Falso corso per la selezione in banca: niente collegamento con l’istituto di credito e niente risarcimento

Respinta la richiesta presentata dal corsista truffato, che ha versato 3mila e 500 euro per gli incontri di preparazione al concorso in banca. Niente restituzione della cifra pagata e niente ristoro dei danni morali, quantificati in 1.000 euro. Fatale l’omessa attestazione con prove concrete del legame con l’istituto di credito.

Corso ad hoc per la preparazione alla selezione per un posto di lavoro in banca . Il costo ammonta a 3mila e 500 euro. Cifra, questa, che viene ritenuta congrua, soprattutto a fronte della possibilità di avere una occupazione stabile. Il clamoroso arresto di alcune persone che si sono presentate come referenti collegati all’istituto di credito coglie di sorpresa uno dei corsisti, che agisce per vie legali, chiedendo la restituzione della somma pagata e un adeguato risarcimento , e chiamando in causa anche la banca. La rabbia per il raggiro subito non è sufficiente, senza prove provate, per ottenere il ristoro economico Cassazione, ordinanza n. 9242/20, sez. III Civile, depositata il 20 maggio . Sotto accusa soprattutto la banca. La persona raggirata ne chiede la condanna alla restituzione della somma di 3mila e 500 euro – versata la partecipazione al corso – e al pagamento dei danni morali, quantificati in 1.000 euro , e spiega di essere stato vittima di un raggiro da parte degli organizzatori di un corso di formazione che avevano dichiarato di fare capo all’istituto di credito, e che il corso sarebbe stato necessario per superare un concorso per l’assunzione di dipendenti presso la banca . Aggiunge, poi, di avere partecipato al corso, effettuando sette incontri formativi e di essere stato ricevuto presso la sede della filiale dell’istituto di credito e di avere consegnato l’importo di euro 3.500 alla persona indicata quale referente dai dipendenti della banca, incaricati della gestione del concorso . Solo avere appreso che tali soggetti erano stati arrestati gli ha aperto gli occhi, spingendolo a chiedere di essere risarcito e addebitando alla banca la responsabilità per fatto del dipendente e per culpa in vigilando . La posizione del corsista raggirato viene ritenuta non accettabile dal Giudice di pace. Identica decisione arriva anche dai giudici del Tribunale, i quali osservano che le risultanze processuali non dimostra che il fatto lesivo era stato – quanto meno – agevolato da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa della dipendente della banca , e allo stesso tempo escludono l’ipotesi della culpa in vigilando , non essendo emersa alcuna responsabilità nei confronti della stessa donna posta in rapporto giuridicamente rilevante con la banca . A chiudere la battaglia legale provvede ora la Cassazione, cancellando definitivamente ogni pretesa avanzata dal corsista raggirato. In prima battuta viene sottolineato che in secondo grado si è osservato che non vi è prova della consegna del denaro all’uomo che è stato il riferimento del corsista né che poi egli lo abbia trasferito alla dipendente della banca. E, peraltro, non è stata deposita neanche la dichiarazione di idoneità su carta intestata della banca, né la documentazione fornita durante il corso , e questa omissione è addebitabile, osservano i giudici del Tribunale, alla persona che sostiene di essere stata raggirata. Molto più importante, però, è il profilo relativo al rapporto di dipendenza dell’autrice del fatto illecito con l’istituto di credito . Su questo fronte il corsista si è limitato a precisare di essere entrato in contatto con una persona che avrebbe affermato due circostanze da sottoporre a verifica si sarebbe presentata con un nome falso e quale dipendente della banca incaricata della gestione del concorso . Quindi, il fatto come esposto si riferisce alla versione che sarebbe stata fornita alla persona raggirata dalla presunta dipendente della banca, ma una siffatta deduzione non individua il profilo centrale che costituisce il presupposto giuridico della domanda e cioè il rapporto di dipendenza di tale interlocutore con l’istituto di credito. Anzi tale aspetto, nei termini in cui è trascritto dal ricorrente, sembra riferirsi alla prospettazione della donna, che avrebbe dichiarato di avere quel nome e di essere dipendente della banca. Circostanze tutte da appurare e poi risultate effettivamente fuorvianti, quanto meno con riferimento alle generalità della persona . Le osservazioni proposte dalla persona raggirata non sono sufficienti però per convincere i giudici della Cassazione, anche tenendo presente che l’istituto di credito ha operato una contestazione relativa a tutti i profili della vicenda, evidenziando che l’attore non ha fornito la prova che il bando di concorso proveniva dalla banca, la sussistenza concreta di un danno, il versamento delle somme, l’esistenza del corso di formazione, la circostanza che la donna fosse l’autrice dell’illecito, la presunta esistenza di un rapporto di dipendenza con l’istituto di credito .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 febbraio – 20 maggio 2020, n. 9242 Presidente Armano – Relatore Positano Rilevato che con atto di citazione notificato il 15 settembre 2014, Ma. Ma. evocava in giudizio, davanti al Giudice di pace di Roma, la Bnl S.p.A. per sentirla condannare alla restituzione della somma di Euro 3500, oltre al pagamento dei danni morali, quantificati in Euro 1000. A sostegno della propria domanda deduceva di essere stato vittima di un raggiro da parte degli organizzatori di un corso di formazione che avevano dichiarato di fare capo al predetto istituto di credito, e che il corso sarebbe stato necessario per superare un concorso per l'assunzione di dipendenti presso tale banca. Aggiungeva di avere partecipato al corso effettuando sette incontri formativi e di essere stato ricevuto presso la sede della filiale della Banca Nazionale del Lavoro. Aggiungeva di avere consegnato l'importo di Euro 3.500 a Fr. Mi., indicato quale referente dai dipendenti della banca, incaricati della gestione del concorso. Deduceva che nel mese di luglio 2012 aveva appreso che tali soggetti sarebbero stati arrestati, così comprendendo di essere stato raggirato. Sulla base di questi elementi chiedeva alla banca di essere risarcito, prospettando la responsabilità per fatto del dipendente e proponendo la domanda anche ai sensi dell'articolo 2043 c.c. per culpa in vigilando si costituiva la Banca Nazionale del Lavoro deducendo il difetto di legittimazione passiva e la carenza di legittimazione attiva dell'attore, che non aveva dimostrato attraverso quali strumenti avrebbe appreso dell'esistenza del concorso. Pertanto, non ricorrerebbe la prova dell'esistenza di un rapporto tra l'attore e l'istituto di credito, oltre che della partecipazione del primo al corso svolto all'interno della filiale della Banca. Chiedeva e otteneva di chiamare in causa Mi. che rimaneva contumace e al quale l'attore non estendeva la domanda il Giudice di pace di Roma, con sentenza dell'8 giugno 2016, rigettava la domanda perché l'attore non avrebbe insistito nei mezzi istruttori richiesti in citazione, non essendo comparso alla prima udienza successiva alla chiamata in causa del terzo, per motivi di salute avverso tale decisione proponeva appello il Ma. con atto di citazione del 27 settembre 2016 contestando la decisione del giudice di non rimettere in termini il legale, nonostante la presenza di un impedimento. L'istituto di credito rilevava che Mi. non era stato evocato in giudizio, chiedendo l'integrazione del contraddittorio, ritenendo corretta la decisione del primo giudice ed insistendo nelle altre difese svolte in primo grado all'udienza del 19 gennaio 2017 il Tribunale rimetteva in termini la parte appellante riguardo alle istanze istruttorie, che successivamente rigettava, ritenendo la causa di natura documentale all'udienza del 20 febbraio 2017 il Tribunale onerava l'appellante di estendere il contraddittorio al terzo chiamato Fr. Mi., che si costituiva depositando nuova documentazione dichiarata inammissibile dal Tribunale con sentenza emessa all'udienza del 10 luglio 2017 il Tribunale di Roma rilevava, quanto alla responsabilità ai sensi dell'articolo 2049 c.c., che le risultanze processuali non dimostravano che il fatto lesivo era stato -quanto meno agevolato da un comportamento riconducibile all'attività lavorativa della dipendente della banca, poiché tale profilo non risultava dimostrato riguardo alla posizione della Pa Nello stesso modo riteneva infondati la culpa in vigilando non essendo emersa alcuna responsabilità nei confronti della persona fisica posta in rapporto giuridicamente rilevante con la banca, tale dovendosi ritenere la predetta Pa. avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Ma. Ma. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro. Entrambe le parti depositano memoria ex art. 380 bis c.p.c. Considerato che con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione l'articolo 345, terzo comma c.p.c. con riferimento all'illegittima esclusione dal giudizio dei documenti depositati in appello dal chiamato Fr. Mi I documenti depositati dal terzo non sarebbero stati disattesi perché prodotti in violazione l'articolo 345 c.p.c. Al contrario alcuni di essi, in particolare tre, avrebbero dovuto essere ammessi perché successivi alla decisione di primo grado. Si tratterebbe della memoria difensiva depositata dal terzo nel giudizio penale e relativi allegati, in quanto redatta il 2 febbraio 2017, il decreto di autorizzazione alla notifica al responsabile civile, del 20 febbraio 2017 e la costituzione di parte civile nel processo penale del 22 giugno 2016. Si tratterebbe di documentazione formata successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado dell'8 giugno 2016. Si tratterebbe di documenti rilevanti perché la domanda dell'odierno ricorrente sarebbe stata rigettata per difetto di prova riguardo al rapporto di dipendenza tra la Pa. e la Bnl. Al contrario, tale presupposto emergerebbe dal contenuto della memoria difensiva depositata nel giudizio penale, del decreto di autorizzazione alla notifica del responsabile civile che individuava tale rapporto di dipendenza e, soprattutto, dalla costituzione di parte civile della banca nella quale si riconoscerebbe il rapporto di dipendenza tra l'istituto e la Pa. con il secondo motivo, si lamenta ai sensi dell'articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione l'articolo 345 c.p.c. con riferimento all'omessa decisione sulla richiesta di deferimento del giuramento decisorio avanzata dal ricorrente. Nel giudizio di appello l'odierno ricorrente avrebbe deferito giuramento decisorio al legale rappresentante dell'istituto di credito riguardo alla circostanza che Sa. Pa. era dipendente della banca e utilizzava i locali della filiale dove si sarebbero svolti i corsi non autorizzati. Rispetto a tale richiesta non vi sarebbe stata alcuna pronunzia i due motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi. Le censure sono inammissibili. Il primo motivo è inammissibile, per la parte relativa alla rilevanza dei documenti perché è dedotto con riferimento a un solo aspetto della complessa motivazione del Tribunale, con la quale il ricorrente non si confronta. In particolare, non prende in esame le argomentazioni svolte a pagina 12-13-14 della sentenza. Il giudice di appello rileva che non vi è la prova della consegna del denaro al Mi. e neppure che questi abbia consegnato le somme alla Pa L'odierno ricorrente, secondo il giudice di appello, non avrebbe depositato la dichiarazione di idoneità su carta intestata della banca, né la documentazione fornita durante il corso. Non sono stati prodotti i documenti del procedimento penale che il ricorrente avrebbe potuto acquisire quale parte offesa. Ulteriore elemento preso in esame dal Tribunale l'unico oggetto di censura riguarda il rapporto di dipendenza della Paloni dalla BNL oggetto della prima censura La seconda doglianza è dedotto in violazione dell'articolo 366, n. 6 c.p.c. in quanto parte ricorrente ha omesso di allegare la circostanza secondo cui il giuramento decisorio sarebbe stato effettivamente deferito, in particolare, ha mancato di specificare la fase processuale nella quale tale mezzo di prova sarebbe stato richiesto con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c. con riferimento ai fatti non specificamente contestati, che la decisione impugnata avrebbe ritenuto non provati. In particolare, il ricorrente aveva dedotto nell'atto di citazione di essere entrato in contatto con quella che si è poi scoperta essere tale Sa. Pa., la quale si presentava con il falso nome di dottoressa Bi. e quale dipendente Bnl . Rispetto a tale deduzione nella costituzione di primo grado la banca non avrebbe svolto alcuna concreta contestazione, mantenendo una posizione ambigua riguardo al profilo specifico del rapporto di dipendenza della Pa. con l'istituto di credito. In particolare, soffermandosi su tale aspetto, si sarebbe limitata a parlare di presunte dipendenti della Bnl S.p.A. , ribadendo che l'attore non avrebbe fornito la prova del fatto ovverosia il rapporto di dipendenza dell'autore dell'illecito con la banca , ma contestando soprattutto la circostanza che Fr. Mi. fosse dipendente della banca. In sostanza, quest'ultima si sarebbe limitata a ribadire che era onere dell'attore dimostrare, sia l'esistenza del rapporto di dipendenza tra Bnl e la sedicente dottoressa Bi. alias Sa. Pa. sia che quest'ultima fosse l'autrice dell'illecito. Sulla base di tali elementi non ricorrerebbe l'ipotesi di contestazione specifica poiché la banca si sarebbe limitata a ribadire che nulla di tutto ciò è stato provato da Ma. Ma. . Secondo l'orientamento di legittimità la negazione del fatto, non accompagnata dalla indicazione di un altro fatto positivo incompatibile con quello negato, costituirebbe una semplice contestazione generica in quanto tale rilevante ai sensi dell'articolo 115 c.p.c il motivo è infondato sotto due profili. In primo luogo la deduzione del fatto principale contenuta nel ricorso e qualificata dalla ricorrente quale circostanza specifica, che avrebbe richiesto una contestazione specifica, in realtà è una deduzione generica rispetto al profilo centrale del rapporto di dipendenza dell'autrice del fatto illecito con l'Istituto di credito. Come riportato dal ricorrente, questi si sarebbe limitato a precisare di essere entrato in contatto con una persona che avrebbe affermato due circostanze da sottoporre a verifica si sarebbe presentata con il nome falso di dottoressa Bi. e quale dipendente Bnl incaricata della gestione del concorso . In sostanza, il fatto come esposto si riferisce alla versione che sarebbe stata fornita all'attore dalla presunta Bi., successivamente individuata nella persona di Sa. Pa Una siffatta deduzione non individua il profilo centrale che costituisce il presupposto giuridico della domanda e cioè il rapporto di dipendenza di tale interlocutore con l'Istituto di credito. Anzi tale aspetto, nei termini in cui è trascritto dal ricorrente, sembra riferirsi alla prospettazione della apparente Bi., che avrebbe dichiarato di avere quel nome e di essere dipendente della banca. Circostanze tutte da appurare e poi risultate effettivamente fuorvianti, quanto meno con riferimento alle generalità della persona. Anche volendo accedere a un'interpretazione meno rigorosa dell'obbligo di deduzione specifica del motivo che consenta di utilizzare anche la parte dedicata allo svolgimento del procedimento di primo grado riprendendo l'indicazione dell'incipit del terzo motivo l'esito del giudizio di questa Corte non potrebbe mutare. Infatti, a pagina 3 del ricorso, il ricorrente, nella parte dedicata alla ricostruzione specifica di tale vicenda fattuale, si limita a sintetizzare quanto dedotto in citazione, rilevando di avere precisato nell'atto introduttivo che la sedicente dottoressa Bi. si chiamava in realtà Sa. Pa. e che la stessa era effettivamente dipendente della Bnl . Orbene una siffatta deduzione non consente a questa Corte di operare una verifica riguardo alla sussistenza di una deduzione specifica, al fine di verificare la specificità o meno della contestazione di controparte a prescindere da ciò, come emerge anche dal contenuto del ricorso pagina 17 l'istituto di credito ha operato una contestazione relativa a tutti i profili della vicenda, evidenziando che l'attore non aveva fornito la prova che il bando di concorso proveniva dalla banca, la sussistenza concreta di un danno, il versamento delle somme, l'esistenza del corso di formazione, la circostanza che la Bi. o la Pa. fosse l'autrice dell'illecito, la presunta esistenza di un rapporto di dipendenza con l'Istituto di credito e ciò esclude in radice l'ipotesi della non contestazione ai sensi dell'articolo 115 c.p.c ne consegue che il ricorso deve essere rigettato le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. Infine, va dato atto mancando ogni discrezionalità al riguardo tra le prime Cass. 14/03/2014, n. 5955 tra molte altre Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245 della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.