Sconnessione del marciapiede, ma resta uno spazio per passare in sicurezza: niente risarcimento per la caduta

Vittoria per un Comune nella battaglia giudiziaria con una cittadina, rimasta vittima di un capitombolo nel centro del paese. Ricostruito l’episodio, è evidente per i Giudici la condotta imprudente della donna.

Poco salutare la passeggiata nel centro cittadino una donna viene tradita da una sconnessione del marciapiede e finisce rovinosamente a terra. Per lei, però, nessun risarcimento da parte del Comune secondo i Giudici, difatti, il capitombolo è frutto della sua disattenzione Cassazione, ordinanza n. 6403/20, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Buca. Scenario dell’incidente è un piccolo paese in Abruzzo. La donna, ripresasi fisicamente dopo la brutta avventura, cita in giudizio il Comune, chiedendo il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della caduta , avvenuta, a suo dire, a causa di una buca imprevista e non segnalata esistente in una via del centro cittadino . La versione dei fatti da lei fornita non convince però i giudici di merito, che ne respingono la pretesa risarcitoria e la condannano a pagare le spese di giudizio. Colpe. A chiudere il fronte giudiziario arriva ora la decisione della Cassazione, che certifica in modo definitivo l’assenza di responsabilità da parte del Comune, a fronte delle evidenti colpe della persona danneggiata. In particolare, i Giudici condividono la linea seguita in Appello, laddove si è sottolineato che la caduta – verificatasi in ora diurna – della donna era stata causata sì da un’ampia sconnessione del marciapiede” che però era ben visibile a causa della diversa connotazione cromatica rispetto alla restante parte del marciapiede . E peraltro nel punto ove era avvenuta la caduta, residuava comunque uno spazio sufficiente per un comodo e sicuro transito pedonale . Nessun dubbio, quindi, sul fatto che la donna abbia tenuto una condotta non conforme al generale dovere di tutela esigibile dagli utenti della strada . E questa constatazione è sufficiente per respingere la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del Comune.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 30 gennaio – 6 marzo 2020, n. 6403 Presidente Scoditti – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Ma. As. Fr. convenne in giudizio il Comune di Pineto, davanti al Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Atri, chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta avvenuta a causa di una buca imprevista e non segnalata esistente in una via del centro cittadino nella quale ella si era trovata a transitare. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, espletate due consulenze tecniche e svolta prova per testimoni, rigettò la domanda e condannò l'attrice al pagamento delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza del 9 maggio 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha condannato l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila ricorre Ma. As. Fr. con atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Pineto con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , n. 4 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2907 cod. civ. e degli artt. 101, 112, 113, 183 del codice di procedura civile. Rileva la ricorrente che i fatti così come da lei prospettati fin dall'atto di citazione, pur facendo riferimento al concetto di insidia stradale e, quindi, all'art. 2043 cod. civ., non escludevano che l'azione fosse da intendere anche come proposta ai sensi dell'art. 2051 del codice civile. Il Tribunale aveva rilevato che la domanda ai sensi dell'art. 2051 cit. era stata proposta solo in comparsa conclusionale, e perciò tardivamente ma tale rilievo sarebbe errato e la censura, già posta alla Corte d'appello, viene adesso riproposta contro la sentenza di secondo grado. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , n. 4 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2051 e 2697 cod. civ., nonché dell'art. 115 del codice di procedura civile. L'articolata doglianza, nel ricapitolare la motivazione della sentenza in esame e i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità sull'obbligo di custodia delle strade, sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nella ricostruzione dei fatti e nell'accertamento del carattere assorbente della colpa della danneggiata mentre avrebbe dovuto riconoscere che la buca non era visibile e che non vi era alcuna possibilità di passaggio alternativo per la ricorrente. 3. Ragioni di economia processuale consigliano di esaminare il ricorso cominciando dal secondo motivo. 3.1. Esso, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull'obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1. febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. 3.2. La Corte d'appello, che si è correttamente richiamata a questa giurisprudenza, ha fatto buon governo di tali principi. La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha innanzitutto dato atto che la domanda risarcitoria era stata proposta in modo non chiaro, nel senso che la danneggiata non aveva compiuto una scelta tra l'azione generale di responsabilità extracontrattuale e quella di responsabilità oggettiva per fatto della cosa in custodia . Tanto premesso, la Corte abruzzese ha specificato che la caduta della Fr. era stata causata da un'ampia sconnessione del marciapiede, la quale era ben visibile a causa della diversa connotazione cromatica rispetto alla restante parte del marciapiede . Ha aggiunto la sentenza che nel punto ove era avvenuta la caduta residuava comunque uno spazio sufficiente per un comodo e sicuro transito pedonale. Per cui, essendo la caduta avvenuta in ora diurna, la domanda risarcitoria doveva essere respinta, essendo la condotta della danneggiata non conforme al generale dovere di cautela esigibile dagli utenti della strada. 3.3. A fronte di tale motivazione si infrangono le doglianze contenute nel motivo di ricorso qui in esame mentre è evidente, infatti, sulla base dei precedenti rilievi, che le prospettate violazioni di legge non sussistono, nel contempo le censure suindicate sollecitano questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito. 4. Il rigetto del secondo motivo rende ininfluente l'esame del primo. La sentenza impugnata, infatti, ha dimostrato che la responsabilità del Comune di Pinete non era configurabile né ai sensi dell'art. 2043 né ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. ragione per cui il presunto errore di diritto, lamentato dalla ricorrente in ordine alla tardività della prospettazione della domanda ai sensi dell'art. 2051 cit, è privo di rilevanza, posto che la Corte di merito ha esaminato il merito della stessa anche alla luce dei principi enunciati dall'art. 2051 cit. in tema di responsabilità del custode. 5. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.