Danno cagionato da cose in custodia: quando la condotta della vittima integra il caso fortuito?

La Suprema Corte richiama alcuni principi che delineano la responsabilità oggetto dell’art. 2051 c.c., specificando quando il comportamento del danneggiato può integrare il caso fortuito ed escludere, quindi, il nesso eziologico tra cosa e danno.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 18100/20 depositata il 31 agosto. Il Giudice di Pace di Avellino respingeva la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dall’attrice, la quale era caduta battendo fortemente il ginocchio a causa di un tombino in ferro sconnesso presso un’area di parcheggio antistante un centro commerciale. Tale pronuncia veniva confermata dal Tribunale di Avellino, investito del gravame della stessa danneggiata. In tale sede, il Tribunale aveva ritenuto invocabile la responsabilità di cui all’ art. 2051 c.c. e fornita la prova liberatoria del caso fortuito , identificato nel fatto dell’attrice. Insoddisfatta, la danneggiata si rivolge alla Corte di Cassazione, lamentando il fatto che il Tribunale le avesse attribuito l’esclusiva responsabilità del fatto, sostenendo che, al contrario, se non fosse stato presente il dislivello tra il pavimento ed il tombino la caduta non si sarebbe verificata. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, premettendo che il caso fortuito può bene essere costituito dalla condotta della vittima , poiché anch’essa è in grado di escludere il nesso eziologico tra cosa e danno. A tal proposito, la Corte riprende alcuni principi giurisprudenziali, i quali hanno posto l’attenzione sulla responsabilità oggetto dell’art. 2051 c.c Da tali principi si evince, in primo luogo, che integra il caso fortuito tutto ciò che non è prevedibile in modo oggettivo o tutto ciò che rappresenta un’ eccezione alla normale sequenza causale in secondo luogo, che il caso fortuito è integrato dalla condotta della vittima quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione ” della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell’evento lesivo in terzo luogo, che la natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità da cose in custodia si basa sul dovere di precauzione a cui è soggetto il titolare della signoria sulla cosa custodita infine, qualora manchi l’intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di essa siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e va considerato ritenuto integrato il caso fortuito . Richiamati tali principi, i Giudici di legittimità rilevano che dalla loro applicazione al caso di specie emerge che il Tribunale non abbia affatto violato le norme che regolano la responsabilità oggetto dell’art. 2051 c.c., accertando la mancanza di un nesso di causalità tra la sussistenza del tombino e dell’avvallamento e la caduta della ricorrente, considerando che la situazione dei luoghi e l’orario diurno avrebbero dovuto indurre la stessa ad evitare la caduta. Per queste ragioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 giugno – 31 agosto 2020, n. 18100 Presidente Amendola – Relatore Gorgoni Rilevato che F.M. ricorre per la cassazione della sentenza n. 861/2018 del Tribunale di Avellino, pubblicata il 7 maggio 2018, articolando un solo motivo, illustrato con memoria. Resistono con autonomi controricorsi Unipolsai Assicurazioni, Immobiliare Centro S.r.l La ricorrente espone in fatto di avere convenuto, dinanzi al Giudice di Pace di Avellino, Immobiliare Centro S.r.l. per ottenerne la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti quando, nell'area di parcheggio antistante il centro Commerciale GS in Torrette di Mercogliano, cadeva battendo violentemente il ginocchio a causa di un tombino in ferro, sconnesso, non visibile e neppure segnalato. La convenuta eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, stante che il contratto di gestione del parcheggio con la società SE.PAM Coop. arl obbligava quest'ultima a rispondere dei danni a persone o cose provocati nello svolgimento del servizio, chiedeva, pertanto, la chiamata in causa della SE.PAM e dell'Aurora Assicurazioni ai fini della manleva. La SE.PAM restava contumace si costituiva in giudizio solo la UGF Assicurazioni, già Aurora Assicurazioni, che chiedeva il rigetto della domanda, deduceva la nullità della chiamata in causa per difetto di procura ad litem nonchè la mancanza di responsabilità della Immobiliare Centro. Il Giudice di Pace, con sentenza n. 360/2014, rigettava la domanda attorea. La sentenza veniva confermata dal Tribunale di Avellino, investito del gravame dall'odierna ricorrente che, deducendo la natura privata del parcheggio, in quanto tale suscettibile di essere sempre vigilato e mantenuto in buone condizioni, lamentava a che il giudice di prime cure avesse posto a suo carico un obbligo di prestare massima attenzione, pur esistendo una oggettiva situazione di dissesto dell'area di parcheggio e che l'avesse ritenuta l'unica responsabile dei danni occorsi, nonostante non avesse fatto un uso improprio della cosa b che la sua eventuale disattenzione non poteva assurgere ad evento idoneo ad esonerare il custode da responsabilità, mancando i caratteri dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità d che la società convenuta non fosse stata considerata responsabile, anche se non aveva assolto l'onere di dimostrare di avere osservato tutte le regole cautelari che si imponevano alla gestione del parcheggio. Affermava che il tombino non era visibile nè prevedibile, essendo aderente alle strisce delimitanti i posti auto, e che dalle foto esaminate dal giudice di prime cure non emergevano la dimensione e la tipologia del tombino, ma solo un leggero avvallamento non prevedibile nè visibile. Deduceva che le testimonianze erano state chiare e lineari, attendibili e coerenti con le altre emergenze istruttorie. Il Tribunale, ritenuta invocabile la responsabilità ex art. 2051 c.c., valutava corretto che il giudice di primo grado avesse ritenuto fornita la prova liberatoria del caso fortuito, identificato nel fatto della danneggiata, quindi, confermava la sentenza di prime cure. Avendo giudicato sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. Considerato che 1. Con il mezzo impugnatorio la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1227, 2043 e 2051 c.c La tesi sostenuta è che il Tribunale abbia erroneamente applicato l'art. 1227 c.c., attribuendole l'esclusiva responsabilità dell'accaduto, giacchè la sua condotta, quand'anche ritenuta colposa, avrebbe dovuto tutt'al più essere considerata concausa dell'evento di danno, perchè senza il dislivello tra il pavimento ed il tombino la caduta non vi sarebbe stata. La responsabilità del custode era stata invece esclusa per la ricorrenza del caso fortuito, identificato nel fatto della vittima, che, per essere tale, avrebbe dovuto essere imprevedibile da parte del custode, posto che una condotta imprevedibile della vittima non è necessariamente colposa, perchè negligenza ed imprevedibilità non si implicano a vicenda la diligenza avrebbe dovuto essere computata con riguardo al danneggiato, onde verificare se la condotta in concreto tenuta fosse stata diligente, cioè quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza, mentre l'imprevedibilità avrebbe dovuto essere riferita al custode, al fine di stabilire se, con un giudizio ex ante, egli avrebbe potuto ragionevolmente attendersi quella condotta da parte della vittima. A fronte di condotte prudenti ed imprevedibili o prudenti e prevedibili la responsabilità del custode non avrebbe potuto, infatti, essere esclusa l'esclusione avrebbe avuto ragione d'essere piuttosto nel caso in cui le condotte fossero state imprudenti e imprevedibili o, in parte, quando fossero risultate imprudenti e prevedibili. La ricorrente, consapevole che l'accertamento circa la prevedibilità e diligenza della condotta è un accertamento di fatto, lamenta che il giudice nel caso di specie lo abbia omesso, limitandosi a ritenere che la causa della caduta fosse la disattenzione della vittima, la quale, se avesse usato l'ordinaria diligenza si sarebbe avveduta, di giorno, in una situazione illuminata, del piccolo avvallamento. In sostanza, il Tribunale avrebbe preso in considerazione la condotta della vittima negligenza , ma non anche quella del custode imprevedibilità . Va premesso che il caso fortuito, che ben può essere costituito dal comportamento della vittima, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, è stato sottoposto ad un profondo esame da tre pronunce di questa Corte regolatrice, cui si intende dare seguito Cass. 01/02/2018, nn. 2478, 2480, 2482. Tali pronunce, e quelle successive che vi si sono conformate da ultimo, cfr., ad esempio, Cass. 08/10/2019, n. 25028 , hanno messo a fuoco i seguenti caratteri della responsabilità ex art. 2051 c.c a in primo luogo, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente, ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale imprevedibilità quindi intesa come obiettiva inverosimiglianza dell'evento b il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente c il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità da cose in custodia si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare tuttavia, l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà ex art. 2 Cost. , che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, di tal modo che, quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, l'indagine eziologica sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela d quando manchi l'intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di essa siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e va considerato ritenuto integrato il caso fortuito. Applicando tali principi alla vicenda per cui è causa, pur dovendosi premettere che non è compito di questa Corte stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione possibile dei fatti nè di condividerne la giustificazione, dovendo solo verificare se la giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento Cass. 17/06/2009, n. 14098 , si ritiene che, nel caso di specie, il Tribunale non abbia affatto violato le norme di legge che regolano il regime della responsabilità ex art. 2051 c.c. ed abbia fatto buon governo dei principi della giurisprudenza di questa Corte, ritenendo accertata la mancanza di un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell'avvallamento e la caduta, posto che la situazione dei luoghi e l'orario diurno erano prova del fatto che l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta il che è conforme ai principi in precedenza richiamati. Nessuna argomentazione difensiva risulta svolta a supporto della pur dedotta violazione dell'art. 2043 c.c La memoria, depositata dalla ricorrente in vista della odierna Camera di Consiglio, non offre argomenti per modificare le suesposte conclusioni. Dalle argomentazioni difensive svoltevi si evince in maniera assai evidente che alla loro base è stata assunta una premessa in iure contrastante con la revisione organica cui è stata sottoposta la materia da parte di questa Corte e cioè che l'art. 2051 c.c. ponga una presunzione di colpa a carico del custode che deve essere vinta con la prova da parte di quest'ultimo di avere tenuto un comportamento diligente p. 2 della memoria . 2. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. 3. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle società controricorrenti, liquidandole in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.