Ramo sulla carreggiata, risarcito l'automobilista che lo evita ma finisce fuori strada

Confermata la condanna del Comune, ritenuto responsabile per l’incidente. Confermato anche il ristoro economico in favore del conducente. Per i Giudici la mancanza della patente – risultata poi scaduta – non può far finire sotto accusa l’automobilista.

Velocità eccessiva e niente patente di guida – scaduta, per giunta – non possono cancellare il risarcimento in favore dell’automobilista che, viaggiando su una strada comunale in orario notturno, si è ritrovato davanti un grosso ramo di pino, ha compiuto una manovra d’emergenza per evitare l’impatto ma così è finito contro la rete metallica posta sul lato della carreggiata. Pur essendo evidenti le manchevolezze dell’uomo alla guida, è comunque confermata la responsabilità dell’ente locale , colpevole, in sostanza, di avere provocato l’incidente, non avendo garantito la sicurezza della strada Cassazione, sentenza n. 9674/20, sez. III Civile, depositata oggi . Il fattaccio si verifica lungo una nota – e rettilinea – strada di Roma un automobilista si ritrova davanti un grosso ramo di pino è costretto a una manovra di emergenza per evitare l’impatto ma così va ad urtare la recinzione metallica posta al lato della carreggiata . Inevitabile il contenzioso con il Comune , contenzioso che vede l’automobilista vittorioso in Appello. Per i giudici di secondo grado, difatti, l’ente locale è da ritenere responsabile civilmente per l’incidente e deve risarcire il conducente vittima dell’incidente, versandogli quasi 18mila euro. Col ricorso in Cassazione, però, ‘Roma Capitale’ prova a liberarsi da ogni addebito, puntando il dito sulla condotta tenuta dall’automobilista. In particolare, il legale osserva che l’uomo guidava senza avere con sé la patente di guida – poi risultata scaduta – e aggiunge che lo scopo del Codice della strada non è quello di regolamentare il rilascio di documenti di identità, ma la verifica di idonei a seguito di specifico accertamento, e quindi, in mancanza di tale accertamento, l’automobilista non avrebbe dovuto mettersi al volante, perché la norma intende inibire proprio la guida in mancanza di idoneità , cioè in mancanza di patente. Secondo il legale è evidente il comportamento illegittimo tenuto dal conducente, comportamento che deve portare ad escludere la responsabilità del Comune. Ragionando sempre in questa ottica, poi, il legale osserva che la presenza, al centro della carreggiata, di un ostacolo di grandi dimensioni non può mai essere imprevedibile, soprattutto su un tratto rettilineo, proprio perché la visibilità è insita nelle dimensioni dell’ostacolo che quindi poteva essere evitato , in questo caso, dall’automobilista, e aggiunge che, analizzando il verbale della Polizia municipale, pare evidente la responsabilità del guidatore, stante la violenza dell’impatto della vettura contro la banchina, tale da abbattere dieci metri di rete metallica e otto pali di legno, dopo aver roteato su sé stessa più volte, da sinistra a destra della carreggiata e riportando, alla fine, danni materiali per 13mila euro . Evidente, quindi, sempre secondo il legale che la velocità tenuta non era consona alla strada, alla forte pioggia e all’orario notturno e ciò contribuiva a liberare da ogni responsabilità il Comune, a fronte della condotta tenuta dal conducente, peraltro privo di patente perché scaduta. Le obiezioni proposte dal legale del Comune non convincono però i Giudici della Cassazione. In prima battuta, i magistrati mostrano di condividere il ragionamento compiuto in appello, laddove si è ritenuto che la mancanza di rinnovo della patente al momento dell’incidente non può porre sotto accusa l’automobilista mentre l’ente locale va ritenuto responsabile dei danni derivati all’automobilista a causa dell’inopinato ingombro presente sulla carreggiata in condizioni di limitata visibilità, data l’ora serale . Peraltro, non si può neanche sostenere, aggiungono dalla Cassazione, che il sinistro sia da addebitare ad un errore di guida del conducente , nonostante la velocità eccessiva della vettura. Tirando le somme, va confermata la responsabilità del Comune di Roma e il diritto dell’automobilista a ottenere il risarcimento – quasi 18mila euro – stabilito in appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 dicembre 2019 – 26 maggio 2020, n. 9674 Presidente Armano – Relatore Scrima Fatti di causa Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, nei confronti di Al. D’Av. e avverso la sentenza parziale n. 120 della Corte d'appello di Roma, depositata il 9/01/2015, nonché avverso la sentenza definitiva n. 3664/2017 della predetta Corte, depositata in data 1/06/2017. Con la prima di tali pronunce, in totale riforma della sentenza n. 156/2010 del Tribunale di Roma - Sezione Distaccata di Ostia, la già indicata Corte territoriale ha dichiarato l'appellato Comune di Roma civilmente responsabile dell'illecito oggetto di giudizio e, per l'effetto, lo ha condannato al risarcimento, in favore dell'appellante Al. D’Av., dei danni da quest'ultimo subiti, da liquidarsi in prosieguo del giudizio, allorché, nel percorrere, a bordo della sua auto, la strada laterale di via omissis , si era trovato davanti un grosso ramo di pino ed era stato costretto ad una manovra di emergenza per evitare l'impatto, andando però così ad urtare la recinzione metallica posta al lato della carreggiata. Con la seconda delle predette sentenze, la medesima Corte ha condannato Roma Capitale al risarcimento dei danni in favore dell'appellante, per il complessivo importo di Euro 17.801,72, oltre interessi, nonché alle spese del doppio grado del giudizio di merito e alle spese di c.t.u Ha resistito con controricorso Al. D’Av La ricorrente ha pure depositato nota di deposito datata 13 giugno 2018, con i relativi allegati. Con O.I. della Sezione Sesta-3 di questa Corte n. 33528/18, depositata in data 27 dicembre 2018, è stato disposto che il ricorso, in un primo tempo avviato - in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ. - per la trattazione in camera di consiglio, sia trattato in pubblica udienza presso questa Sezione. In prossimità della presente udienza Roma Capitale ha depositato ulteriore memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorso deve ritenersi procedibile alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 25/03/2019, n. 8312 e secondo cui il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della L. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l'improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente o uno dei controricorrenti , nel costituirsi anche tardivamente , depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all'originale notificatogli nell'ipotesi in cui, invece, la controparte o una delle controparti sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica, entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio. Ed invero, nella specie, la ricorrente ha depositato con le note del 13 giugno 2018, prima dell'adunanza camerale fissata dinanzi alla Sezione Sesta-3, copia della sentenza della Corte di merito n. 3664/2017, notificata a mezzo di posta elettronica in data 3 giugno, con la relativa asseverazione di conformità, inizialmente mancante. 2. Il primo motivo è così rubricato Sulla falsa applicazione degli artt. 116, 119 e 126 d.lgs. 30/4/1995, n. 285 in relazione agli artt. 2015 e 2043 c.c. in combinato disposto con l'art. 1227 c.c. in merito all'accertamento del nesso di causalità tra il sinistro e la guida con la patente scaduta. In relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c . Premesso che, in occasione del sinistro di cui si discute in causa, il D’Av. guidava senza avere con sé la patente di guida, poi risultata scaduta, come riportato nel verbale della Polizia municipale, la ricorrente sostiene che, essendosi l'incidente verificato a causa della guida da parte del D’Av. in connessione con la circolazione del mezzo , come affermato dal Tribunale , la Corte di merito avrebbe dovuto verificare se il danneggiato avesse effettivamente il divieto di guidare con la patente scaduta e quindi verificare, in caso positivo, se il fatto non sarebbe accaduto. Ciò proprio perché l'obbligo di guidare con la patente valida ha la sua causa nella prevenzione dei danni, in mancanza di un accertamento di idoneità del guidatore . Assume Roma Capitale che lo scopo dell'art. 126 C.d.S. non è quello di regolamentare il rilascio di documenti di identità, ma la verifica di idoneità a seguito di specifico accertamento e quindi in mancanza di tale accertamento, il D’Av. non avrebbe dovuto mettersi alla guida, perché è proprio la guida che la norma intende inibire in mancanza di idoneità . Ad avviso della ricorrente, nel caso di specie, la Corte territoriale, affermando che la guida senza patente o con la patente scaduta non fosse fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità avrebbe violato e falsamente applicato il combinato disposto degli artt. 116, 119 e 126 CdS perché questi regolamentano il rilascio delle patenti di guida dal punto di vista esclusivamente amministrativo, ma inibiscono la circolazione a chi non abbia ottenuto il rinnovo della patente a seguito di una verifica di idoneità psicofisica al fine di non causare danni, ciò è tanto vero che la patente scaduta viene ritirata quale sanzione accessoria in caso di violazione della norma, così ponendo i[l] soggetto nella stessa condizione di chi è senza patente. Conseguentemente la Corte d'Appello ha violato gli artt. 2051 e 2043 c.c. in combinato disposto con l'art. 1227 c.c. perché in presenza di divieto di guidare, quando l'evento sia stato direttamente causato dalla guida, cioè nella sua dinamica e quindi in sua connessione, il nesso di causalità è interrotto dal comportamento illegittimo del danneggiato . 3. Con il secondo motivo, rubricato Sul vizio di motivazione per contraddittorietà insanabile in relazione all'art. 132 c.p.c. n. 4 in merito alla condotta colpevole del danneggiato , la ricorrente denuncia l'insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove la Corte di merito ha dato atto della presenza, al centro della carreggiata, da un lato, di un ostacolo di grandi dimensioni e, dall'altro, di un ingombro inopinato, quindi imprevedibile in condizioni di limitata visibilità, evidenziando che un ostacolo di grandi dimensioni non sarebbe mai imprevedibile proprio perché la visibilità sarebbe insita nelle dimensioni, sicché non sarebbe dato conoscere il ragionamento della Corte territoriale nel ritenere responsabile il custode, visto che l'ostacolo, in quanto visibile, poteva essere evitato. Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe accertato la responsabilità del custode senza motivare al riguardo, risultando la motivazione apparente o, comunque, intimamente contraddittoria, risolvendosi così in una radicale assenza di motivazione sul punto decisivo attinente al nesso causale determinante la responsabilità ex art. 2051 cod. civ 4. Con il terzo motivo, rubricato Sotto altro aspetto sull'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. sempre in merito alla condotta colpevole del danneggiato , Roma Capitale sostiene che, avendo la Corte territoriale affrontato d'ufficio, ex art. 1227 cod. civ., la questione dell'eventuale concorso di colpa del debitore, la medesima avrebbe dovuto tener conto dell'intero verbale della Polizia Municipale e, in particolare, di quanto in esso descritto circa la dinamica dell'incidente ed avrebbe dovuto, quindi, necessariamente attribuire la responsabilità al guidatore, stante la violenza dell'impatto della vettura contro la banchina, tale da abbattere dieci metri di rete metallica e otto pali di legno, dopo aver roteato su sé stessa più volte da sinistra a desta della carreggiata, riportando danni materiali per 13.000 Euro, il che dimostrerebbe che la velocità tenuta dal D’Av. oltretutto privo di patente perché scaduta non sarebbe stata consona alla strada, alla forte pioggia e all'orario notturno. Conclusivamente, secondo la ricorrente, la velocità elevata, che la Corte di merito, pur esaminando il verbale, avrebbe omesso di considerare e il fatto pacifico che si trattava di un ostacolo visibile, perché grande, in una strada notoriamente in rettilineo come la via omissis avrebbero dovuto condurre la predetta Corte ad una diversa ricostruzione del fatto, tanto da esimere del tutto il custode da colpe . 5. I motivi, che censurano espressamente la sentenza n. 120/2015, in relazione alla quale è stata formulata riserva di ricorso per cassazione all'udienza del 25 marzo 2015, come incontestato tra le parti, e che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. È pur vero che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, cod. civ., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva nella specie esaminata nella richiamata pronuncia, questa Corte ha confermato la sentenza d'appello, che aveva escluso la responsabilità dell'ente proprietario della strada, sul presupposto che la buca presente sul manto stradale, che aveva determinato la caduta del ciclomotore dell'attrice, si presentava ben visibile in quanto di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta e collocata al centro della semicarreggiata percorsa dall'attrice, nell'ambito di un più ampio tratto stradale dissestato e sconnesso Cass., ord., 30/10/2018, n. 27724 . Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro nella specie esaminata con la pronuncia da ultimo menzionata, questa Corte ha confermato la statuizione di merito, che aveva escluso la responsabilità in capo all'ente proprietario e gestore della strada, munita di guardrail di altezza a norma di legge, per i danni patiti dal superamento del medesimo da parte del conducente di un veicolo, che aveva perso per causa ignota il controllo del mezzo, affermando che il custode non può rispondere dei danni cagionati in via esclusiva dalla condotta del danneggiato, da qualificarsi oggettivamente non prevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dai luoghi Cass., ord., 1/02/2018, n. 2480 . Va, tuttavia, osservato che la Corte di merito, in base ad un accertamento in fatto, che non può più essere rimesso in discussione in questa sede, ha ritenuto che la mancanza di rinnovo della patente al momento del sinistro non costituisse fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità e che in mancanza di allegazione, in secondo grado non essendo stata più riproposta ex art. 345 cod. proc. civ., in quel grado, l'eccezione relativa alla forza maggiore come causa di esclusione del nesso di causalità - vento forte che avrebbe inopinatamente provocato la caduta del ramo sulla strada di un fattore imprevedibile ed assolutamente eccezionale avente impulso causale autonomo e come tale estraneo alla sfera di custodia, il Comune doveva essere ritenuto responsabile dei danni derivati nell'occorso all'automobilista a causa dell'inopinato ingombro verificatosi, in condizioni di limitata visibilità, data l'ora serale, sulla carreggiata v. sentenza della Corte di appello di Roma n. 120/2015, pure impugnata in questa sede . Peraltro, neppure risulta che sia stato dedotto tempestivamente che il sinistro sia da addebitare ad un errore di guida del soggetto a meno che non si voglia ricomprendere in ciò la velocità eccessiva cui sembra farsi riferimento, però, solo in questa sede di legittimità, non essendo stato riferito in ricorso quando e in quali termini l'attuale ricorrente abbia precedentemente, nei gradi di merito, richiamato specificamente tale circostanza . Inoltre, non sussiste la denunciata insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza censurata, risultando la stessa del tutto idonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione adottata e, comunque, il terzo motivo non è stato veicolato secondo i dettami indicati della giurisprudenza di legittimità, anche alla luce di quanto sopra evidenziato in relazione alla mancata indicazione, in ricorso, del se, quanto e come la ricorrente abbia fatto riferimento, nel giudizio di merito, alla circostanza della ora dedotta velocità eccessiva tenuta dal D’Av. v. Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053, secondo cui l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. 6. In conclusione, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. 7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. 8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.