Danni a “decorso occulto” (da emotrasfusione): da quando decorre la prescrizione?

L’accertamento del momento in cui ad un paziente viene resa nota l'esistenza della sua malattia, da solo, non è sufficiente per desumerne che a partire da quel momento il paziente sia anche consapevole della causa della malattia. Pertanto, in mancanza di ulteriori elementi, l'exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno consistito nella contrazione di una malattia infettiva, causata da un fatto illecito, non può farsi decorrere dal momento della sola comunicazione al paziente dell'esistenza della malattia.

È molto chiara la pronuncia qui in esame della Sez. VI Civile della Cassazione ordinanza n. 14480/20, depositata il 9 luglio , che in modo lucido affronta il delicato tema della prescrizione inerente i danni cosiddetti a decorso occulto”. Il caso danni a decorso occulto” da emotrasfusione . La cronologia degli eventi è importante essendo la decisione in commento interamente incentrata sulla problematica del momento dal quale inizia a decorrere la prescrizione in caso di danni cosiddetti a decorso occulto”. Nella fattispecie, si discuteva del danno relativo ad una infezione epatite C contratta a seguito di una emotrasfusione cui la parte attrice si era sottoposta nel 1983. Ma solo nel 2012 quindi, molti anni dopo vi sarebbe stato un primo atto interruttivo della prescrizione, cui seguiva, nel 2013, la citazione in giudizio del Ministero della Salute. In questo quadro, il Tribunale e la Corte d’appello rigettavano la domanda risarcitoria per intervenuta prescrizione. In particolare, la Corte territoriale osservava che già nel 1997 l’attrice aveva piena contezza della malattia e della sua origine trasfusionale”. Affermazione che tuttavia, come si vedrà tra poco, non sarà condivisa dagli Ermellini, specialmente nella parte in cui si fa riferimento alla conoscenza dell’origine della malattia. Seguiva il ricorso per cassazione. Da quando decorre la prescrizione in queste ipotesi peculiari? La decisione della Corte d’appello viene criticata perché il diritto al risarcimento del danno patito in conseguenza di una emotrasfusione con sangue infetto, come in tutti i casi di danni cosiddetti a decorso occulto , decorre non dal momento in cui il danno si sia concretamente verificato, ma dal momento in cui il danneggiato può percepirne da un lato, l'esistenza dall'altro, la sua riconducibilità al fatto ingiusto commesso da un terzo. E secondo la ricorrente il contagio ebbe un andamento silente per lunghi anni, e solo nel 2008 si verificò una precipitazione della situazione clinica , sicché solo in tale occasione la ricorrente stessa seppe ufficialmente di essere ammalata di epatite C , e che la causa di tale malattia fu la trasfusione cui si sottopose 25 anni prima. Decisivo il momento in cui si ha contezza non solo del danno ma anche della sua derivazione causale. Le critiche della ricorrente sono condivise dalla Suprema Corte. Infatti, gli Ermellini hanno più volte ribadito che, nel caso di danni a decorso occulto, l' exordium praescriptionis va individuato nel momento in cui il danneggiato, con l'ordinaria diligenza esigibile dal cittadino medio, sia in grado di avvedersi non solo dell'esistenza del danno, ma anche della sua derivazione causale dalla condotta illecita d'un terzo. La violazione dell’art. 2935 c.c. Decorrenza della prescrizione . Ebbene, ciò detto, i Giudice d’appello, nella loro motivazione, non affrontano quest’ultimo aspetto vale a dire, quello della derivazione causale , con ciò delineando un vizio della sentenza per violazione dell’art. 2935 c.c. disposizione secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere . La sentenza impugnata, infatti, da un lato, dichiara di aver accertato in fatto una serie di circostanze dimostrative della sola conoscenza, da parte della paziente, dell'esistenza della malattia, ma non della sua genesi causale e, dall'altro lato, ha tuttavia concluso, sulla base di quelle circostanze, che la paziente conoscesse non solo l'esistenza della malattia, ma anche la sua genesi causale. Circostanza, quest’ultima, che però non emerge dai documenti agli atti. Il principio di diritto espresso dagli Ermellini. Dunque, nel cassare con rinvio la decisione impugnata, la Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto L’accertamento del momento in cui ad un paziente viene resa nota l'esistenza della sua malattia, da solo, non è sufficiente per desumerne che a partire da quel momento il paziente sia anche consapevole della causa della malattia. Pertanto, in mancanza di ulteriori elementi, l' exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno consistito nella contrazione di una malattia infettiva, causata da un fatto illecito, non può farsi decorrere dal momento della sola comunicazione al paziente dell'esistenza della malattia .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 20 febbraio – 9 luglio 2020, n. 14480 Presidente Scoditti – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2013 B.R. convenne dinanzi al Tribunale di Milano il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di una infezione da virus HCV, contratta in conseguenza d’una emotrasfusione cui si era sottoposta nel 1983. 2. Con sentenza 4.7.2016 il Tribunale di Milano rigettò la domanda, ritenendo prescritto il diritto. Con sentenza 19.10.2017 n. 4398 la Corte d’appello di Milano rigettò il gravame proposto dalla parte soccombente. La Corte d’appello condivise il giudizio di intervenuta estinzione del diritto al risarcimento del danno prescrizione, sul presupposto che - il contagio avvenne nel 1983 - il primo atto interruttivo fu compiuto del 2012 - la vittima sin dal 1997 aveva piena contezza della malattia, e della sua origine trasfusionale . 3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.R. con ricorso fondato su due motivi. Il Ministero della salute ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043, 2935 e 2947 c.c Deduce che il diritto al risarcimento del danno patito in conseguenza di una emotrasfusione con sangue infetto, come in tutti i casi di danni cosiddetti a decorso occulto , decorre non dal momento in cui il danno si sia concretamente verificato, ma dal momento in cui il danneggiato può percepirne da un lato l’esistenza, e dall’altro la sua riconducibilità al fatto ingiusto commesso da un terzo. Nel caso di specie, deduce ancora la ricorrente, il contagio da lei contratto ebbe un andamento silente per lunghi anni, e solo nel 2008 si verificò una precipitazione della situazione clinica , sicché solo in tale occasione la paziente seppe ufficialmente di essere ammalata di epatite C , e che causa della malattia fu la trasfusione cui si sottopose 25 anni prima. In precedenza, ed in particolare nel periodo intercorso fra il 1983 ed il 1997, gli esami cui si era sottoposta avevano evidenziato soltanto alterazione di taluni valori ematici, circostanza di per sé non sufficiente ad integrare la consapevolezza necessaria circa l’esistenza di un danno ingiusto, e di conseguenza a far scattare il decorso del termine di prescrizione. La corte d’appello, conclude la ricorrente, ha dunque errato nel ritenere che la semplice conoscenza dell’esistenza d’una malattia fosse di per sé sufficiente a far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti di chi quella malattia aveva causato. 1.1. Il motivo è fondato. Questa Corte ha già ripetutamente affermato che, nel caso di danni a decorso occulto, l’exordium praescriptionis va individuato nel momento in cui il danneggiato, con l’ordinaria diligenza esigibile dal cittadino medio, sia in grado di avvedersi non solo dell’esistenza del danno, ma anche della sua derivazione causale dalla condotta illecita d’un terzo ex multis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 13745 del 31/05/2018, Rv. 649040 - 01 . Nel caso di specie la sentenza impugnata ha prestato un ossequio solo apparente a tale principio. La Corte d’appello infatti, ha esordito affermando che l’attrice era consapevole del danno lamentato e della sua riferibilità all’evento lesivo specifico ossia alle trasfusioni di sangue praticatelle nel 1983 sin dal 1997 . Tuttavia, dopo aver compiuto la suddetta affermazione, la sentenza impugnata passa ad elencare le fonti di prova dalle quali ha tratto la dimostrazione della consapevolezza, in capo alla danneggiata, della riconducibilità causale della sua malattia alla trasfusione del 1983. Ed in questo elenco la sentenza dà atto di aver esaminato - una consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale risultava che nel 1993 alla odierna ricorrente venne diagnosticato un innalzamento lieve delle transaminasi - tre esami ematici, eseguiti nell’arco di un quadriennio dal 1991 al 1994 , i quali pure evidenziavano la permanenza di elevate transaminasi - una analisi di laboratorio del 1997, la quale rilevò la presenza di anticorpi anti-HCV - una analisi del 1998, all’esito della quale la paziente risultò positiva per la ricerca del genoma virale HCV-RNA - una analisi del 2007 all’esito della quale la paziente risultò positiva alla ricerca degli anticorpi anti-HCV. 1.2. Tutti gli atti elencati dalla Corte d’appello certamente consentivano di affermare che la paziente fosse a conoscenza di essere ammalata. Da quegli atti, tuttavia, per come descritti dalla Corte d’appello in sentenza, non risulta affatto che la paziente, oltre a sapere di essere ammalata, sapesse anche, o potesse sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza, che causa della malattia fosse la trasfusione eseguita nel 1983. Secondo quanto riferito dalla stessa Corte d’appello, nel caso di specie l’istruttoria aveva consentito di acquisire documenti comprovanti che la paziente sino al 1994 aveva un alto livello di transaminasi, e dal 1997 aveva sviluppato anticorpi anti-HCV. Nessuno dei documenti elencati nella sentenza, tuttavia, per come riassunti nella motivazione, lascia intravedere o supporre che a quelle diagnosi avesse fatto seguito anche la sicura possibilità, per la paziente, di collegare tali sintomi con la trasfusione del 1983. La Corte d’appello, in definitiva, è effettivamente incorsa nel denunciato vizio di falsa applicazione dell’art. 2935 c.c La sentenza impugnata, infatti, da un lato dichiara di aver accertato in fatto una serie di circostanze dimostrative della sola conoscenza, da parte della paziente, dell’esistenza della malattia ma non della sua genesi causale e dall’altro ha concluso, sulla base di quelle circostanze, che la paziente conoscesse non solo l’esistenza della malattia, ma anche la sua genesi causale. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, la quale nell’esaminare l’appello proposto da B.R. applicherà il seguente principio di diritto l’accertamento del momento in cui ad un paziente viene resa nota l’esistenza della sua malattia, da solo, non è sufficiente per desumerne che a partire da quel momento il paziente sia anche consapevole della causa della malattia. Pertanto, in mancanza di ulteriori elementi, l’exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno consistito nella contrazione di una malattia infettiva, causata da un fatto illecito, non può farsi decorrere dal momento della sola comunicazione al paziente dell’esistenza della malattia . 2. Il secondo motivo di ricorso resta assorbito. 3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.