Il danno da perdita della vita non è risarcibile

La giurisprudenza ha escluso la risarcibilità del c.d. danno da perdita della vita”. La morte di una persona infatti può costituire un danno non patrimoniale per chi le sopravvive ma non per chi viene a mancare.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13261/20, depositata il 1° luglio. Il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda di risarcimento proposta da un uomo per il decesso del figlio e della moglie in un incidente stradale. Veniva però rigettata la domanda di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale danno da perdita del diritto alla vita patito dal figlio e a lui trasmesso iure hereditario . La decisione veniva confermata anche in appello. Secondo i giudici infatti il ragazzo sarebbe deceduto pochissimo tempo il sinistro e non vi era contezza del fatto che in tale periodo fosse cosciente. La questione è dunque giunta all’attenzione della Suprema Corte. La decisione impugnata risulta immune da censure essendosi uniformata al precedente giurisprudenziale secondo cui non è risarcibile nel nostro ordinamento il danno da perdita della vita” , poiché non è sostenibile che un diritto sorga nello stesso momento in cui si estingua chi dovrebbe esserne titolare SS. UU. n. 15350/15 . Il ricorrente ha invocato un precedente giurisprudenziale Cass. Civ. n. 1361/14 che riconosce la risarcibilità del danno da perdita della vita e che risulta però isolato e superato dal summenzionato insegnamento delle Sezioni Unite. In conclusione, la Corte non può che rigettare il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 30 gennaio – 1 luglio 2020, n. 13261 Presidente Scoditti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Nel 2010 G.M. convenne dinanzi al Tribunale di Venezia la società Carige Assicurazioni s.p.a. che in seguito muterà ragione sociale in Amissima Assicurazioni s.p.a. d’ora innanzi, ovunque ricorrente, la Amissima , esponendo che - era padre di G.A. - il 4.4.2002 il proprio figlio, all’epoca quindicenne, perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale, avvenuto mentre il ragazzo era trasportato su un veicolo a motore di proprietà del padre e condotto dalla madre, T.P. , anch’essa deceduta nell’occasione. Chiese pertanto la condanna della società convenuta al risarcimento del danno patito iure proprio e jure hereditario in conseguenza del tragico evento. Tra gli altri danni, per quanto in questa sede ancora rileva, l’attore domandò il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla vittima primaria, ed il cui credito risarcitorio era stato a lui trasmesso jure hereditario. 2. Tale ultima domanda venne rigettata dal Tribunale di Venezia, sezione di San Donà di Piave, con sentenza 28.11.2014 n. 2566. La Corte d’appello di Venezia con sentenza 25.8.2017 n. 1696 rigettò, su questo punto, il gravame proposto da G.M. . Ritenne la Corte d’appello che G.A. era purtroppo deceduto pochissimo tempo dopo il sinistro che non vi era contezza che in tale periodo di tempo fosse stato cosciente, e che pertanto potesse avere acquisito e trasmesso al padre un credito risarcitorio. 3. Ricorre per cassazione avverso tale sentenza G.M. , con ricorso fondato su due motivi. La Amissima ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, congiuntamente, sia il vizio di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sia quello di nullità della sentenza sia la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonché degli artt. 2, 3, 32 Cost Nella illustrazione del motivo si sostiene - che l’attore aveva chiesto, sia in primo grado che in appello, la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno patito da G.A. in conseguenza della perdita del diritto alla vita, ed il cui credito risarcitorio si era trasmesso jure hereditario all’odierno attore e che nondimeno la Corte d’appello aveva trascurato di pronunciarsi su tale domanda - che, in ogni caso, la Corte d’appello nell’escludere la sussistenza del danno jure hereditatis avrebbe disatteso i principi stabiliti dalla sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014 di questa corte - che, ancora, la Corte d’appello ha errato nel negare che la vittima primaria avesse acquisito, e trasmesso al padre jure hereditario, il diritto al risarcimento del danno morale, patito nell’intervallo fra le lesioni e la morte deduce che tale danno va risarcito a prescindere dall’esistenza di una lesione della salute, e che il relativo risarcimento è dovuto anche nel caso in cui la vittima primaria sia trascorsa dall’infortunio alla morte in stato di incoscienza invoca, al riguardo, le sentenze di questa Corte n. 1716 del 7 febbraio 2012, e n. 13.530 dell’11 giugno 2009 . 1.1. Il motivo è infondato in tutti i profili in cui si articola. Nella parte in cui lamenta il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto alla vita patito dalla vittima primaria, e da questa trasmesso jure hereditario all’odierno ricorrente, il motivo è in primo luogo inammissibile, giacché tale domanda non risulta formulata nel primo grado di giudizio. In secondo luogo il motivo è infondato perché la Corte d’appello, richiamando a p. 6, decimo rigo, della motivazione la decisione pronunciata dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 15350 del 22/07/2015, ha per ciò solo mostrato di recepirne e condividerne l’insegnamento, ovvero che non è risarcibile nel nostro ordinamento il danno da perdita della vita , poiché non è sostenibile che un diritto sorga nello stesso momento in cui si estingua chi dovrebbe esserne titolare. In terzo luogo, e risolutivamente, anche a volere ritenere - in ipotesi - che il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alla decisione con cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno negato la risarcibilità del c.d. danno da perdita della vita sia stato talmente generico da non assolvere l’onere della motivazione, resterebbe il fatto che la suddetta pretesa, se fosse stata esaminata nel merito si sarebbe dovuta comunque rigettare. Dal punto di vista del diritto civile, infatti, la morte d’una persona può costituire un danno non patrimoniale per chi le sopravvive, e non per chi viene a mancare e la diversa opinione sostenuta nella isolata decisione invocata dal ricorrente Cass. 23.1.2014 n. 1361 , come accennato, non può essere più condivisa dopo la pronuncia delle Sezioni Unite sopra ricordata, per l’appunto intervenute a comporre il contrasto. Sicché, anche a supporre che la sentenza impugnata sia effettivamente incorsa in una omessa pronuncia, dovrebbe comunque trovare applicazione il principio secondo cui il vizio di omessa pronuncia non può mai condurre alla cassazione della sentenza impugnata, quando la questione non esaminata dalla sentenza d’appello era comunque infondata in punto di diritto, sicché la cassazione della sentenza con rinvio non potrebbe mai condurre ad una decisione diversa Sez. 5 -, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017, Rv. 644892 - 01 Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 5729 del 11/04/2012, Rv. 622281 - 01 Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010, Rv. 611365 - 01 . 1.3. Nella parte, infine, in cui il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto necessario, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla vittima primaria tra le lesioni e la morte, lo stato di coscienza della vittima, il motivo è parimenti infondato, alla luce dei principi già affermati da questa Corte nell’ampia motivazione dell’ordinanza pronunciata da Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 32372 del 13.12.2018, a cui in questa sede si può fare rinvio. 2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto assorbita, invece di esaminarla, la questione relativa alla estinzione per confusione del credito risarcitorio a lui spettante jure haereditario. 2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, dal momento che, avendo la Corte d’appello escluso che la vittima primaria avesse acquisito e trasmesso al padre un credito risarcitorio, diviene irrilevante stabilire se nel caso di specie operasse il principio dell’estinzione dell’obbligazione per confusione. D’un credito inesistente, infatti, è vano discorrere se possa estinguersi tanto per confusione, quanto per qualsiasi altra causa. 3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 . P.Q.M. - rigetta il ricorso - condanna G.M. alla rifusione in favore di Amissima s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 7.400, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014 n. 55, ex art. 2, comma 2 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di G.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.