Gravemente ferito in un incidente stradale: il danno subito da genitori e fratelli può essere provato per presunzioni

Il danno non patrimoniale consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di una persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito può essere dimostrato tramite prova presuntiva, in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta.

Così l’ordinanza n. 7748/20 depositata dalla Terza Sezione Civili della Cassazione l’8 aprile. Il caso. A seguito di un sinistro stradale, il terzo trasportato in sella ad un motociclo, rimasto gravemente ferito, e i suoi congiunti agivano in giudizio nei confronti degli eredi del conducente deceduto, della sua assicurazione e del conducente dell’altro veicolo coinvolto, oltre alla rispettiva assicurazione. Il Tribunale ripartiva la causa del danno in diverse percentuali. In appello, veniva rigettato il gravame del terzo trasportato e dei suoi congiunti, mentre veniva accolta la doglianza della compagnia assicurativa del veicolo ritenuto responsabile al 70% relativamente alla prova del danno subito dai congiunti del terzo trasportato. Quest’ultimi hanno proposto ricorso per cassazione. Danni subiti dai congiunti della persona offesa. Oggetto sostanziale del ricorso è la negazione del risarcimento ai congiunti del terzo trasportato, rimasto gravemente ferito. Essi lamentano infatti la violazione dell’art. 2607 c.c. per aver subito un pregiudizio alla persona come conseguenza del danno inferto al proprio congiunto, il cui riconoscimento è stato negato dalla Corte d’Appello per l’insussistenza di un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare . La doglianza risulta fondata in quanto, come ha già avuto modo di precisare la giurisprudenza di legittimità, il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta cfr. Cass. Civ. n. 11212/19 Cass. Civ. n. 2788/19 Cass.Civ. n. 17058/17 . Si tratta, in altre parole, di un danno iure proprio invocato dai congiunti. Aggiunge infatti la Corte che si parla spesso impropriamente di fanno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri. In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita . Tali pregiudizi non richiedono una prova più rigorosa rispetto ad altri, ben potendo dunque essere dimostrati anche per presunzioni, tra cui il rapporto di stretta parentela con la persona offesa come, secondo un criterio di normalità sociale, quello sussistente con genitori e fratelli. La Corte territoriale ha dunque errato nel ritenere che queste sofferenze debbano tradursi in uno totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare per poter aver un riconoscimento giuridico. Si tratta infatti di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita . In conclusione, la Corte accoglie il suddetto motivo e cassa la sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 21 novembre 2019 – 8 aprile 2020, n. 7748 Presidente Amendola – Relatore Cricenti Fatti di causa Ricorrono R.P. ed i suoi congiunti, genitori, e fratelli, a causa di un incidente stradale, nel quale il primo era trasportato in sella ad un motociclo da C.L. , rimasto vittima del sinistro, causato altresì dal conducente di altro veicolo, tale D.G.A. . I ricorrenti hanno agito in giudizio sia verso gli eredi del conducente del motociclo C. e la loro assicurazione, che nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo antagonista condotto da D.G. e rispettiva compagnia di assicurazione. Il Giudice di primo grado ha ritenuto di ripartire la causa del danno attribuendo il 70% a D.G. ed il 30% al C. conducente del motorino mentre il R. , qui ricorrente, è stato ritenuto responsabile del danno a se stesso nella misura del 10%, e gli è stata liquidata una somma per il danno alla persona subito, e cosi anche ai suoi congiunti, di riflesso. Questa sentenza di primo grado è stata impugnata, con autonomi appelli, dal R. e congiunti, e dalla Groupama, compagnia di assicurazione garante del veicolo condotto dal D.G. . I due appelli sono stati riuniti. Il giudice di secondo grado ha rigettato poi l’appello del R. e dei suoi congiunti, ed accolto quello di Groupama relativamente alla prova del danno dei congiunti del R. , terzo trasportato. Avverso tale sentenza propongono ricorso principale R. ed i congiunti, con tre motivi e ricorso incidentale i congiunti eredi di C. . V’è costituzione con controricorso di Groupama, che chiede il rigetto della impugnazione. C. deposita memorie. Ragioni della decisione 1.- Le rationes oggetto di ricorso. La decisione impugnata nega il risarcimento ai congiunti di R.P. , gravemente ferito durante l’incidente, ritenendo non provato il danno da costoro invocato, e non presumibile neanche in base al mero rapporto di parentela. Nega altresì il risarcimento del danno morale alla vittima primaria ritenendolo compreso in quello biologico, nonché quello alla capacità lavorativa, in quanto non provato. Conferma il concorso di colpa del 10% del danneggiato R. quanto alle conseguenze dannose. 2.- I motivi di ricorso sono tre. V’è un ricorso incidentale degli eredi C. , che va esaminato infine. 2.1- Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono di una erronea interpretazione dell’art. 2697 c.c., da parte della corte di merito, quanto alla prova del danno iure proprio dei congiunti. Ma, prima di ciò, postulano una omessa decisione quanto alla posizione di uno dei ricorrenti, danneggiati in secundis, ossia R.L. . La sentenza di primo grado aveva dato atto che si trattava di quattro congiunti, che invece erano cinque. Fatto appello su questa omissione, che escludeva il R.L. , la corte non vi avrebbe posto rimedio. In questa parte il motivo è infondato. Infatti, la corte dà atto dell’appello di R.L. , volto a farsi includere nel novero dei congiunti danneggiati, ed implicitamente lo decide, rigettando per tutti, appellante compreso, la domanda di risarcimento del danno. Quanto invece alla violazione dell’art. 2607 c.c., i congiunti lamentavano un pregiudizio alla persona danno non patrimoniale come conseguenza del danno inferto al congiunto, ossia delle lesioni patite da quest’ultimo. Secondo la corte di merito un danno dei congiunti, come conseguenza delle lesioni inferte al parente, è ipotizzabile solo se consistente in un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito dal familiare . Ciò porta la corte a concludere che la prova di un tale sconvolgimento delle abitudini di vita non è stata fornita, e non può desumersi dal mero rapporto di parentela p. 11-12 . Il motivo è fondato. In astratto, come è stato precisato da questa corte, il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta Cass. 11212/2019 Cass. 2788/2019 Cass. 17058/2017 . La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa essa postula, invero, che il danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo quello consistente nel totale sconvolgimento delle abitudini di vita , limitazione che non ha in realtà alcuna ragion d’essere. Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo danno morale che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico una malattia , anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita. Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio. Si parla spesso impropriamente di fanno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri. In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita. Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni. E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela nella fattispecie, genitori e fratelli tra la vittima in primis, per cosi dire, ed i suoi congiunti. Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale ossia ciò che solitamente accade che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo. Nè v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste sofferenze si traducano in uno sconvolgimento delle abitudini di vita , in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita. 3.- Il secondo motivo riguarda la vittima primaria. Quest’ultima si duole del mancato riconoscimento del danno morale e di quello alla capacità lavorativa, e lamenta dunque una erronea interpretazione della regola sulla prova di tali pregiudizi art. 2697 c.c. . Il motivo è inammissibile. Esso contiene la rivendicazione di due tipi di danno, non riconosciuti dal giudice di merito quello morale soggettivo, e quello alla capacità lavorativa. Quanto al primo, il giudice di merito ha ritenuto che la sua liquidazione debba farsi, seguendo le tabelle milanesi, nei termini di una personalizzazione del danno biologico, o meglio, attraverso l’aumento di una percentuale di quel danno, a significare il rilievo accordato al danno morale pagine 12-14 . Tuttavia, il ricorrente non allega alcunché a dimostrazione di aver patito un danno morale. Ossia contesta in astratto la regola che la corte di merito ritiene applicarsi a quel tipo di danno, ma non allega in concreto elementi che possano giustificare un accertamento di tale pregiudizio. Così che la censura non è rilevante, avendo di mira solo un principio astratto senza alcuna concreta rilevanza quanto alla rivendicazione del ricorrente. Infondato è invece il motivo quanto al danno alla capacità lavorativa. Si può concordare con la tesi secondo cui la capacità lavorativa generica e una componente del danno biologico Cass. 17931/2019 contra 12211/2015, che ne fa questione di perdita di chance. Tuttavia, la chance è un danno incerto attuale e non un danno certo futuro . Con la conseguenza che la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale, risolvendosi in una menomazione dell’integrità psico-fisica dell’individuo, è risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico Cass. 17931/2019 . Ed in tale misura essi sono stati liquidati, ed infatti il CTU ha ricompreso quella perdita nella invalidità permanente. 4.- Il terzo motivo denuncia sotto forma di insufficiente o contraddittoria motivazione artt. 132 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5 l’accertamento che ha portato ad attribuire un 10% di concorso di colpa del danneggiato quanto all’ammontare del danno che, si ritiene, costui poteva evitare mettendo il casco . Il motivo è inammissibile, poiché richiede a questa corte una nuova valutazione dei fatti. Si tratta di un accertamento in fatto basato sulle conclusioni e motivazioni della CTU medico legale, che a suo tempo ha ritenuto riducibili i danni se fosse stato usato il casco. 5.- V’è poi il ricorso incidentale dei controricorrenti congiunti del C. . Essi lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 102 del 2006, poi abrogata. La corte di appello ha ritenuto tardiva, accogliendo apposita doglianza sul punto, la comparsa di costituzione dei ricorrenti incidentali nel giudizio di primo grado,, ritenendo non applicabile la sospensione dei termini a questa fattispecie. Secondo i ricorrenti non v’era alcun termine da rispettare perché la comparsa era proposta non in un giudizio nuovo, ma nella prosecuzione di quello estinto. Il motivo è inammissibile. È invero difficile da capire cosa censurino e perché i ricorrenti incidentali. La corte di merito ha dichiarato tardiva la comparsa del 2001 mentre i ricorrenti assumono la tempestività di una comparsa presumibilmente depositata nel 2009, nel giudizio instaurato come prosecuzione di quello del 2001, estinto. Non v’è dunque, se cosi fosse, corrispondenza con la ratio della sentenza che dichiara tardiva una diversa comparsa di costituzione, quella depositata nel giudizio iniziale del 2001. Vanno pertanto accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza cassata con rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il secondo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.