Risarcimento del danno non patrimoniale: fondamentale l’aggiornamento delle tabelle

La liquidazione del danno sulla base di tabelle che non sono più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c

Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 30516/19, depositata il 22 novembre, chiamata ad intervenire per la risoluzione di una controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni da parte dei congiunti della vittima, rimasta coinvolta in un sinistro stradale. In primo grado, il Tribunale condannava il conducente, il proprietario di altro veicolo coinvolto e la compagnia assicurativa al risarcimento. In secondo grado, la Corte d’Appello riduceva gli importi del risarcimento, dopo lamentela da parte della compagnia di assicurazione di una stima eccessiva del risarcimento medesimo. Avverso tale decisione i congiunti della vittima ricorrono per cassazione, lamentando il fatto che la Corte d’Appello abbia rifiutato di applicare le tabelle aggiornate in corso di causa, basando il suo giudizio su quelle non più valide. Fondamentale l’aggiornamento delle tabelle. La S.C. ribadisce sul punto che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, nel caso in cui, al termine del giudizio di primo grado, l’ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema tabellare”, la variazione sopravvenuta, nelle more del giudizio di secondo grado, delle tabelle utilizzate consente al danneggiato di proporre impugnazione al fine di ottenere la liquidazione di un maggior importo risarcitorio, se le nuove tabelle prevedano l’applicazione di diversi criteri di liquidazione ovvero una rideterminazione del valore del cosiddetto punto base”, posto che, in tali ipotesi, la liquidazione del danno sulla base di tabelle che non sono più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c A ciò consegue che la Corte territoriale, non avendo tenuto conto dell’aggiornamento delle tabelle al momento della propria decisione, ma avendo fatto riferimento alle tabelle ormai superate, non ha correttamente applicato il criterio equitativo per la stima del danno. Il ricorso, pertanto, viene accolto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 ottobre – 22 novembre 2019, n. 30516 Presidente Amendola – Relatore Cricenti Fatti di causa I ricorrenti sono congiunti di C.C. , deceduta a seguito di un incidente stradale, provocato da E.H.K. che investiva, a bordo di un veicolo di proprietà di Z.L. , la vettura a bordo della quale la giovane C. viaggiava come terza trasportata. Gli eredi della vittima agivano in giudizio contro il conducente ed il proprietario dell’altro veicolo nonché la compagnia di assicurazione, Milano Assicurazioni spa. Il Tribunale in primo grado riconosceva la esclusiva responsabilità dei convenuti e li condannava, unitamente alla compagnia di assicurazione, al risarcimento dei danni sia iure proprio che iure hereditatis. Proponeva appello la Milano Assicurazioni, lamentando una stima eccessiva del risarcimento riconosciuto ai congiunti, e la Corte di Appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, riduceva gli importi, ordinando ai danneggiati la restituzione delle somme percepite in eccesso. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi, con cinque motivi. Non v’è costituzione degli intimati. Ragioni della decisione 1.- La ratio della decisione impugnata è intanto nella determinazione del risarcimento. Secondo la corte di merito, il giudice di primo grado, nell’applicare le tabelle milanesi del 2008 all’epoca vigenti , ha riconosciuto importi eccessivi, proprio alla luce di quei parametri ha inoltre riconosciuto un danno cosiddetto biologico e morale terminale che, invece, considerata la breve sopravvivenza della vittima 15 giorni in stato vegetativo, non andava riconosciuto. 2.- I motivi di ricorso sono cinque, ma il primo attiene alla eccepita inammissibilità dell’appello, per tardività. I ricorrenti avevano eccepito in appello la tardività della impugnazione, sostenendo che si applicasse il rito lavoro riforma del 2006 anche al giudizio di secondo grado, nonostante il primo fosse soggetto ratione temporis a quello ordinario perché introdotto ante riforma e che dunque la tempestività della impugnazione andasse verificata con riguardo al momento di deposito della citazione in appello che andava qualificata come ricorso, proprio in ragione del rito da applicare , e con riferimento a tale momento doveva ritenersi tardiva. La corte di appello ha rigettato tale eccezione ritenendo non applicabile il rito lavoro in ragione della data anteriore alla entrata in vigore della riforma in cui era stata introdotta la causa. Il motivo è infondato. Infatti in materia di appello, nelle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni personali conseguenti ad incidenti stradali, instaurate prima della data di entrata in vigore della L. 21 febbraio 2006, n. 102 che prevedeva l’applicabilità alle stesse del rito del lavoro, senza però dettare una disciplina transitoria , il gravame deve essere proposto con le forme e nei termini del rito ordinario allorché tali cause siano state trattate e decise in primo grado secondo tale rito, non ostando a tale esito neppure la sopravvenienza, nel corso delle stesse, della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 53, il quale - nel disporre l’abrogazione dell’art. 3 della L. n. 102 del 2006, ma sancendo la persistente applicabilità del rito del lavoro alle cause de quibus , pendenti alla data della propria entrata in vigore - ha, tuttavia, sottratto al regime dell’ultrattività del rito del lavoro i giudizi introdotti con rito ordinario per i quali, a tale data, non fosse stata ancora disposta la modifica del rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c. Cass. 13311/2015 . La causa è stata introdotta dunque prima della riforma del 2006 , con la conseguenza che correttamente il gravame è stato proposto con il rito ordinario, e con l’ulteriore conseguenza che, ai fini della tempestività, rileva la notifica della citazione e non il suo deposito. 3.- Il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 1226, 2056, 2059 c.c Secondo i ricorrenti, la corte di appello ha rifiutato di applicare le tabelle aggiornate, in corso di causa, ed ha basato il suo giudizio su quelle non più valide. Più precisamente, il giudice di primo grado aveva fatto applicazione delle tabelle del 2008, che, però in pendenza del giudizio di appello, erano state sostituite con tabelle più aggiornate quelle del 2014 . I ricorrenti hanno chiesto che si facesse allora applicazione di queste ultime, e tuttavia la corte ha rivisto il risarcimento alla luce sempre delle tabelle del 2008. Secondo i ricorrenti, il fatto di avere rivalutato il risarcimento sulla base di tabelle non più valide, perché sostituite, ha costituito un vizio di valutazione del danno, censurabile come violazione di legge. Il motivo è fondato. Secondo un regola fissata da questa Corte in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all’esito del giudizio di primo grado, l’ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema tabellare , la sopravvenuta variazione - nelle more del giudizio di appello - delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l’applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del punto-base in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c. Cass. 25485/2016 Cass. 22265/2018 . Con la conseguenza che, la corte di appello, non avendo tenuto conto dell’aggiornamento delle tabelle, al momento in cui doveva decidere, ed avendo invece fatto riferimento a quelle ormai superate, non ha correttamente applicato il criterio equitativo nella stima del danno. Va osservato che dal ricorso risulta che la questione era stata posta al giudice di appello e che le nuove tabelle di riferimento erano state allegate agli atti difensivi. 4.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano sempre violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., ma sotto un diverso profilo. Lamentano infatti che la corte di appello non ha pienamente riconosciuto il danno cosiddetto terminale morale e biologico . La decisione impugnata ha infatti osservato che la ragazza è, si, sopravvissuta per circa 15 giorni, ma in stato di incoscienza, e che dunque non ha potuto avere percezione della imminente fine o della gravità del suo stato, con la conseguente impossibilità di percepire una sofferenza morale ed ha invece liquidato il danno biologico di quei quindici giorni in via equitativa. Secondo i ricorrenti, invece, ai fini della liquidazione del danno biologico e morale terminale non ha rilevanza la lucidità della vittima, quanto la sopravvivenza oltre le 24 ore, quest’ultima accertata e pacifica. Il motivo è infondato. Va premesso che, per quanto diversamente possa apparire, non è assorbito dall’accoglimento del motivo precedente quello, infatti, attiene al quantum, mentre questo motivo attiene all’an, ossia al diritto al risarcimento del danno terminale, parzialmente negato dalla corte di appello. È nota la regola in tema di danno terminale. Altro è il danno biologico terminale, che è liquidabile iure hereditatis, ove via sia stata una sopravvivenza della vittima oltre le 24 ore, tempo convenzionalmente stimato perché il diritto al risarcimento entri nel patrimonio del danneggiato e si possa quindi trasmettere agli eredi, e tale danno si liquida a prescindere dalla incoscienza della vittima, trattandosi di una lesione oggettiva della salute, che rileva in quanto tale anche se non è percepita dal danneggiato Cass. 18056/2019 Cass. 21060/2016 ed è un danno che si liquida in termini di invalidità temporanea Cass. 16592/2019 altro è il danno morale cosiddetto terminale, che invece presuppone uno stato di coscienza della vittima, proprio perché consiste nella sofferenza dovuta alla consapevolezza della gravità delle lesioni. Nel caso presente, la corte di appello ha dunque correttamente escluso il danno morale terminale, non essendovi prova dello stato cosciente della vittima, che, anzi, risultava in stato vegetativo, ed ha liquidato il danno biologico con il criterio della invalidità permanente, ma facendo riferimento ad un criterio equitativo anziché a quello tabellare suddetto. Cosi che correttamente è stato negato il danno morale terminale, mentre è stato riconosciuto quello biologico terminale, senza che possa tuttavia, quanto a quest’ultimo avere alcun rilievo il metodo di liquidazione, che invero non è contestato specificamente dai ricorrenti. 4.- Quarto e quinto motivo sono assorbiti dall’accoglimento del secondo, poiché attengono al soggetto tenuto alla restituzione della somma ritenuta in eccesso dalla corte di appello, restituzione che, alla luce del criterio di stima su indicato, potrebbe essere messa in discussione da una diversa valutazione dell’ammontare. Il ricorso va pertanto accolto nei termini indicati e la sentenza cassata con rinvio al giudice di appello, che dovrà nuovamente stimare il risarcimento tenendo conto delle tabelle aggiornate 2014 anche per quanto riguarda il danno biologico terminale. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo rigetta il primo ed il terzo, assorbiti quarto e quinto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese.