Cade a causa di un tombino scoperto: niente risarcimento dal Comune

Respinta l’ipotesi di responsabilità per l’ente locale. Decisiva la constatazione che la vittima abitava a pochi metri dal luogo dell’incidente, avvenuto in una via del centro cittadino, e quindi era consapevole della condizione precaria della strada. Centrale, invece, il comportamento disattento e negligente della donna. Libero il Comune da ogni responsabilità.

Caduta provocata da un tombino scoperto, presente in una via del centro cittadino. Vittima una donna, che abita a pochi metri di distanza dal luogo della brutta avventura. Per lei, però, non solo il danno della lesione fisica, ma anche la beffa del mancato risarcimento, connesso all’esclusione di responsabilità da parte del Comune Cassazione, ordinanza n. 31217/19, sez. VI Civile - 3, depositata il 29 novembre . Caduta. Scenario dell’episodio è una cittadina siciliana. Lì, in una strada del centro, una donna rimane vittima di una caduta, causata dalla presenza di un tombino sprovvisto di copertura . Ricostruita la dinamica dei fatti, la donna chiama in causa il Comune, chiedendo un adeguato ristoro economico. La domanda viene però respinta prima in Tribunale e poi in Corte d’appello per i giudici di merito, difatti, il pericolo era facilmente percepibile, anche perché la donna abitava proprio nei pressi del luogo dell’incidente e quindi la situazione di dissesto della strada non poteva non esserle nota . Attenzione. La decisione favorevole al Comune presa dai giudici d’Appello viene contestata dal legale della donna. Ogni obiezione si rivela però inutile, anche quella finalizzata a sottolineare che la presenza sulla strada di un tombino aperto costituisce un’insidia . Per i magistrati della Cassazione, difatti, non vi sono dubbi sul fatto che il tratto di strada dove era avvenuta la caduta era interessato da una incuria ed un disinteresse manutentivo parecchio prolungati , e quindi non era pensabile che nessun dipendente della pubblica amministrazione si fosse avveduto di tale situazione . Tuttavia, la situazione dei luoghi era tale, per estensione e visibilità, da dover mettere l’utente della strada in doverosa allerta e attenzione . Senza dimenticare, poi, che la caduta era avvenuta intorno alle 20.15 di una sera di luogo, quindi in condizioni di sufficiente illuminazione diurna e la vittima era una donna di 50 anni, pienamente in grado di percepire il pericolo esistente , anche perché ella abitava proprio nei pressi del luogo del sinistro e la situazione di dissesto della strada non poteva non esserle nota . Tirando le somme, il comportamento della donna è stato altamente negligente e disattento, né la presenza di un tombino con un tondino di ferro sospeso sopra poteva ritenersi elemento sufficiente per l’affermazione della responsabilità del Comune , concludono i giudici.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 13 giugno – 29 novembre 2019, n. 31217 Presidente De Stefano – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. An. To. convenne in giudizio il Comune di Messina, davanti al Tribunale di quella città, chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta avvenuta su un tombino sprovvisto di copertura, sito in una via del centro cittadino. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l'attrice al pagamento delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d'appello di Messina, con sentenza del 4 luglio 2017, ha parzialmente accolto il gravame in relazione alla sola misura della liquidazione delle spese, ha confermato nel resto la sentenza di primo grado ed ha integralmente compensato le spese del giudizio di appello. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Messina ricorre An. To. con atto affidato a tre motivi. Resiste il Comune di Messina con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ. con il secondo si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 cod. civ. con il terzo si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 132, n. 4 , del codice di procedura civile. In particolare, i primi due motivi contestano l'applicazione delle suindicate disposizioni relative alla responsabilità del custode primo motivo ed alla responsabilità da illecito in conseguenza della presenza sulla strada di un tombino aperto, costituente un'insidia secondo motivo mentre il terzo lamenta, in sostanza, un vizio di motivazione. 2. I tre motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della loro evidente connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. 2.1. Questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull'obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1. febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. 2.2. La Corte d'appello ha fatto buon governo di tali principi. La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha innanzitutto riconosciuto che la domanda risarcitoria doveva essere considerata come fondata anche sull'art. 2051 cod. civ., così come ha dato atto che il tratto di strada dov'era avvenuta la caduta era interessato da una incuria ed un disinteresse manutentivo parecchio prolungati , per cui non era pensabile che nessun dipendente della pubblica amministrazione si fosse avveduto di tale situazione. Tanto premesso, però, la Corte di merito ha osservato che la situazione dei luoghi era tale, per estensione e visibilità, da dover mettere l'utente della strada in doverosa allerta e attenzione la caduta era avvenuta intorno alle 20.15 di una sera di luglio, quindi in condizioni di sufficiente illuminazione diurna, la vittima era una donna di 50 anni, come tale pienamente in grado di percepire il pericolo esistente per di più, era emerso dall'istruttoria che ella abitava proprio nei pressi del luogo del sinistro, per cui la situazione di dissesto non poteva non esserle nota. Da tali elementi la Corte d'appello ha tratto la conclusione per cui il comportamento della vittima era stato altamente negligente e disattento , né la presenza di un tombino con un tondino di ferro sospeso al di sopra poteva ritenersi elemento sufficiente per l'affermazione della responsabilità del Comune. In altre parole, quindi, la condotta dell'appellante si era caratterizzata per una macroscopica negligenza, tanto da interrompere, e quindi escludere, il nesso tra l'anomalia della cosa in custodia e l'evento. A ciò la Corte messinese ha aggiunto, in punto di diritto, che l'accertamento del comportamento colposo del danneggiato consentiva anche di ritenere irrilevante l'inquadramento normativo della fattispecie nell'ipotesi di cui all'art. 2051 cod. civ. ovvero in quella dell'art. 2043 del medesimo codice. 2.3. A fronte di tale motivazione si infrangono le doglianze contenute nei motivi di ricorso. I primi due, infatti, pongono censure di violazione di legge che sono prive di fondamento, perché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione delle norme suindicate e della giurisprudenza di questa Corte. Il terzo motivo prospetta, in realtà, una censura di vizio di motivazione mascherata da violazione di legge si tratta di una censura inammissibile in relazione al parametro di cui all'art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., attualmente vigente, e comunque priva di fondamento, posto che la sentenza ha dato ampio conto delle ragioni della propria decisione. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.