Jogging per il presidente della Provincia, che viene investito da una moto: niente indennizzo dall’assicurazione

Respinta la pretesa avanzata nei confronti della compagnia che aveva garantito una copertura alla Provincia. Legittima l’applicazione dei principi previsti per gli infortuni in itinere.

Brutto incidente mattutino per un amministratore pubblico – il presidente di una Provincia, per la precisione –, investito da una moto mentre cammina a piedi. A suo dire, era di ritorno da due colloqui collegati alle proprie funzioni, ma a metterne in discussione la tesi è anche l’abbigliamento, cioè una tuta da jogging. Per l’assicurazione – che ha garantito una ‘copertura’ per i presidenti pro tempore della Provincia – però non vi sono i presupposti per un indennizzo. E questa decisione è ritenuta legittima dai giudici, proprio alla luce dei termini del contratto, che fanno riferimento, in sostanza, al concetto di infortunio in itinere. Cassazione, ordinanza n. 5119/20, sez. VI Civile - 3, depositata il 25 febbraio . Investimento. Il fattaccio risale a una mattina febbraio del 2008, quando l’amministratore pubblico viene investito da un motociclo, riportando diverse lesioni. Egli in qualità di presidente della Provincia chiama in causa la compagnia assicurativa che aveva raggiunto un’intesa con la Provincia garantendo copertura degli infortuni subiti” dai presidenti pro tempore a causa e nell’esercizio delle funzioni”, e chiede un indennizzo, spiegando che in occasione dell’incidente stava esercitando le proprie funzioni, in quanto stava ritornando da due colloqui con soggetti privati, preordinati all’adozione di provvedimenti amministrativi”. Netta l’opposizione della compagnia assicurativa, che nega che la vittima stesse esercitando le proprie funzioni amministrative al momento dell’infortunio” poiché essa stava svolgendo attività ginnica”, come desumibile dall’ora le 8 del mattino ” e dall’ avere indosso una tuta ginnica”. In Tribunale viene accolta la richiesta del presidente della Provincia, ma i Giudici d’appello adottano una visione diversa, ritenendo che al momento dell’investimento l’assicurato stesse praticando jogging” e che se anche quel mattino avesse svolto attività istituzionale, l’itinerario e l’ora di percorrenza erano stati scelti per avere l’opportunità di fare jogging e non per esigenze connesse all’attività lavorativa”. Lavoro. A confermare la decisione pronunciata in Appello provvede ora la Cassazione, respingendo definitivamente la pretesa avanzata dal presidente della Provincia nei confronti della compagnia assicurativa. L’amministratore pubblico spiega ai giudici che per l’infortunio da lui subito non sono applicabili i principi previsti per l’infortunio in itinere del lavoratore subordinato”, poiché in questo caso l’assicurato è un pubblico amministratore” e quindi non può trovare applicazione il principio secondo cui le scelte arbitrarie del lavoratore circa il tragitto casa-lavoro escludono l’indennizzabilità dell’infortunio. Egli aggiunge poi che tale limitazione non era presente nella polizza e di conseguenza doveva essere indennizzato ogni infortunio avvenuto in occasione di lavoro”, anche perché al momento dell’investimento stava rientrando da colloqui svolti per ragioni di ufficio erano irrilevanti le scelte compiute dall’assicurato circa il tragitto da compiere”. Queste considerazioni vengono respinte dai giudici della Cassazione. Questi ultimi ritengono pienamente logica la visione tracciata in Appello, laddove si è osservato che il contratto copre gli infortuni in itinere, ma non li definisce” e quindi si deve ritenere che con tale espressioni le parti – Provincia e compagnia assicurativa – abbiano inteso fare riferimento al concetto di infortunio in itinere come previsto e disciplinato dal testo unico sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro”. Detto in soldoni, non sussiste rischio in itinere quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato ma”, come in questo caso, costituisca una deviazione del tutto indipendente dal lavoro”. Sacrosanta, quindi, la visione tracciata dalla compagnia assicurativa, e ritenuta corretta dai giudici. E ciò comporta che il presidente della Provincia non ha diritto ad alcun indennizzo per l’incidente subito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 25 settembre 2019 – 25 febbraio 2020, n. 5119 Presidente Frasca – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Gi. To. nel 2011 convenne dinanzi al Tribunale di Cremona la società INA Assitalia s.p.a. che in seguito muterà ragione sociale in Generali Italia s.p.a. d'ora innanzi, sempre e comunque, la Generali , esponendo che - nel 2008 rivestiva la carica di Presidente della Provincia di Cremona - la Provincia di Cremona aveva stipulato un'assicurazione per conto di chi rivestisse quella carica, a copertura degli infortuni subiti a causa e nell'esercizio delle funzioni - il 7.2.2008 patì un infortunio, allorché venne investito da un motociclo - al momento dell'infortunio stava esercitando le proprie funzioni, in quanto stava ritornando da due colloqui con soggetti privati, preordinati all'adozione di provvedimenti amministrativi la realizzazione di una pista ciclabile la sovvenzione di un laboratorio genetico . Chiese pertanto la condanna dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo contrattualmente dovuto. 2. La Generali si costituì negando, per quanto in questa sede ancora rileva, che la vittima al momento dell'infortunio stesse esercitando le proprie funzioni amministrative. Dedusse che in quel momento la vittima stesse svolgendo attività ginnica, come si desumeva dall'ora le 8 00 del mattino , e dal fatto che l'infortunato indossasse una tuta ginnica. 3. Con sentenza 20.3.2014 n. 156 il Tribunale accolse la domanda. La sentenza venne appellata dalla Generali. La Corte d'appello di Brescia, con sentenza 18.5.2017 n. 721, accolse il gravame dell'assicuratore e rigettò la domanda attorca. Ritenne la Corte d'appello che al momento dell'investimento l'assicurato stesse praticando jogging, e che se anche quel mattino avesse svolto attività istituzionale, l'itinerario e l'ora di percorrenza di esso erano stati scelti per avere l'opportunità di fare jogging e non per esigente connesse all'attività lavorativa'. 4. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da Gi. To. con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memoria. Ma resistito la Generali con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il motivo unico di ricorso. 1.1. Con l'unico motivo di ricorso Gi. To. lamenta, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione dell'art. 2 D.P.R. 30.6.1965 n. 1124, sotto il profilo del vizio di sussunzione. Sostiene una tesi così riassumibile - la Corte d'appello, per pervenire ad escludere il diritto all'indennizzo da parte dell'assicurato, ha escluso che questi avesse patito un infortunio in itinere - per giungere a tale conclusione, a sua volta, la Corte d'appello ha applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di infortunio in itinere del lavoratore subordinato, mentre nel caso di specie l'assicurato era un pubblico amministratore - non poteva, perciò, trovare applicazione nel caso di specie il principio secondo cui le scelte arbitrarie del lavoratore circa il tragitto da seguire da casa al lavoro o viceversa escludono l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere. Questa limitazione, deduce il ricorrente, nella polizza non c'era, e di conseguenza doveva essere indennizzato ogni infortunio avvenuto in occasione di lavoro . E poiché nella specie era pacifico che l'assicurato al momento dell'investimento stesse rientrando da colloqui svolti per ragioni di ufficio, erano irrilevanti le scelte compiute dall'assicurato circa il tragitto da compiere. 1.2. Il motivo è inammissibile, per varie ed indipendenti ragioni. 1.3. In primo luogo è inammissibile per violazione dell'onere di indicazione ed allegazione di cui all'art. 366, n. 6, c.p.c. Il ricorso, infatti, lamenta in sostanza una erronea applicazione, da parte della Corte d'appello, dei patti contrattuali contenuti nella polizza assicurativa. E', quindi, un ricorso che, per usare le parole della legge, si fonda sui contratto della cui erronea applicazione il ricorrente si duole. Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l'onere di indicarli in modo specifico nel ricorso, a pena di inammissibilità art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c . Indicarli in modo specifico vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte a trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo b indicare in quale fase processuale siano stati prodotti c indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione in tal senso, ex multis, Sez. 6 - 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016 Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015 Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013 Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011 . Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo i primi due. Il ricorso, infatti, non indica con quale atto ed in quale fase processuale atto di citazione, memorie ex art. 183 c.p.c. ordine di esibizione, ecc. sia stata prodotta la polizza, né dove sia allegata e con quale indicizzazione. 1.4. In secondo luogo, ad abundantiam, il ricorso è comunque inammissibile perché investe un apprezzamento di fatto. La Corte d'appello, infatti, per rigettare la domanda ha così argomentato p. 6 della sentenza - il contratto copre gli infortuni in itinere, ma non li definisce - si deve dunque ritenere che con tale espressione le parti abbiano inteso fare riferimento al concetto di infortunio in itinere' come previsto e disciplinato dal testo unico sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, e quindi all'art. 2 D.P.R. 30.6.1965 n. 1124, come modificato dall'art. 12 D.Lgs. 38/2000 - alla stregua di tali norme non sussiste rischio in itinere quando il tragitto seguito dal lavoratore non sia necessitato, ma costituisca una deviazione del tutto indipendente dal lavoro . Il fondamento della decisione dunque è che il contratto di assicurazione rinvia alla disciplina dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro . 1.5. Il ricorrente, di contro, oppone che la suddetta disciplina di cui al D.P.R. 1124/65 non era pertinente nel caso di specie, e sostiene che la polizza non facesse affatto rinvio al D.P.R. 1124/65. La censura pertanto, al di là della sua intitolazione formale, nella sostanza assume che la Corte abbia male interpretato il contratto. Ma una censura siffatta cozza contro vari principii, ripetutamente affermati da questa Corte ovvero che l'interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto si assumano violate le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. che tale violazione non può dirsi sussistente sol perché il testo contrattuale consentiva in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata che l'interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni ex multis, in tal senso, Sez. 3 - , Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 - 01 Sez. 1 - , Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017 Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014 Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012 Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 - 01 . Nel caso di specie, però, il ricorrente non lamenta affatto la violazione di uno o più tra i canoni legali di ermeneutica, ma contrappone la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d'appello, che di per sé era comunque non implausibile di qui l'inammissibilità del motivo di ricorso. 2. Le spese. 2.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c. e sono liquidate nel dispositivo. 2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . P.Q.M. - dichiara inammissibile il ricorso - condanna Gi. To. alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Gi. To. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.