista contesta però la decisione del Tribunale. In prima battuta egli pone in evidenza che «durante il giudizio di primo grado il Comune aveva manifestato la volontà di transigere la causa sborsando la somma di 1.500 euro», somma rifiutata dall’automobilista. Su questo punto, però, dalla Cassazione respingono la visione difensiva, chiarendo che «offrire una possibilità di transazione della vertenza può essere dettata dalle ragioni più varie, e comunque, non è di per sé indice di un qualche riconoscimento di responsabilità». Analizzando poi i dettagli della vicenda, i magistrati ritengono acclarati il fatto storico dell’incidente e i danni riportati dalla vettura. A fare chiarezza però sono alcuni dettagli fondamentali, ossia «l’ora diurna in cui l’incidente si è verificato e le dimensioni della buca, che non poteva non essere vista da un attento utente della strada», sottolineano dalla Cassazione. Peraltro, è emerso anche che «la vettura stava procedendo ad una velocità non adeguata al tipo di strada percorsa». Legittimamente, quindi, si è concluso che «l’incidente è da ricondurre ad esclusiva responsabilità del conducente», concludono dal ‘Palazzaccio’.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 1 ottobre – 12 novembre 2020, numero 25460 Presidente Scoditti – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Anumero Ce. convenne in giudizio il Comune di Mondragone, davanti al Giudice di pace di Carinola, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui patiti in un sinistro stradale nel quale la vettura da lui condotta era finita in una grande buca esistente sul manto stradale, riportando danni. Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Espletata prova per testi, il Giudice di pace rigettò la domanda, rilevando in via preliminare che l'attore non aveva provato che il Comune di Mondragone fosse realmente proprietario del tratto di strada in questione, con conseguente titolarità dell'obbligo di custodia. 2. La pronuncia è stata impugnata dall'attore soccombente e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 5 ottobre 2017, ha rigettato l'appello ed ha compensato le spese dei due gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ricorre Anumero Ce. con atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Mondragone con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articolo 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 2051, 2053 e 2697 cod. civ., nonché dell'art 10 del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267. Osserva il ricorrente che durante il giudizio di primo grado il Comune di Mondragone aveva manifestato la sua volontà di transigere la causa sborsando la somma di Euro 1.500, somma rifiutata dal danneggiato. Tale comportamento, non valutato dal Tribunale, sarebbe in evidente contrasto con la linea difensiva assunta nel giudizio, nel quale il Comune aveva continuato a ribadire di non essere titolare della strada. 1.1. Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata, infatti, ritenendo sul punto fondato l'appello, ha superato la decisione di primo grado ed ha riconosciuto che il Comune di Mondragone era titolare del tratto di strada in questione, per cui le contestazioni sul punto sono da ritenere superate. Ciò non toglie, però, che la linea difensiva di una parte la quale offra una possibilità di transazione della vertenza possa essere dettata dalle ragioni più varie e comunque, essa non è di per sé indice di un qualche riconoscimento di responsabilità. Per cui la lamentata violazione di legge non sussiste. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3 e numero 5 , cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 2051 e 2700 cod. civ. in relazione all'obbligo di custodia ed al verbale redatto dalla Polizia municipale in occasione dell'evento. 2.1. Osserva al riguardo il Collegio che la lamentata omissione non è decisiva, proprio in considerazione di quanto già rilevato a proposito del primo motivo né è sostenibile una violazione dell'articolo 2700 cit. per il fatto che l'offerta transattiva sia contenuta in un atto pubblico. Analogamente, nessuna violazione dell'articolo 2700 cit. sussiste in rapporto al verbale della Polizia municipale, posto che non sono stati contestati né il fatto storico dell'incidente né i danni riportati dalla vettura dell'attore. 2.2. Quanto alla violazione dell'articolo 2051 cod. civ., il Collegio ritiene la doglianza, se non inammissibile, comunque infondata. 2.3. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull'obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1. febbraio 2018, nnumero 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'articolo 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'articolo 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, numero 2345, e 3 aprile 2019, numero 9315 , sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno. 2.4. Tanto premesso, si osserva che la sentenza ha affermato, con una ricostruzione in fatto non rivisitabile in questa sede, che, in considerazione dell'ora diurna in cui l'incidente si era verificato e delle dimensioni della buca, questa non potesse non essere vista da un attento utente della strada ha considerato irrilevante la deposizione del teste, siccome generica, ed ha ritenuto altresì che la vettura del danneggiato stesse procedendo ad una velocità non adeguata al tipo di strada percorsa. Ha perciò concluso che l'incidente era da ricondurre ad esclusiva responsabilità del conducente, mancando addirittura la prova del nesso di causalità. A fronte di tali argomentazioni il motivo in esame - pur soffermandosi in modo analitico nella ricostruzione della giurisprudenza di questa Corte relativa all'articolo 2051 cit. ed alla sussistenza dell'obbligo di custodia anche in relazione alle strade - in effetti non contesta la motivazione della sentenza del Tribunale, limitandosi all'elencazione di una serie di principi astratti, in sé corretti ma scollegati dal caso concreto. Il tutto senza contare che la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in relazione alle cose inerti quali la buca stradale grava sul danneggiato l'onere di dimostrare la pericolosità della cosa, prova che la sentenza in esame ha affermato non essere stata fornita dall'odierno ricorrente sentenza 13 marzo 2013, numero 6306 . Non sussistono, perciò, né le violazioni di legge né le lacune di motivazione lamentate dal ricorrente. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.