Non c’è vita senza chances

È meramente apparente, perché non segue il perimetro del danno e non consente di cogliere il fondamento della decisione, a fronte di considerazioni che risultano inidonee ad escludere la configurabilità del giudizio, la motivazione della sentenza con cui si esclude la configurabilità del danno da perdita di chance - da intendersi come il sacrificio della possibilità di un risultato migliore” - per omessa informazione di neoplasia e ritardato trattamento terapeutico sulla base della mera inevitabilità del decesso, omettendo di valutare se sussistesse la possibilità un precoce follow up oncologico, e quindi di un diverso percorso diagnostico e terapeutico che consentisse una diversa progressione della malattia e eventualmente una maggiore sopravvivenza in vita.

La chance non va identificata con la probabilità statistica di sopravvivenza, consistendo la specificità di tale profilo di danno nella privazione della possibilità di sopravvivere più a lungo e/o con minori sofferenze. Tale in sintesi il contenuto della ordinanza della Corte di Cassazione numero 12928 depositata il 26 giugno 2020, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Fatti di causa. Il giudizio trae origine da una domanda di risarcimento dei danni proposta all’indomani del decesso di un uomo da parte della convivente, dei figli, della madre e dei fratelli, i quali chiamarono l’ASL a risarcire il danno prodotto dalla mancata comunicazione al loro congiunto di una patologia tumorale. In giudizio, dedussero che nel 2000 l’uomo era stato ricoverato in ospedale in seguito ad un incidente stradale che l’esame istologico effettuato in seguito a splenectomia in quell’occasione aveva rilevato un linfoma non Hodgkin a localizzazione splenica e che la malattia non era stata inserita nella scheda rilasciata al momento della dimissione che due anni dopo, nel 2002, in seguito ad accertamenti, l’uomo aveva scoperto di avere un linfoma non Hodgkin in sede polmonare al IV stadio che l’uomo era poi deceduto nel 2005, dopo essere stato sottoposto a numerose terapie. La domanda giudiziale chiedeva dunque il risarcimento dei danni derivati dall’omessa informazione , che aveva ritardato gli accertamenti di quasi due anni, sia iure hereditario che iure proprio in subordine si chiedeva il risarcimento dei danni da perdita di chances di sopravvivenza. La domanda veniva respinta sia in primo, che in secondo grado. In primo grado, con la motivazione che nella cartella clinica era presente il referto istopatologico con l’indicazione della patologia dunque, che ne era stata consentito la piena conoscenza ed era da escludersi la riconducibilità dei danni all’omissione dei sanitari, essendosi invece frapposto, come elemento interruttivo, il comportamento negligente del paziente. In secondo grado, la Corte, pur riconoscendo, come sostenuto dagli appellanti, che il giudice del primo grado avrebbe dovuto accertare l’inadempimento dei sanitari all’obbligo di fornire indicazioni circa il follow up della malattia cioè i controlli medici connessi , rigettava comunque l’appello dichiarando di seguire il principio della ragione più liquida per la ragione assorbente data dall’esclusione del rapporto di causalità tra le omissioni dei sanitari e il decesso dell’uomo. I congiunti ricorrono in Cassazione mediante due motivi uno degli appellati si costituisce proponendo appello incidentale, i cui motivi, riguardando la liquidazione delle spese, verranno rimessi al giudice del rinvio. Il nesso causale va sempre accertato, sebbene possa giovarsi di elementi presuntivi. Il primo motivo è dichiarato inammissibile riguardo alle censure proposte ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. cioè perché troppo generico nel riferimento alle norme che si assumono violate e sostanzialmente teso ad una rivalutazione nel merito della questione. Il motivo è poi dichiarato infondato, laddove afferma e ne contesta il mancato riconoscimento in sentenza un nesso causale presunto tra l’incompletezza della scheda di dimissioni e lo sviluppo della malattia ed il decesso dell’uomo spiega la Corte che il nesso di causalità, nell’ambito di un rapporto contrattuale come in quello extracontrattuale non può dirsi presunto, ma deve essere sempre oggetto di accertamento il quale, pur potendo fare ricorso ad elementi presuntivi, non può derivare de plano” dall’accertamento dell’inadempimento. Né, prosegue la Corte, è pertinente il richiamo dei ricorrenti al principio affermato tra le altre dalle sentenze di Legittimità nnumero 6209/2016 e 12218/2015 richiamate in sentenza per cui l’incompletezza della cartella clinica può essere considerata dal giudice quale circostanza di fatto atta a provare il nesso tra l’agire del medico e il danno del paziente, in quanto tale principio non esclude la necessità di un accertamento ad hoc della questione e riguarda lo specifico caso in cui è proprio l’incompletezza della cartella a rendere impossibile l’accertamento del nesso causale. Sulla configurabilità del danno da perdita di chance in ambito sanitario. Il motivo è infine dichiarato fondato laddove denuncia la mera apparenza della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, numero 4, c.p.c., nell’escludere il danno per perdita di chance. Prima di proseguire, la Corte ribadisce quanto segue in merito alla configurabilità del danno da perdita di chance in ambito sanitario altresì richiamando i principi espressi da Cass. numero 5641/2018 e 28993/2019 - la perdita di chance in ambito di responsabilità sanitaria va inquadrata in sintesi, come efficacemente affermato nella sentenza numero 28993/2019, come il sacrificio della possibilità di un risultato migliore” come cioè la perdita della possibilità di ottenere un risultato sperato, incerto ed eventuale in termini di migliori opportunità di cura o di maggiore durata della vita o di sopportazione di minori sofferenze” - il riconoscimento del detto danno , al pari di ogni altro, deve essere preceduto dall’accertamento della derivazione causale da un condotta colpevole accertamento che deve seguire il criterio della preponderanza dell’evidenza” dovendosi non confondere la possibilità costituente il contenuto della chance con la probabilità significativa sul piano eziologico” - perché possa avere rilevanza sul piano risarcitorio , la chance dev’essere apprezzabile, seria e consistente” e contemporaneamente conservare il connotato di incertezza eventistica”, senza cioè tradursi in pregiudizi di diversa natura, quali il decesso anticipato o il peggioramento delle condizioni di salute come eventi accertati, i quali fruiscono di autonomo risarcimento - la quantificazione del danno da perdita di chance non può che compiersi in via equitativa , tenendo conto la specificità del caso concreto, i caratteri della possibilità perduta e del grado di apprezzabilità, serietà e concretezza” su cui il dato statistico può rappresentare un dato meramente orientativo , mentre non valgono i criteri tabellari del danno da invalidità permanente o da inabilità temporanea, i quali, pur riferendosi a danni non patrimoniali, presuppongono pregiudizi incompatibili con quello da perdita di chance su tale aspetto la Corte richiama Cass. numero 3691/2018 . La Corte d’Appello negò la perdita di chances motivando con l’inevitabilità del decesso. La Corte d’Appello aveva negato il diritto al risarcimento da perdita di chance affermando, in sostanza, che l’omissione non aveva inciso in alcun modo sul decesso del 2002, il quale si sarebbe comunque verificato. Ciò in quanto il linfoma nella milza che non era stato comunicato nel 2000 ha una prognosi di sopravvivenza globale del 60/70% intorno ai cinque anni il fatto che il decesso sia avvenuto dopo i cinque anni esclude possa configurarsi un danno sotto l’aspetto della perdita di chance il linfoma polmonare diagnosticato nel 2002 era del tutto diverso da quello non comunicato del 2000, sebbene una trasformazione dall’uno all’altro sia possibile nel 5% dei casi, ma, anche se così fosse stato, non vi sarebbe stata una diversa prognosi, anche se con un trattamento precoce l’esito diverso dipende dalla diversa risposta clinica ai trattamenti farmacologici della quota più aggressiva della neoplasia linfatica” che non è in funzione del tempo intercorrente tra la diagnosi e l’inizio della cura. In sostanza la mancata risposta alle cure dipese dalla forma aggressiva della malattia del 2002 e non dal tempo intercorso tra la prima e la seconda forma di linfoma. Se il decesso era inevitabile non lo era il percorso clinico. La Corte territoriale affermò dunque l’inevitabilità del decesso, ma escluse, rileva la Corte di Cassazione, la possibilità di un diverso percorso clinico nel caso di una tempestiva comunicazione del primo linfoma e della possibilità di effettuare un follow up oncologico. La Corte, nel negare il nesso di causalità derivante dalla omissione informativa del 2000, si è limitata a considerare solo l’esito finale del decesso, senza invece esaminare se potesse esistere un diverso percorso diagnostico e terapeutico che permettesse di individuare e trattare più precocemente la neoplasia in sede polmonare che questa fosse o no collegata alla neoplasia della milza e che consentisse una diversa progressione della malattia e una maggiore sopravvivenza in vita fermo restando l’esito del decesso . Per la Corte d’Appello la presenza di un esito segnato era circostanza che privava di valore la possibilità di un diverso approccio diagnostico e terapeutico e dunque la valutazione se dall’omessa informazione fosse derivata una perdita di chances giuridicamente rilevanti. Inoltre, per la Corte è viziata la motivazione della sentenza secondo cui la perdita di chance era da escludersi essendo l’uomo deceduto dopo i cinque anni dalla refertazione del 2000, e dunque risultava rispettata la prognosi di sopravvivenza a cinque anni la motivazione è viziata in quanto identifica la chance con una probabilità statistica di sopravvivenza in vita mentre, non cogliendo la specificità del profilo di danno da perdita di chance, omette di considerare se un follow up per la patologia alla milza avrebbe potuto individuare precocemente la patologia polmonare, e quindi di iniziare prima la terapia e di vivere di più e meglio. La motivazione è apparente la sentenza non affronta la problematica della chance . Dunque, sebbene l’abbia escluso, la Corte non ha effettivamente valutato la presenza del danno nella sua specificità ed è giunta quindi ad una conclusione assiomatica, che non tiene conto né della natura del pregiudizio che non è escluso a priori dalla circostanza che l’uomo ha vissuto oltre i cinque anni previsti dai dati statistici , né del fatto che le possibilità perdute andavano considerate in funzione di una più precoce individuazione e cura del linfoma polmonare, la causa o la causa ultima del decesso dell’uomo. La motivazione è dunque apparente perché pur formalmente esistente, non consente di cogliere il fondamento della decisione, risultando le considerazioni ivi contenute inidonee ad escludere la configurabilità del pregiudizio si richiama Cass. numero SS. UU. numero 22232/2016 la sentenza infatti non affronta la problematica della perdita di chance. Il giudice decide se rinnovare la CTU e può anche non pronunciarsi sulla relativa richiesta . Con il secondo motivo si contesta, per quanto qui rileva, la mancata motivazione circa la decisione di non rinnovare la CTU , sebbene ritualmente richiesta e nonostante le risultanze di quella effettuata, pur contestate, siano state poste a fondamento della decisione. Il motivo è respinto dalla Corte, oltre che per la genericità dei riferimenti alle violazioni delle norme di diritto, perché la mancata rinnovazione della ctu non è censurabile sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, tanto più che il rinnovo della CTU non dev’essere disposto dal giudice sol perché richiestogli dalla parte, rientrando la decisione tra i poteri discrezionali del giudice né questi è tenuto a pronunciarsi espressamente sul punto si richiama Cass. numero 22799/2017 e numero 17693/2013 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 12 febbraio – 26 giugno 2020, n. 12928 Presidente Armano – Relatore Sestini Fatti di causa Dopo il decesso di V.R., la convivente G.S., i figli S., I. e V.S., i fratelli C., A. e V.A. e la madre D.T.M. convennero in giudizio l'Ospedale omissis ASL Roma omissis per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla mancata comunicazione -al loro congiunto dell'avvenuto riscontro di una patologia tumorale. Più precisamente, dedussero che, a seguito di un sinistro stradale in cui aveva riportato la rottura della milza, V.R. era stato ricoverato presso l'Ospedale O missis , ove era stato sottoposto a splenectomia che l'esame istologico effettuato sull'organo asportato aveva evidenziato un linfoma non Hodgkin a localizzazione splenica che tale patologia non era stata indicata nella scheda rilasciata al momento della dimissione dal nosocomio, avvenuta il 9.11.2000 che, a seguito di accertamenti effettuati nel giugno 2002, al V. era stato riscontrato, in sede polmonare, un linfoma non Hodgkin allo stadio IV che, benchè sottoposto a numerose terapie, il congiunto era deceduto in data omissis . Tanto premesso, dedussero che la mancata informazione sul linfoma riscontrato in sede splenica aveva impedito al V. di effettuare accertamenti sanitari per quasi due anni e chiesero pertanto il risarcimento dei danni conseguiti a tale omissione, spettanti loro sia iure hereditario che iure proprio e quantificati in 3.025.291,00 Euro in subordine, chiesero il risarcimento dei danni correlati alla perdita di chances di sopravvivenza. Costituendosi in giudizio, l'azienda ospedaliera chiamò in causa le proprie compagnie assicuratrici Cattolica s.p.a. e Navale s.p.a., per l'eventuale manleva, nonchè i broker assicurativi AON s.pa. e Marsh s.p.a. associate in ATI , per sentirne accertare la responsabilità per omessa e/o erronea denuncia del sinistro, e altresì i medici M.F. e M.F.R. nelle rispettive qualità di sanitario che aveva redatto la scheda di dimissione e di primario del reparto di chirurgia nel merito, concluse per il rigetto della domanda e, in subordine, per sentir accertare la responsabilità esclusiva dei medici coinvolti. Si costituirono in giudizio la Società Cattolica di Assicurazione, la Navale Assicurazioni, la AON s.p.a., la Marsh s.p.a. e M.F., il quale chiamò in causa la propria assicuratrice Ina Assitalia Le Assicurazioni d'Italia. Il Tribunale di Roma rigettò la domanda degli attori sul rilievo che all'interno della cartella clinica consegnata al V. il 12.12.2000 era presente il referto istopatologico completo di diagnosi e che ciò consentiva la piena conoscenza della patologia, cosicchè doveva escludersi che le conseguenze dannose fossero riconducibili eziologicamente alla condotta omissiva dei sanitari, essendosi posto come elemento interruttivo il comportamento negligente del paziente. Provvedendo sul gravame dei congiunti del V., la Corte di Appello di Roma, premesso di attenersi al principio della ragione più liquida , ha rilevato che, se pure -come sostengono gli appellanti il Tribunale avrebbe dovuto accertare l'inadempimento dei sanitari all'obbligo di fornire indicazioni in ordine al follow up della patologia tumorale riscontrata all'esito dell'esame istologico eseguito dopo la splenectomia, cionondimeno l'appello non può ritenersi fondato per la ragione assorbente costituita dall'esclusione del rapporto di causalità tra il predetto inadempimento e il decesso di V.R. ha pertanto rigettato l'appello, compensando integralmente le spese di lite tenuto conto dell'inadempimento accertato e della difficoltà di individuare le responsabilità . Hanno proposto ricorso per cassazione G.S., S., I., S., C., A., V.A. e D.T.M., affidandosi a due motivi hanno resistito, con distinti controricorsi, l'Azienda Sanitaria Locale O missis già USL Roma omissis , la Generali Italia s.p.a. già Ina Assitalia , la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. già Navale Assicurazioni , la Società Cattolica di Assicurazioni Coop. a.r.l., M.F., la AON s.p.a. e la Marsh s.p.a. quest'ultima ha proposto ricorso incidentale basato su due motivi hanno depositato memoria i ricorrenti, la Generali Italia e la AON. Ragioni della decisione SUL RICORSO PRINCIPALE 1. Il primo motivo deduce -in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.M. 28 dicembre 1991, istitutivo della scheda di dimissione ospedaliera nella cartella clinica , dell'art. 32 Cost., delle Linee Guida del Ministero della Salute, degli artt. 1227 e 1218 c.c., art. 1176c.c., comma 2 e art. 2236c.c. e dell'art. 41 c.p., nonchè in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per omessa, in quanto manifestamente illogica, contraddittoria e, per ciò, apparente motivazione in relazione all'inversione dell'onere della prova ed al riconoscimento del diritto al risarcimento, anche per perdita di chance . I ricorrenti dichiarano di voler censurare la sentenza impugnata nelle parti in cui la Corte di Appello i non ha riconosciuto valore di nesso di causalità presunta all'inadempimento derivante dalla assenza della scheda di dimissione nella cartella clinica e delle conseguenze sulla incidenza della malattia e l'exitus, ii non ha considerato applicabili le norme di diritto in tema di attribuzione dell'onere della prova, iii non ha riconosciuto la regola della preponderanza dell'evidenza, iv non ha garantito la tutela della salute in applicazione dei principi costituzionali e delle linee guida, v non ha rispettato i principi giurisprudenziali in tema di perdita di chance . Lamentano che la Corte ha estrapolato dalla relazione di c.t.u. solo alcuni dati, senza valutare gli elementi dubbi e senza tener conto degli errori e delle discrepanze in essa presenti, segnatamente in relazione al fatto che il consulente ha ritenuto di escludere la ragionevole probabilità che, effettuando nel corso dei due anni precedenti l'individuazione del linfoma polmonare il follow up che sarebbe stato compiuto ove il V. fosse stato informato del linfoma in sede splenica, il paziente avrebbe potuto scoprire con anticipo lo sviluppo della patologia e curarsi in modo meno invasivo . Assumono che la lacunosità della scheda di dimissione costituisce una condotta negligente che configura un inesatto adempimento del medico e della struttura sanitaria e conferisce alle omissioni nella cartella clinica il valore di nesso eziologico presunto , evidenziando che l'inadempimento aveva determinato l'impossibilità del V. di sottoporsi a tutti gli approfondimenti del caso, in termini di follow up, con la conseguenza che aveva potuto avere contezza della malattia soltanto quando era passata dal I al IV stadio. Infine, ribadita la necessità di tutelare il preminente diritto alla salute del paziente, i ricorrenti lamentano la perdita di chance per ritardo diagnostico , evidenziando che la mancata comunicazione della patologia ha determinato nel sig. V. l'impossibilità di gestire consapevolmente la propria malattia, di decidere dove e da chi farsi curare, di effettuare quegli accertamenti diagnostici periodici necessari che costituiscono lo screening adottato nella gestione delle malattie oncologiche finalizzati al monitoraggio dello sviluppo della patologia, a valutare la tipologia, la stadiazione e ad intervenire precocemente onde evitare il peggioramento. In tal modo garantendo al malato di avere maggiori possibilità di evitare la morte, o quanto meno ritardarla . 1.1. Il motivo è inammissibile in relazione alle censure svolte ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, stante l'assoluta genericità con cui è stata dedotta la violazione o la falsa applicazione delle norme indicate nella rubrica, a fronte di un'illustrazione che fa perno principalmente su elementi fattuali richiamati in funzione di un diverso apprezzamento di merito. 1.2. Il motivo è comunque infondato nella parte in cui intende affermare un nesso eziologico presunto fra l'incompletezza della scheda di dimissioni e lo sviluppo della malattia e il successivo exitus, in quanto in ambito contrattuale così come per l'illecito extracontrattuale , il nesso eziologico costituisce un elemento distinto ed autonomo rispetto alla condotta del soggetto agente, cosicchè la sua esistenza non può essere presunta per il solo fatto che si sia verificato un inadempimento, ma deve costituire oggetto di uno specifico accertamento che, pur potendosi giovare di elementi presuntivi, non può conseguire de plano all'accertamento dell'inadempimento non è pertinente il richiamo dei ricorrenti al principio -affermato, fra le altre, da Cass. n. 6209/2016 e da Cass. n. 12218/2015 secondo cui l'incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può considerare al fine di ritenere provato un nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, giacchè tale principio non esclude comunque la necessità di un accertamento ad hoc e attiene alla specifica ipotesi non ricorrente nel caso in esame in cui sia stata proprio l'incompletezza della cartella a rendere impossibile l'accertamento del nesso eziologico. 1.3. Il motivo è -invece fondato in ordine alle censure svolte in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo della mera apparenza della motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso il riconoscimento del danno per perdita di chance di cui gli odierni ricorrenti hanno sempre richiesto -ancorchè in via subordinata il risarcimento . 1.3.1. In merito alla configurabilità del danno da perdita di chance, richiamati i principi espressi da Cass. n. 5641/2018 e -più recentemente da Cass. n. 28993/2019, deve ribadirsi che la perdita di chance di natura non patrimoniale di cui si tratta in ambito di responsabilità sanitaria consiste nella privazione della possibilità di conseguire un vantaggio sperato, incerto ed eventuale, che può variamente atteggiarsi in termini di migliori opportunità di cura o di maggiore durata della vita o di sopportazione di minori sofferenze in altri termini, nel sacrificio della possibilità di un risultato migliore , secondo l'icastica espressione usata da Cass. n. 28993/2019 al pari di ogni altro evento di danno, l'affermazione del pregiudizio da perdita di chance presuppone il necessario accertamento di un nesso di derivazione causale da una condotta colpevole commissiva od omissiva , da effettuarsi secondo il consueto criterio della preponderanza dell'evidenza, senza possibilità di sovrapporre e confondere la possibilità costituente il contenuto della chance con la probabilità significativa sul piano eziologico per poter rilevare sul piano risarcitorio, la chance deve essere apprezzabile, seria e consistente ossia non risultare talmente labile e ipotetica da non essere neppure determinabile in termini probabilistici e, al tempo stesso, deve conservare immutato il proprio connotato di incertezza eventistica , senza tradursi in pregiudizi di diversa natura quali, ad esempio, l'anticipazione della morte o il peggioramento delle condizioni di vita del paziente, intesi come eventi accertati suscettibili di autonomo risarcimento circa la quantificazione del danno, la liquidazione correlata ad una perdita di chance propriamente intesa non può che essere effettuata in via equitativa, con una valutazione commisurata alla peculiarità del caso concreto, che tenga conto delle caratteristiche della possibilità perduta e del suo grado di apprezzabilità, serietà e consistenza rispetto al quale il valore statistico-percentuale, ove accertabile, può costituire solo un criterio orientativo , mentre va sicuramente escluso il ricorso -anche mediato ai criteri tabellari in uso per la liquidazione del danno da invalidità permanente o da inabilità temporanea che, pur attenendo a danni non patrimoniali, presuppongono la sussistenza di pregiudizi incompatibili con quello derivante da perdita di chance cfr. Cass. n. 3691/2018 . 1.3.2. La decisione impugnata snoda la sua motivazione assai concisa attraverso i seguenti passaggi pur a fronte dell'accertato inadempimento dei sanitari all'obbligo di fornire indicazioni in ordine al follow up della patologia tumorale, l'appello non poteva essere accolto per la ragione assorbente costituita dall'esclusione del nesso di causalità tra il predetto inadempimento e il decesso del V. il linfoma riscontrato nella milza poteva essere inquadrato come uno Stadio I-II, IPI 01 con una prognosi di sopravvivenza globale OS valutabile intorno al 60/70%, a cinque anni tale accertamento impedisce di ritenere -tenuto conto che il decesso è intervenuto dopo cinque anni dalla refertazione della patologia della milza che si possa configurare un danno anche sotto il profilo della perdita di chance la tipologia del linfoma polmonare a grandi cellule era del tutto diversa dalla localizzazione splenica a piccole cellule e, anche voler ipotizzare che vi sia stata una trasformazione istologica possibile nel 5% dei casi , non di meno questa situazione non avrebbe portato, se trattata precocemente, ad una diversa prognosi, perchè la sopravvivenza è legata alla risposta clinica ai trattamenti farmacologici della quota più aggressiva della neoplasia linfatica che non è in funzione del tempo intercorso tra la diagnosi iniziale e l'inizio delle cure , con la conseguenza che la mancanza di accertamenti e cure dopo la diagnosi dell'ottobre 2000 non ha comportato un danno a V.R. giacchè la mancata risposta alle cure chemioterapiche fu legata alla manifestazione particolarmente aggressiva del linfoma del 2002 e non al tempo intercorso tra la prima e la seconda presentazione di LN H 1.3.3. La Corte di merito ha dunque affermato che il trattamento più precoce del linfoma polmonare non avrebbe modificato la prognosi infausta, risultando pertanto irrilevante quoad vitam. Con ciò, non ha tuttavia escluso che -ferma restando l'inevitabilità del decesso del V. il suo percorso clinico potesse essere diverso nel caso in cui, messo tempestivamente al corrente del linfoma riscontrato in sede splenica, egli avesse avuto la possibilità di svolgere il follow up oncologico. Invero, laddove ha insistito nell'affermare che la mancanza di accertamenti e cure dopo la diagnosi dell'ottobre 2000 non ha comportato un danno al V., la Corte ha evidentemente inteso riferirsi all'esito letale, senza curarsi di valutare se sussistesse la possibilità di seguire un diverso percorso diagnostico e terapeutico che consentisse di individuare e trattare più precocemente il linfoma in sede polmonare e che permettesse al V., già dall'autunno 2000, di determinarsi rispetto alla malattia in modo diverso da come aveva potuto fare soltanto a partire dal giugno 2002. E' mancata pertanto la valutazione della possibilità che tempestivamente informato il V. potesse sottoporsi ad un regolare follow up, che questo consentisse una diagnosi più precoce rispetto al giugno 2002 del linfoma in sede polmonare sia che si trattasse di patologia diversa dal linfoma splenico, sia che ne costituisse uno sviluppo con trasformazione istologica , che -infine il trattamento più precoce permettesse una diversa progressione della malattia e, eventualmente, una maggiore sopravvivenza in vita fermo restando l'epilogo letale . La Corte di Appello ha, dunque, mostrato di ritenere dirimente la circostanza che un diverso approccio diagnostico e terapeutico non avrebbe comunque evitato la morte del V., omettendo di prendere posizione sul fatto che l'omessa informazione potesse comunque avere determinato una perdita di chances giuridicamente rilevanti nel senso finora illustrato. V'è di più laddove ha espressamente escluso che si possa configurare un danno anche sotto il profilo della perdita di chance , la Corte di merito ha motivato in modo palesemente non congruente con la fattispecie in esame, limitandosi ad evidenziare che il decesso era avvenuto dopo cinque anni dalla refertazione della patologia alla milza, risultando pertanto rispettata la prognosi di sopravvivenza valutabile intorno al 60/70% a cinque anni. Una siffatta motivazione è evidentemente viziata, in quanto identifica tout court la chance con la probabilità statistica di sopravvivenza in vita dopo la rimozione di un linfoma splenico, senza cogliere la specificità di tale profilo di danno che consiste nella privazione della possibilità di sopravvivere più a lungo anche rispetto alle mere probabilità statistiche e/o con minori sofferenze e che avrebbe richiesto di accertare se, in relazione alle specifiche circostanze del caso, l'informazione sul riscontro istologico del linfoma avrebbe potuto consentire al V. la possibilità apprezzabile, seria e consistente di un miglior percorso terapeutico considera ed esclude il danno da perdita di chance in relazione al linfoma alla milza, omettendo di valutare se il follow up oncologico per tale patologia avrebbe ragionevolmente consentito al V. di individuare il linfoma in sede polmonare prima del giugno 2002 e, se del caso, di iniziare più precocemente la terapia, con possibilità di maggiore o migliore permanenza in vita. Deve pertanto ritenersi che, benchè ne abbia escluso la configurabilità, la Corte di Appello non abbia esaminato effettivamente il danno da perdita di chance nella sua specificità, pervenendo ad una conclusione assiomatica che non ha tenuto nè della natura del pregiudizio non escluso a priori dalla circostanza che si sia realizzata la probabilità statistica di sopravvivenza a cinque anni dalla rimozione di un linfoma splenico nè del fatto che le possibilità pregiudicate andavano valutate in relazione alla più tempestiva diagnosi e alla migliore cura del linfoma in sede polmonare, che è stata la causa o la causa ultima del decesso del V 1.3.4. La motivazione risulta, in definitiva, meramente apparente in quanto, benchè graficamente esistente, non consente di rapportare le scarne considerazioni della Corte di Appello al corretto perimetro del danno da perdita di chance e di cogliere il fondamento della decisione, a fronte di considerazioni che risultano inidonee ad escludere la configurabilità di tale pregiudizio cfr. Cass., S.U. n. 22232/2016 infatti la sentenza non affronta effettivamente la problematica della chance e, quindi, non rende percepibili le ragioni della decisione, atteso che il rilievo che il V. è sopravvissuto cinque anni non è idoneo a spiegare perchè non avrebbe potuto avere la possibilità di vivere più a lungo o in condizioni diverse se fosse stato posto nella condizioni di effettuare il follow up oncologico. 1.3.5. La sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale che dovrà nuovamente esaminare la domanda relativa al danno da perdita di chance alla luce dei principi sopra richiamati e delle considerazioni svolte. 2. Col secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 87,194 e 201 c.p.c., nonchè l' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli elementi di prova risultanti dalla CTU e forniti dai ricorrenti e dichiarano di censurare la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui i fa assurgere a piena prova le risultanze della contestata, contraddittoria ed erronea CTU ii senza fornire alcuna motivazione in relazione alla mancata rinnovazione della stessa, ancorchè ritualmente richiesta . 2.1. Il motivo è inammissibile giacchè la violazione delle norme di diritto è dedotta in modo generico e la mancata rinnovazione della c.t.u. non è censurabile sotto il profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo, tanto più che in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova ctu, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto Cass. n. 22799/2017 e Cass. n. 17693/2013 . SUL RICORSO INCIDENTALE 3. Il primo motivo, che deduce la inammissibilità del ricorso principale , non compie alcuna specifica censura della sentenza, ma svolge argomenti propri di un controricorso e contesta la totale incongruità della pretesa dei ricorrenti di trattenere ulteriormente Marsh all'interno della presente controversia , rilevando che l'originaria chiamata in causa da parte della USL Roma D si basava su un titolo l'addotto inadempimento dell'accordo di brokeraggio del tutto diverso da quello azionato dai ricorrenti nei confronti dell'azienda sanitaria. 3.1. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 112,91 e 92 c.p.c. la ricorrente incidentale si duole che il giudice di secondo grado non le abbia liquidato le spese di lite a carico degli appellanti, rilevando che la motivazione addotta dalla Corte a giustificazione della compensazione generalizzata delle spese facente perno sull'avvenuto accertamento dell'inadempimento e sulla difficoltà di individuare le responsabilità non poteva concernere la posizione della Marsh, che aveva eccepito l'inammissibilità dell'appello nei propri confronti, 3.2. I due motivi -da esaminare congiuntamente in quanto il rilievo di difetto di legittimazione passiva è comune ad entrambi e risulta finalizzato a contestare il mancato rimborso delle spese processuali-restano assorbiti dall'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo del ricorso principale giacchè il giudice di rinvio dovrà procedere a nuova liquidazione delle spese dei gradi di merito. 4. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, per quanto di ragione, in relazione al primo motivo, dichiarandolo inammissibile per il resto, con assorbimento del ricorso incidentale cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.