Condotta processuale illecita e azione di risarcimento del danno

La produzione illegittima di un certificato penale in giudizio configura violazione dell’art. 96 c.p.c. e il risarcimento del danno derivante da tale condotta processualmente illecita deve essere chiesto nel giudizio in cui questa è stata tenuta, e non attraverso autonoma azione.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 5097/20 depositata il 25 febbraio. Il caso. L’attrice chiedeva ai convenuti il risarcimento del danno morale da violazione della riservatezza, per aver questi ultimi illegittimamente e senza necessità di prova prodotto in giudizio un certificato penale del casellario giudiziale che riportava la sua condanna per la realizzazione di un bagno abusivo. Soccombente sia in primo che in secondo grado, l’attrice ricorre per cassazione. Condotta processuale illecita. La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso inammissibile, afferma che si tratta di un danno riferibile ad una violazione dell’art. 96 c.p.c., intenso in senso ampio e comprensivo di ogni condotta processualmente illecita, con la conseguenza che il risarcimento dei danni causati deve essere domandato nel processo in cui la condotta è stata tenuta, e non tramite autonoma azione ex art. 2043 c.c., salvo, prosegue la Corte, il caso in cui la proposizione in quel giudizio fosse preclusa per evoluzione propria dello specifico processo ovvero per ragioni non dipendenti dall’inerzia di parte, o il caso in cui il ricorrente non abbia dimostrato un interesse specifico a proporre separatamente la domanda di risarcimento. Pertanto, secondo i Giudici di legittimità, avendo la domanda di risarcimento del danno titolo nella condotta processuale della controparte, la ricorrente avrebbe dovuto proporla in quel giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 dicembre 2019 – 25 febbraio 2020, n. 5097 Presidente Amendola – Relatore Cricenti Fatti di causa La ricorrente C.E. ha avuto una controversia civile con gli eredi P. , titolari di una proprietà limitrofa. Nel corso di tale controversia questi ultimi hanno depositato un certificato del casellario giudiziale che riportava una condanna della C. per la realizzazione di un bagno abusivo. La produzione di tale certificato è stata altresì reiterata in appello, pur essendo venuta meno, in quel momento, la menzione del precedente giudiziario, e pur dovendo quindi quel certificato semmai essere depositato in forma aggiornata. La C. ha ritenuto che la produzione del certificato penale a suo carico non fosse legittima, e neanche giustificata da necessità di prova o di argomentazione, ossia fosse del tutto irrilevante per il giudizio tra confinanti, e cosi ha citato in causa i P. per avere il risarcimento del danno morale da violazione della riservatezza. Il giudice di primo grado, pur ritenendo astrattamente configurabile il reato di cui all’art. 497 c.p., nella acquisizione e produzione del certificato, ha però rigettato la domanda sul presupposto che non fosse provato alcun danno. Quello di appello, oltre a confermare questa ratio, ha aggiunto che la produzione in giudizio di quel certificato era giustificata da ragioni difensive le quali prevalgono comunque sulla riservatezza, cosi che neanche poteva prospettarsi una qualche illiceità di quel comportamento. La C. propone otto motivi di ricorso avverso questa decisione di appello, cui resistono con controricorso i P. . Il PM ha depositato conclusioni scritte con cui chiede il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1.- La ratio della decisione impugnata. La sentenza di appello assume la piena liceità della acquisizione e della produzione in giudizio del certificato penale, ritenendo prevalenti le esigenze di difesa, ritenendo inoltre che un atto, anche se illegittimamente acquisito, è comunque utilizzabile nel processo civile, salve responsabilità di altro genere. Infine, ritiene non provato il danno lamentato dall’attrice. 2.- La C. ricorre con otto motivi di censura. 2.1.- Con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa pronuncia su una espressa domanda. Ritiene di aver fatto, con l’atto di citazione, due distinte domande una di mero accertamento, ossia volta a far dichiarare la mera illiceità della produzione in giudizio del certificato penale, ed un’altra di risarcimento del danno conseguente. Assume che il Tribunale non ha deciso sulla domanda di mero accertamento, ritenendo che il difetto di prova del danno bastasse al rigetto fatto appello su tale punto, la corte di secondo grado ha confermato la decisione del primo, ritenendo non già omessa, ma rigettata la domanda di condanna al risarcimento. Secondo la ricorrente però entrambi i giudici avrebbero omesso di pronunciarsi sulla mera illiceità del fatto. 2.-2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione ancora dell’art. 112 c.p.c., nonché della L. n. 196 del 2003, art. 11. La corte di merito oltre a non avere deciso sulla domanda di mero accertamento avrebbe altresì violato la L. 196 del 2003 ritenendo utilizzabile nel procedimento civile il certificato penale, pur se illegittimamente acquisito. La violazione starebbe nel fatto che non si discuteva affatto della utilizzabilità come prova del certificato, quanto della violazione della riservatezza connessa alla sua acquisizione. 2.3.-Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, ossia quello relativo al potere che aveva l’avvocato di controparte di procurarsi quel certificato penale e produrlo in giudizio. Secondo la ricorrente questo aspetto non sarebbe stato considerato nè in primo nè in secondo grado. Ed era rilevante valutarlo proprio ai fini della violazione della legge sulla privacy. 2.4.- Con il quarto motivo invece la ricorrente lamenta violazione della L. n. 196 del 2003, artt. 11 e 24. Con tale motivo contesta la ratio della decisione impugnata secondo cui le esigenze di difesa prevalgono sempre e comunque su quelle di riservatezza, cosi che un certificato penale, pur se illegittimamente acquisito, può comunque essere prodotto in giudizio senza incorrere in responsabilità. Secondo la ricorrente questo assunto è errato non essendovi alcuna regola di prevalenza assoluta delle esigenze di difesa, non avendo quel certificato alcuna attinenza con il processo. 2.5.- Questa censura è ulteriormente sviluppata nel quinto motivo, che denuncia violazione della L. n. 196 del 2003, art. 27, sempre in ordine all’illegittimo trattamento dei dati personali, ed assume come errata la tesi del legittimo trattamento del dato risultante dal casellario, in quanto effettuato non per ragioni di prova, ma per mera denigrazione della controparte. In sostanza, si contesta che possa ammettersi un uso indiscriminatamente lecito nel processo di atti privati, e che tale uso è invece legittimo solo a determinate condizioni, prima fra tutte che l’atto prodotto in giudizio sia pertinente alla causa. 2.6.- Con il sesto motivo questa censura è reiterata per violazione della Costituzione e della Carta Europea, ed in particolare degli artt. 2 e 3 della prima e 8 e 689 della seconda. La tesi della corte di merito secondo cui le esigenze di difesa sempre prevalgono sulla riservatezza violerebbe i diritti riconosciuti all’individuo dalla Costituzione e della Carta Europea, quest’ultima altresì volta ad imporre il trattamento dei dati sotto stretto controllo pubblico. 2.7. Il settimo motivo infine lamenta violazione dell’art. 2059 c.c., art. 185 c.p., artt. 15 e 16 codice privacy. Secondo la corte di merito la ricorrente non avrebbe provato alcun danno come conseguenza della violazione della sua riservatezza. Invece, secondo la ricorrente non si è tenuto in conto che il danno morale è espressamente previsto come risarcibile dal codice privacy, in caso di violazione della riservatezza, e che la sua ricostruzione ben poteva essere effettuata dalla corte, in base a presunzioni. 2.8.- L’ottavo motivo censura violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo. La corte di merito non avrebbe tenuto in alcuna considerazione il certificato medico del 2014, meglio, avrebbe supposto che il certificato medico che refertava problemi di salute nel 2014 non poteva servire a dimostrare danni derivanti da un illecito del 2012. Secondo la ricorrente la corte non avrebbe considerato che l’atto illecito era proprio del 2014, quando era stata reiterata la produzione in giudizio del certificato proprio nel giudizio di appello, ossia nel 2014, ed in particolare di un certificato vecchio non aggiornato con la cancellazione della menzione avvenuta successivamente. 3.- Il ricorso è inammissibile. Infatti, la ricorrente lamenta un danno derivante da uso illegittimo di un certificato penale, in un altro e diverso procedimento rispetto al presente . Ossia, lamenta un danno derivante da una scorretta, se non illegittima, condotta processuale della controparte, compiutasi tuttavia non in questo, ma in altro e diverso procedimento civile. Si tratta allora di un danno riferibile ad una violazione dell’art. 96 c.p.c., il quale è inteso da questa corte in termini ampi, comprensivi di ogni condotta processualmente illecita, con la conseguenza che il risarcimento dei danni causati da una tale illegittima condotta processuale nella fattispecie, l’uso di un certificato abusivamente ottenuto va chiesto nel processo in cui quella condotta è stata tenuta, e non attraverso autonoma azione L’art. 96 c.p.c. si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., sicché la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando nella generale responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96 c.p.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra le due fattispecie, risultando conseguentemente inammissibile la proposizione di un autonomo giudizio di risarcimento per i danni asseritamente derivati da una condotta di carattere processuale, i quali devono essere chiesti esclusivamente nel relativo giudizio di merito Cass. 12029/2017 , salvo che la proposizione in quel giudizio sia stata preclusa per l’evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilità è scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte Cass. 10518/2016 , o che il ricorrente non dimostri un interesse specifico a proporre separatamente la domanda di risarcimento, quindi un interesse diverso da quello che poteva essere fatto valere nel giudizio in cui la responsabilità processuale si è concretizzata Cass. 25862/2017 . La domanda di risarcimento del danno, dunque, avendo titolo in una condotta processuale della controparte l’uso pretestuosamente illegittimo di una prova , andava proposta in quel giudizio, ed è inammissibile in questo. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Spese dell’intero giudizio compensate per la difficoltà e la peculiarità della questione. P.Q.M. La Corte, decidendo il ricorso, cassa la sentenza impugnata senza rinvio, in quanto la do manda non doveva essere proposta. Compensa le spese dell’intero giudizio.