Conosciuta e già percorsa l’area dissestata: niente risarcimento per la vittima del capitombolo

Respinta la richiesta avanzata da una donna nei confronti dei proprietari dell’area che l’ha vista vittima di una caduta. Decisiva per i Giudici la constatazione che ella conosceva le precarie condizioni del luogo, rese peggiori dalla pioggia.

Affrontare a piedi un tratto di strada che si presenta in condizioni precarie, peggiorate poi da una pioggia intensa, richiede particolare attenzione. A maggior ragione, poi, quando le carenze di quell’area sono arcinote alla vittima del capitombolo. Impossibile, quindi, riconoscere il risarcimento , se la persona danneggiata non ha dato prova di avere tenuto una condotta caratterizzata da adeguata prudenza Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 20341/20, depositata oggi . L’incidente risale a un pomeriggio del gennaio 2005, quando una donna inciampa e cade a terra a causa di un gradino dissestato mentre attraversa un’area di proprietà di una famiglia. Passaggio successivo è la richiesta di risarcimento avanzata dalla vittima del capitombolo, che si vede dare ragione in Tribunale con ristoro economico fissato in quasi 13mila euro per i danni da lei riportati, e cioè contusione del cranio, del viso, della mano e distorsione della caviglia . Di parere diverso sono però i Giudici d’Appello. Questi ultimi escludono il diritto della persona danneggiata a ottenere un risarcimento, poiché ella nell’interrogatorio formale ha affermato di frequentare abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro e di conoscere lo stato dissestato dello stesso, stato, peraltro, a suo giudizio peggiorato il giorno dell’incidente, giacché aveva piovuto . Di conseguenza, se ne deve trarre la conclusione che la donna non avesse prestato la dovuta attenzione alla propria condotta, secondo i giudici d’Appello. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla donna e mirato a vedere riconosciuto un adeguato risarcimento. Il suo legale contesta la decisione della Corte d’Appello, decisione poggiata esclusivamente su un’affermazione della sua cliente in sede di interrogatorio formale , mentre non è stato dato alcun rilievo alla prova testimoniale assunta in primo grado da cui è emerso che la donna è caduta su un’area rialzata rispetto al manto stradale pieno di brecciolino, area dissestata, al pari, del resto, del gradino su cui ella era inciampata, gradino che risultava sbriciolato come se fosse saltato un pezzo d’asfalto . Il legale richiama poi anche talune risultanze documentali ignorate in Appello, ossia la relazione di servizio della Polizia municipale, secondo cui l’area in questione presentava diverse asperità ed un gradino dissestato, essendo inoltre priva della copertura bituminosa e le risultanze della consulenza che ebbe a riconoscere la presenza del nesso causale tra modalità del sinistro e danni fisici riportati dalla donna . Per chiudere il cerchio, infine, il legale evidenzia che l’area luogo del sinistro già da anni presentava carenze di manutenzione, le quali, per la loro consistenza, non possono ritenersi frutto di un breve lasso di tempo . Indiscutibile, quindi, secondo il legale, il nesso eziologico tra la cosa e l’evento di danno, ed evidente perciò la responsabilità del custode – cioè i proprietari dell’area, in questo caso – che non ha posto in essere tutte quelle attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti e idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa . Per i giudici della Cassazione, però, va confermata la decisione presa in Appello, poiché si è appurato che l’attraversamento dell’area è avvenuto, da parte della donna, nella consapevolezza della pericolosità dell’area stessa . Decisivo, come detto, il riferimento all’ interrogatorio della persona danneggiata, la quale ha ammesso di attraversare abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro e di conoscere lo stato dissestato dell’area, peraltro, a suo dire, peggiorato il giorno dell’incidente, giorno in cui, oltretutto, aveva piovuto . In sostanza, a fronte di tale quadro, la donna avrebbe dovuto percorrere quell’area con ancora maggiore circospezione , cosa che, invece, non ha fatto. E questo dettaglio è sufficiente, confermano dalla Cassazione, per negarle il risarcimento. Corretta, quindi, l’applicazione del principio secondo cui in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso , soprattutto tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela . In sostanza, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 luglio – 28 settembre 2020, n. 20341 Presidente De Stefano – Relatore Guizzi Ritenuto in fatto - che Ro. Er. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 2269/19, del 3 aprile 2019, della Corte di Appello di Roma, che - accogliendo il gravame principale esperito da Da., Ma. Ga. e Pa. Ro., avverso la sentenza n. 13002/12, del Tribunale di Roma respingendo, invece, per quanto qui ancora di interesse, quello incidentale della Er. - ha rigettato la domanda risarcitoria, proposta dall'odierna ricorrente, in relazione ad un incidente occorsole, il 25 gennaio 2005, alle ore 16 15, per essere inciampata e caduta in terra, a causa di un gradino dissestato, mentre percorreva un'area di proprietà delle predette Ro. - che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di aver adito - su tale presupposto - il Tribunale di Roma,, per chiedere il ristoro dei danni patiti, avendo ella riportato, a seguito della descritta caduta, contusione del cranio, del viso, della mano bilaterale e distorsione della caviglia destra , stimando il quantum debeatur nella misura di Euro 15.000,00 - che le Ro. si costituivano in giudizio, essendo autorizzate a chiamare in manleva la società Ina Assitalia S.p.a. oggi Generali Italia S.p.a. , con la quale una delle convenute aveva stipulato una polizza fabbricati, oltre Gi. e Ma. Sb., nonché Gi. Delle Vi., presunti proprietari dell'area interessata dal sinistro - che istruita la causa anche mediante prova per interpello e testi, oltre che attraverso lo svolgimento di CTU medico-legale, il primo giudice, dichiarato il difetto di legittimazione passiva o meglio, di titolarità, dal lato passivo, del rapporto controverso degli Sb. e del Delle Vi., condannava le convenute, in solido, a risarcire il danno all'attrice, quantificandolo in Euro 12.675,50, oltre accessori, ponendo a loro carico le spese del giudizio - che esperito gravame, in via di principalità, dalle convenute/soccombenti le quali, subordinatamente al rigetto della domanda risarcitoria, reiteravano la richiesta, non accolta dal primo giudice, che Ina Assitalia, in caso di conferma della condanna comminata a loro carico, fosse tenuta a rimborsare a Da. Ro. la quota di sua spettanza del quantum debeatur , nonché, in via incidentale, dalla stessa Er., il giudice di appello, in riforma della sentenza impugnata, escludeva la responsabilità delle convenute - che a tale esito esso perveniva sul rilievo che, nell'interrogatorio formale, l'attrice aveva affermato di frequentare abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro e di conoscere lo stato dissesto dello stesso stato, peraltro, a suo giudizio peggiorato il giorno dell'incidente, giacché aveva piovuto , sicché, secondo il giudice di appello, se ne doveva trarre la conclusione che l'odierna ricorrente non avesse prestato la dovuta attenzione - che avverso la decisione della Corte capitolina ricorre la Er. sulla base - come detto - di un unico motivo - che esso denunzia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ. - che, in particolare, la ricorrente lamenta come la Corte territoriale abbia motivato la propria decisione - peraltro, in pochissime righe - esclusivamente su un'affermazione dell'odierna ricorrente in sede di interrogatorio formale , non avendo dato alcun rilievo alla prova testimoniale assunta in primo grado dalla quale emergeva che la Er. era caduta su un'area rialzata rispetto al manto stradale pieno di brecciolino , area dissestata , al pari, del resto, del gradino sul quale era inciampata la donna, che risultava sbriciolato come se fosse saltato un pezzo d'asfalto , né a talune risultanze documentali - che, difatti, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non ha preso in considerazione né la relazione di servizio della Polizia Municipale del Comune di Roma secondo cui l'area in questione presentava diverse asperità ed un gradino dissestato, essendo inoltre priva della copertura bituminosa , né le risultanze della CTU, mentre il giudice di prime cure - ritenendo le conclusioni raggiunte dall'ausiliario il risultato di un'accurata disamina dei fatti in contestazione , effettuata con corretti criteri e iter logico ineccepibile - ebbe a riconoscere la presenza del nesso causale tra modalità del sinistro e danni fisici riportati da Ro. Er. - che la Corte territoriale, inoltre, mentre ha dato rilievo alle risultanze dell'interrogatorio formale, avrebbe completamente ignorato una fondamentale ammissione contenuta nell'atto di appello , visto che nello stesso si afferma che l'area luogo del sinistro già da anni presentava carenze di manutenzione , le quali, per la loro consistenza, non possono ritenersi frutto di un breve lasso di tempo - che, pertanto, poiché nel caso - qual è il presente - di azione esperita ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., l'attore ha solo l'onere di provare il nesso eziologico tra cosa ed evento di danno, prescindendo la responsabilità del custode da qualsiasi connotato di colpa, ed essendo a suo carico la prova del fortuito, potendo esso consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato, ma solo quando esso costituisca la causa esclusiva del danno, la sentenza impugnata avrebbe violato e falsamente applicato la norma suddetta - che, infatti, secondo l'orientamento di questa Corte - conclude la ricorrente - la condotta del danneggiato non integra il caso fortuito qualora il custode non abbia posto in essere tutte quelle attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio del neminem leadere idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa - che Da., Ma. Ga. e Pa. Ro. hanno resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto, sul rilievo che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ., presuppone che siano incontestati i fatti di causa, mentre è proprio la ricostruzione fattuale dell'accaduto ciò che la ricorrente contesterebbe, fermo restando, poi, che l'accertamento circa l'avvenuto attraversamento dell'area, da parte della Er., pur nella consapevolezza della pericolosità della stessa, costituirebbe riprova che il contegno della vittima, in quanto doloso , si è posto come causa esclusiva del sinistro - che anche Generali Italia già Ina Assitalia ha resistito, con proprio controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità - per violazione del principio di autosufficienza e, comunque, perché teso a sollecitare un non consentito riesame del merito della controversia - o comunque il rigetto, essendo, in ogni caso, il motivo di ricorso non fondato, perché la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. presuppone che il danno sia cagionato dalla res senza intervento del fatto colposo del danneggiato , la sussistenza del quale è stata accertata nel caso che occupa - che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, inizialmente per il 26 marzo 2020 e, poi, per il 16 luglio 2020 - che la ricorrente Er. ha depositato due diverse memorie, con le quali ha insistito nelle proprie tesi, in particolare svolgendo argomentazioni a confutazione della proposta del relatore - che anche la controricorrente Generali Italia ha depositato memoria, ribadendo le proprie conclusioni. Considerato in diritto - che il ricorso è inammissibile, ritenendo questo collegio di non condividere - per le ragioni di cui meglio si dirà di seguito - i rilievi svolti dalla ricorrente in replica alla proposta del consigliere relatore - che, difatti, il solo motivo in cui si articola la presente impugnazione - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ. - si colloca, come non hanno mancato di notare gli stessi controricorrenti, fuori dall'ipotesi di cui all'art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ., visto che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa - che è quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che la ricorrente si duole del fatto che la Corte capitolina abbia dato esclusivo rilievo all'interrogatorio libero dell'attrice, disattendendo altre risultanze istruttorie deposizione testimoniale, relazione della Polizia Municipale e consulenza tecnica d'ufficio - è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità da ultimo, ex multis , Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03 Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01 - che, invero, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina cd. vizio di sussunzione postula che l'accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito così Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01 - che, in ogni caso, la sentenza impugnata - nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto, emerso dall'interrogatorio dell'odierna ricorrente, che ella attraversasse abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro, e che conoscesse lo stato dissesto dello stesso, peraltro, a suo dire, peggiorato il giorno dell'incidente, giorno in cui, oltretutto, aveva piovuto ciò che, quindi, avrebbe dovuto indurre la Er. ad ancora maggiore circospezione - si è conformata al principio secondo cui, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2019, n. 9315, Rv. 653609-01 si veda anche, con riferimento a danni originati dalla presenza di buche nella pavimentazione stradale, Cass. Sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01 Cass. Sez. 6-3, ord. 22 dicembre 2017, n. 30775, Rv. 647197-01 - che, pertanto, la Corte territoriale non ha affatto disatteso - come sostenuto dalla ricorrente, in particolare, nella duplice memoria depositata in vista dell'adunanza camerale del 16 luglio - i principi enunciati, da questa Corte, circa la verifica del nesso causale, con specifico riferimento alla fattispecie di cui all'art. 2051 cod. civ, fermo restando che solo l'errore compiuto dal giudice di merito nell'individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ. , restando, invece, inteso che l'eventuale errore nell'individuazione delle conseguenze che sono derivate dall'illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01 - che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo - che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando Ro. Er. a rifondere sia a Da., Ma. Ga. e Pa. Ro., che alla società Generali Italia S.p.a, le spese del presente giudizio, che liquida, per le prime, nella misura di Euro 2.400,00, nonché, per la seconda, Euro 3.000,00, oltre - per tutti - Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.