Esclusa la copertura assicurativa se l’assicurato ha reso dichiarazioni inesatte o reticenti

In caso di dichiarazioni inesatte o reticenze dell’assicurato rilevanti ai fini della manifestazione del consenso al contratto da parte dell’assicuratore, quest’ultimo può chiedere l’annullamento del contratto se tale reticenza viene scoperta prima che si verifichi il sinistro. In caso contrario, potrà rifiutare il pagamento dell’indennizzo lasciando comunque in essere il contratto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11905/20, depositata il 19 giugno. Nell’ambito di una richiesta di risarcimento per i danni conseguenti ad alcuni interventi sanitari subiti dal danneggiato, il medico, condannato in solito con a casa di cura, chiamava in manleva la propria compagnia assicuratrice , ma il Tribunale escludeva l’operatività della polizza sottoscritta in virtù delle condizioni generali previste e dell’art. 1892 c.c. Dichiarazioni inesatte e reticenze con dolo o colpa grave . La Corte d’Appello confermava la decisione sottolineando che il contratto sottoscritto prevedeva la copertura per fatti e atti anteriori solo se l’assicurato non ne avesse avuto percezione alla data della stipulazione, né in termini di richiesta risarcitoria né quale percezione, notizia o conoscenza dell’esistenza dei presupposti di responsabilità. Nel caso di specie invece, alla data di stipula del contratto l’ evento dannoso si era già manifestato in tutta la sua evidenza, vi erano stati ricoveri del danneggiato e l’iter terapeutico si era già concluso. Tali elementi di natura oggettiva erano noti al medico che avrebbe dovuto segnalare alla compagnia assicuratrice la possibile esistenza di un problema con la situazione di quel paziente. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione. Il ricorrente lamenta, per quanto d’interesse, la violazione dell’art. 1892 c.c. in quanto la compagnia assicuratrice avrebbe dovuto chiedere l’ annullamento del contratto, come previsto dalla norma, entro 3 mesi dalla scoperta dell’inesattezza o reticenza, non potendo diversamente sottrarsi al pagamento dell’indennizzo. La Corte, ritenendo infondata la doglianza, ricorda che l’onere imposto dall’art. 1892 c.c. all’assicuratore di manifestare, a pena di decadenza, la volontà di agire per l’annullamento del contratto a causa delle dichiarazioni inesatte e delle reticenze dell’assicurato entro 3 mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa dell’annullamento non sussiste laddove il sinistro si sia già verificato . A maggior ragione tale conclusione opera laddove il sinistro si sia verificato prima ancora che l’assicuratore fosse venuto a conoscenza dell’inesattezza o della reticenza della dichiarazione. In tal caso, l’assicuratore può sottrarsi al pagamento dell’indennizzo invocando mediante eccezione la violazione dolosa o colposa dell’assicurato di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative al rischio. Nel caso di specie, il sinistro si era in realtà già verificato prima ancora della stipulazione del contratto, con la conseguenza che l’assicuratore non era tenuto a chiedere l’annullamento del contratto ben potendo opporre in via di eccezione la non operatività della polizza. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 5 febbraio – 19 giugno 2020, n. 11905 Presidente Travaglino – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. S.G. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Genova, il Dott. P.A. e la casa di cura Villa Montallegro s.p.a., chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni conseguenti ai trattamenti sanitari da lui subiti. A sostegno della domanda espose di essere stato operato dal Dott. P. , in data OMISSIS presso la clinica Villa Montallegro, per un intervento di artroprotesi completa dell’anca, a seguito del quale si era manifestata un’infezione che era stata curata con antibiotici fino alla data delle dimissioni, il successivo omissis . Alcuni mesi dopo, però, l’infezione si era ripresentata, al punto che il successivo omissis lo stesso Dott. P. aveva ritenuto necessario, in pieno accordo con il paziente, procedere alla completa sostituzione della protesi. Affermò quindi l’attore che la patologia dalla quale erano derivate tutte le successive conseguenze, fino alla necessaria sostituzione della protesi, era da ricondurre ad un’infezione nosocomiale conseguente ad una non corretta sterilizzazione dell’ambiente operatorio. Si costituirono in giudizio entrambe le parti convenute, chiedendo il rigetto della domanda tanto il medico quanto la casa di cura sollecitarono la chiamata in causa delle rispettive società di assicurazioni, per cui si costituirono la s.p.a. Assicuratrice Milanese per il Dott. P. e le società Carige, HDI Assicurazioni e Alleanza Toro assicurazioni per la casa di cura. Ai limitati fini che interessano in questa sede, il Tribunale, espletata una c.t.u. medico legale, accertò la responsabilità di entrambi i convenuti, che condannò in solido al pagamento della somma di Euro 91.664,27 in favore del S. , nonché a tenere indenne l’attore rispetto alle richieste economiche avanzate nei suoi confronti a seguito dei trattamenti sanitari ai quali era stato sottoposto dopo il primo ricovero ad opera di terzi. Il Tribunale ritenne, poi, che la s.p.a. Assicuratrice Milanese non fosse tenuta a manlevare il Dott. P. , suo cliente, rispetto alle condanne a lui inflitte, a causa della inoperatività della polizza assicurativa da lui stipulata il 31 dicembre 2009, riconosciuta ai sensi dell’art. 17 delle Condizioni generali di contratto e dell’art. 1892 c.c 2. La sentenza è stata appellata in via principale dal Dott. P. ed in via incidentale dalla s.p.a. Assicuratrice Milanese, dalla casa di cura Villa Montallegro s.p.a. e dalla Generali Italia s.p.a. già Alleanza Toro Assicurazioni , e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 4 ottobre 2018, ha parzialmente accolto l’appello della Generali Italia s.p.a. in relazione a profili che non rilevano in questa sede mentre ha integralmente rigettato l’appello principale e gli altri appelli incidentali. In particolare, la Corte genovese ha confermato il rigetto della domanda di manleva proposta dal Dott. P. nei confronti della s.p.a. Assicuratrice Milanese. Ha osservato la Corte, dopo aver trascritto il testo dell’art. 17 delle Condizioni generali di contratto, che la polizza in questione prevedeva l’operatività della garanzia assicurativa in relazione alle richieste di risarcimento pervenute alla società dall’assicurato per la prima volta durante il periodo di validità del contratto, qualunque sia l’epoca in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento . Quanto, però, ai fatti e comportamenti anteriori alla data di stipula della polizza, l’assicurazione era operativa esclusivamente per le responsabilità in relazione alle quali l’assicurato non abbia ricevuto, alla data di stipula, richiesta risarcitoria alcuna e se l’assicurato non abbia avuto percezione, notizia o conoscenza, dell’esistenza dei presupposti di detta responsabilità . In altri termini, ha osservato la Corte, l’operatività della polizza per i fatti anteriori alla stipula era limitata dalle condizioni ora viste tanto che l’assicurato era tenuto, ai fini di cui all’art. 1892 c.c., a dichiarare di non aver ricevuto alcuna richiesta di risarcimento per fatti colposi antecedenti alla stipula e di non essere a conoscenza di alcun elemento che possa far supporre il sorgere di un obbligo di risarcimento del danno a lui imputabile per fatto già verificatosi al momento della stipulazione . Dal complesso tenore della polizza emergeva dunque, secondo la Corte di merito, la necessità di un’elevata soglia di attenzione, posto che la previsione contrattuale dava rilievo non solo all’effettiva conoscenza del fatto potenzialmente generatore di responsabilità, ma anche alla sola percezione che l’assicurato, al momento della stipula, avesse o dovesse avere . Nel caso di specie, alla data di stipula del contratto 31 dicembre 2009 si era manifestata l’infezione in tutta la sua evidenza, vi erano stati ricoveri ed interventi e l’iter era culminato con l’espianto della protesi d’anca impiantata pochi mesi prima circa dieci giorni prima della stipula . Derivava da tanto, secondo la sentenza in esame, che, pur non avendo all’epoca il paziente S. in alcun modo manifestato la sua intenzione di adire le vie legali per il risarcimento dei danni, tuttavia vi erano tutti i presupposti affinché la polizza non fosse operativa. La particolarità della vicenda, le anomalie verificatesi in sala operatoria, l’insorgere dell’infezione e la necessità di sostituire la protesi erano elementi di natura oggettiva ben noti al Dott. P. , tali da consentirgli di segnalare all’istituto assicurativo la possibile esistenza di un problema relativo alla sua posizione nei confronti del S. , segnalazione che, al contrario, non era avvenuta per cui correttamente il Tribunale aveva respinto la domanda di manleva. Ha infine precisato la Corte genovese che non aveva rilievo, nella specie, la circostanza che la società di assicurazione, benché informata dal Dott. P. della richiesta risarcitoria proveniente da S.G. , non avesse esercitato il potere di impugnare il contratto o di respingere il sinistro nei tre mesi successivi, avvalendosi della previsione dell’art. 1892 cit., solo nel momento della costituzione in giudizio. In base alla citata disposizione, infatti, l’assicuratore, anche se decaduto dal diritto di impugnazione del contratto, può comunque sempre far valere la non operatività della polizza. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova propone ricorso il Dott. P.A. con atto affidato a quattro motivi. Resiste la Milanese Assicurazioni s.p.a. con controricorso. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione degli artt. 1892, 1893 e 1932 c.c., nonché dell’art. 113 c.p.c Osserva il ricorrente che la norma dell’art. 1892 cit., pone come unica possibile conseguenza delle dichiarazioni inesatte e delle reticenze quella dell’annullamento del contratto, nè a conclusioni diverse può giungersi invocando l’art. 1893 cit. d’altra parte, a norma dell’art. 1932 cit., tanto l’art. 1892 quanto l’art. 1893 c.c., contengono disposizioni che non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato, mentre nella specie la deroga introdotta dall’art. 17 del contratto non potrebbe definirsi più favorevole all’assicurato. Aggiunge il ricorrente che la società di assicurazione non ha manifestato la volontà di respingere il sinistro fino al momento in cui si è costituita in giudizio , in tal modo impedendo al ricorrente di attivare tempestivamente un’ulteriore polizza assicurativa contratta con altra società. La tesi centrale del motivo in esame è nel senso che alle inesattezze e reticenze del contraente la società di assicurazione potrebbe soltanto opporre l’azione di annullamento del contratto, non il rifiuto del singolo risarcimento la sentenza impugnata avrebbe invece violato le suindicate disposizioni di legge nel momento in cui, pur non essendo stata esercitata l’azione di annullamento, essa ha riconosciuto che a tali presunte inesattezze o reticenze potesse collegarsi la inoperatività della polizza. 1.1. Il motivo non è fondato. La costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in tema di assicurazione contro gli infortuni, l’onere imposto dall’art. 1892 c.c., all’assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa dell’annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi prima che sia decorso il termine suddetto ed ancora più quando il sinistro si verifichi prima che l’assicuratore sia venuto a conoscenza dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente in tali casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo posto a carico dell’assicurato di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio così, tra le altre, le sentenze 12 novembre 1985, n. 5519, 4 marzo 2003, n. 3165, 4 gennaio 2010, n. 11, 13 luglio 2010, n. 16406, e 6 giugno 2014, n. 12831 . In altri termini, in caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze dell’assicurato che siano rilevanti ai fini della manifestazione del consenso al contratto da parte dell’assicuratore, questi ha la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto se tale reticenza venga scoperta prima che il sinistro si verifichi, oppure di rifiutare il pagamento dell’indennizzo, anche lasciando in vita il contratto, se la reticenza venga scoperta dopo il sinistro, ovvero prima del sinistro, ma quando quest’ultimo si verifichi entro tre mesi così la sentenza n. 12831 del 2014 . 1.2. Nel caso in esame il ricorso non dice, nè la sentenza lo fa intuire in alcun modo, che l’assicuratore era venuto a conoscenza del sinistro prima dell’atto di chiamata in causa da parte del medico. Cioè l’assicuratore non poteva neppure trovarsi nel dilemma se impugnare il contratto chiedendone l’annullamento ovvero mantenerlo in vita. Nella specie, anzi, il sinistro si era già verificato prima della stipulazione del contratto v. il quarto motivo per cui è evidente che l’assicuratore non era affatto obbligato a chiedere l’annullamento del contratto, potendo opporre in via di eccezione la non operatività della polizza, così come è poi accaduto. L’errore di prospettiva in cui cade il motivo in esame sta nel sostenere che, una volta decorso il termine di tre mesi fissato dall’art. 1892 cit., l’assicuratore perda anche il diritto di rifiutare il pagamento il che non risponde affatto alla logica del sistema, per di più in un caso, come si è visto, in cui il sinistro si era verificato prima della stipula del contratto di assicurazione. 2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione degli artt. 2697, 2729, 1366, 1367, 1370, 1371 e 1892 c.c Rileva il ricorrente che dallo svolgimento dei due gradi del giudizio di merito sono emersi elementi tali da escludere l’esistenza delle dedotte inesattezze e reticenze. La sentenza impugnata sarebbe, sul punto, viziata da inesattezze ed errori sia in ordine alla valutazione delle prove che all’interpretazione del contratto. In ordine ai fatti, il motivo ricorda che l’infezione apparsa tre giorni dopo l’intervento fu efficacemente curata, al punto che il paziente appariva guarito nel momento in cui fu dimesso la successiva borsite trocanterica diagnosticata nel novembre 2009 non poteva fornire al Dott. P. alcuna consapevolezza del collegamento tra la stessa e la successiva azione risarcitoria. Il ricorrente, perciò, non poteva pensare di essere chiamato in causa, avendo correttamente agito da un punto di vista chirurgico. Quanto, poi, ai profili di interpretazione del contratto, il ricorrente osserva che l’interpretazione secondo buona fede art. 1366 cit. e quella funzionale alla conservazione del contratto art. 1367 cit. dovevano militare nel senso di ritenere troppo vago il riferimento alla percezione di una situazione potenzialmente fonte di una domanda risarcitoria. La corretta interpretazione della clausola, invece, essendo stata la medesima proposta dall’assicuratore, doveva essere quella contra stipulatorem art. 1370 c.c. . 3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. La censura insiste sul profilo valutativo delle prove, sostenendo che la Corte d’appello, interpretando correttamente i fatti, avrebbe dovuto accertare l’assoluta impossibilità del Dott. P. , al momento della stipulazione della polizza, di prevedere in alcun modo la richiesta risarcitoria del sig. S. . La sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che la richiesta del paziente pervenne al medico solo nel XXXX, per cui questi non poteva in alcun modo prevederla nel momento in cui aveva sottoscritto il contratto. 4. Il secondo ed il terzo motivo, benché tra loro differenti, devono essere trattati congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce. Essi, quando non inammissibili, sono comunque privi di fondamento. Rileva il Collegio, innanzitutto, che le censure hanno alcuni evidenti profili di inammissibilità nella parte in cui si risolvono nella sollecitazione ad un nuovo e non consentito esame del merito, specificamente quanto alla consapevolezza che l’assicurato aveva o avrebbe dovuto avere nel momento della stipula. La Corte genovese, infatti, si è impegnata con grande scrupolo nella ricostruzione cronologica dei fatti e, oltre ad evidenziare le responsabilità dell’odierno ricorrente e della casa di cura, ha anche spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto che il Dott. P. avrebbe dovuto segnalare alla società assicuratrice l’esistenza di un problema in relazione al caso del paziente S. . Il fatto che questi non si fosse ancora attivato con una domanda risarcitoria non escludeva, secondo la Corte d’appello, che il medico doveva essere ben consapevole della possibilità di essere convenuto in giudizio dal paziente al quale aveva, pochi giorni prima della stipula del contratto di assicurazione, sostituito una protesi impiantata solo alcuni mesi prima. Le censure proposte - e, in particolare, quella del secondo motivo finiscono con l’incentrarsi in via principale contro l’espressione, contenuta nell’art. 17 del contratto di assicurazione, secondo la quale la garanzia era operativa per i casi nei quali l’assicurato, oltre a non aver avuto alcuna richiesta risarcitoria, non aveva avuto percezione, notizia o conoscenza, dell’esistenza dei presupposti della propria responsabilità. A questo proposito il Collegio osserva che, pur essendo indubbiamente sfuggente il termine percezione contenuto nel contratto, nel caso specifico la sentenza impugnata ha chiarito bene per quali ragioni detta percezione avrebbe dovuto manifestarsi nel Dott. P. , inducendolo ad una maggiore attenzione nella stipula del contratto. Non bisogna poi trascurare che quel termine si inserisce nell’ambito di una clausola claims made, perché la limitazione di operatività della polizza riguarda i sinistri avvenuti in epoca anteriore alla conclusione del contratto, per cui non ci sono rischi di uso arbitrario della suddetta espressione. Cadono quindi, in base a questa ricostruzione, le censure di violazione di legge di cui al secondo motivo, ivi comprese quelle con le quali si richiamano in generale le norme relative all’interpretazione del contratto e, in particolare, l’art. 1370 c.c. norma, questa, non applicabile nella specie, data l’insussistenza di un dubbio interpretativo. Parimenti infondate sono le censure di vizi di motivazione di cui al terzo motivo, ove si lamenta un’omissione che non sussiste, posto che la Corte d’appello ha tenuto presente l’intero quadro probatorio e che il mancato espresso riferimento alla data in cui pervenne la prima richiesta risarcitoria da parte del paziente S. non costituisce omissione, data l’ampiezza delle argomentazioni di merito utilizzate dalla Corte d’appello. 5. Col quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione degli artt. 1917, 1322 e 1346 c.c Il ricorrente osserva che l’art. 17 delle condizioni generali di contratto rappresenta a tutti gli effetti una clausola claims made, posto che, in deroga alla previsione dell’art. 1917 cit., obbliga l’assicuratore a tenere indenne l’assicurato anche di un fatto accaduto prima della stipula del contratto, purché la prima richiesta sia pervenuta nel tempo dell’assicurazione. La giurisprudenza di legittimità, pur avendo generalmente ammesso la liceità di tali clausole, ha negli ultimi tempi preteso che le stesse vengano valutate alla luce del criterio della meritevolezza di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c Nella specie, il riferimento contenuto nell’art. 17 alla parola percezione ai fini dell’esclusione di operatività della polizza appare al ricorrente censurabile ai sensi dell’art. 1346 c.c., per l’indeterminatezza o l’indeterminabilità del contenuto dell’obbligo informativo che ricade sull’assicurato. Al medico si chiederebbe, in sostanza, una valutazione prognostica circa la futura possibilità di azioni risarcitorie, pretendendo da lui un giudizio che nulla ha a vedere con l’ambito medico detta clausola, inoltre, consentirebbe all’assicuratore di sottrarsi con grande facilità all’obbligo di rimborso per tutti o quasi i sinistri pregressi. 5.1. Il motivo, che presenta alcuni profili di inammissibilità, è privo di fondamento. Osserva innanzitutto il Collegio che la censura, così come proposta, potrebbe essere anche nuova e perciò inammissibile, come puntualmente eccepito nel controricorso. Tuttavia, anche volendo trascurare questo profilo, la doglianza è in ampia misura ripetitiva delle precedenti, in particolare del secondo motivo. Quanto al richiamo al termine percezione di cui all’art. 17 del contratto valgono, perciò, le considerazioni già svolte in precedenza. In relazione, invece, al profilo specifico della censura - che prende di mira il fatto che il contratto prevedeva una clausola claims made - la Corte osserva che si tratta di una doglianza inconferente rispetto all’obiettivo che il ricorrente si propone. Com’è noto, infatti, a norma dell’art. 1917 c.c., comma 1, l’assicuratore è tenuto a risarcire l’assicurato in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione . Tale disposizione si collega con quella dell’art. 1895 c.c. e dell’art. 1904 c.c. , secondo cui il contratto di assicurazione è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto . Ne consegue che nel caso in esame, ove non ci fosse la clausola che estende la possibilità del risarcimento anche ai fatti pregressi, il sinistro in oggetto sarebbe certamente non indennizzabile, in quanto già accaduto nel momento in cui il contratto fu concluso con conseguente totale mancanza del rischio . Ciò detto, è appena il caso di osservare che la sentenza 24 settembre 2018, n. 22437, delle Sezioni Unite di questa Corte, ritornando sulla questione della legittimità delle clausole claims made, ha espressamente escluso v. punto 15 della motivazione che esse siano soggette al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, che riguarda soltanto i contratti atipici ed ha chiarito che dette clausole sono soggette ad una verifica, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 1, che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all’attuazione del rapporto , alla luce di quanto già colto dalla precedente sentenza 6 maggio 2016, n. 9140. Ma è evidente che simile accertamento non potrebbe condurre comunque all’accoglimento del motivo in esame. 6. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.