Le regole nel caso di traslazione dell'azione civile di responsabilità dal giudizio penale a quello puramente civile

Nell'ipotesi di annullamento con rinvio ai soli effetti civili di una sentenza penale contenente la condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio su tutta la domanda civile al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Il caso. La controversia pervenuta all'analisi della Suprema Corte ordinanza n. 28612/19, depositata il 7 novembre verte intorno ad una vicenda penale nella quale il giudice monocratico competente aveva dichiarato due coimputati colpevoli del reato di appropriazione aggravata, condannandoli alla pena della reclusione, a quella della multa nonché al risarcimento del danno patrimoniale e morale alla parte civile, con la concessione di una provvisionale di € 15.000,00, oltre al pagamento di un terzo delle spese di lite, riservando alla sede civile la quantificazione dei danni. Nel successivo giudizio di appello venivano confermate le condanne del primo grado nonché le statuizioni relative all'azione civile. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione tutte le parti ma, alla conclusione del giudizio, la Suprema Corte dichiarava inammissibili i ricorsi degli imputati avverso la sentenza di condanna mentre accoglieva quattro dei cinque motivi di impugnazione della parte civile, annullando la sentenza della Corte d’Appello con eccezione della parte relativa alla provvisionale. In particolare, la Corte Suprema, nell'accogliere i motivi del ricorso per cassazione in sede penale, aveva rilevato un vizio di motivazione della Corte d’Appello in merito al gravame della parte civile teso a contrastare la pronuncia di primo grado che, mentre nel dispositivo sembrava aver accolto la provvisionale per la misura in quella sede accertata -riservando al giudizio civile la definitiva quantificazione del danno però nella motivazione aveva inteso limitare ad € 15.000,00 la misura del danno provocato alla parte civile, tenuto conto delle restituzioni in contanti date alla stessa. Il giudice di rinvio, quindi, aveva proceduto ad esaminare ex novo l'intera vicenda sulla base del dictum della Corte Suprema, operando valutazioni di merito distinte e diverse da quelle espletate dal giudice penale, in virtù dell'annullamento della sentenza disposto dalla Corte di Cassazione agli affetti effetti civili, annullamento che provocava la rimessione dell'azione civile al giudice del rinvio relativamente alla questione della valutazione dell'intero risarcimento dovuta alla vittima del reato. Il giudice del rinvio, dal proprio canto, si era strettamente attenuta al dictum della Corte ed aveva compiuto la propria valutazione nell'ambito dei poteri assegnatigli ex art. 622 c.p.p. concludendo per la condanna degli imputati al risarcimento dei danni patrimoniali pari alla somma di oltre € 150.000,00, oltre interessi e rivalutazione, con condanna dei convenuti in via tra loro solidale al risarcimento del danno morale, pari ad € 25.000,00 ed alle spese legali dei due gradi di giudizio penale di merito, nuovamente valutate in base all'esito del giudizio ed all'entità del risarcimento. I motivi di impugnazione e la decisione della Suprema Corte. Era a questo punto che veniva impugnata la sentenza emessa al termine del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. con cui la Corte territoriale aveva condannato l'uomo, in solido con altri, al risarcimento dei danni patrimoniali e morali conseguente al reato di appropriazione indebita commesso in danno di persona successivamente deceduta e nel giudizio rappresentata dall'erede testamentario commesso nell'esercizio delle proprie funzioni di impiegato di banca presso un istituto di credito ove la vittima aveva depositato i propri risparmi ed investimenti in titoli. La Corte in conclusione rigetta il ricorso, condannando per l'effetto il ricorrente al pagamento delle spese in favore del resistente. Ma tra i vari motivi di ricorso ritenuti infondati dagli Ermellini, uno tra i più interessanti è quello afferente all’asserito omesso esame di un fatto decisivo da parte della Corte d'Appello che aveva -secondo la tesi del ricorrente esteso il proprio giudizio all'ambito della responsabilità già affermata entro più ristretti termini in sede penale, pari ad € 15,000,00 di danno patrimoniale, mentre il motivo per cui era stata cassata la sentenza era circoscritto al danno morale, ancora da liquidarsi, ed alle spese per come liquidate dal giudice di primo grado. Tuttavia, la Suprema Corte ritiene il motivo inammissibile perché frutto di una non corretta interpretazione del dictum della Corte di Cassazione in sede penale. In particolare, la Corte Suprema nell'accogliere i motivi del ricorso in sede penale aveva rilevato un vizio di motivazione della Corte d’Appello in merito al gravame della parte civile nei termini già sopra precisati. E secondo gli Ermellini, il giudice di rinvio si è strettamente attenuto al dictum della Corte compiendo la propria valutazione nell'ambito dei poteri che gli erano stati assegnati con la sentenza di rinvio. Infatti rammenta la Corte in linea di principio dopo la traslazione dell'azione civile dal giudizio penale a quello puramente civile, prevale l'indirizzo giurisprudenziale in base al quale il giudizio civile di responsabilità in quanto completamente affrancato dal giudizio penale che si è celebrato in parallelo e che non è in grado di interferire con il giudizio civile di responsabilità da fatto illecito segue le regole di giudizio sue proprie, diverse da quelle penali in tema di nesso di causalità, di elemento soggettivo dell'illecito e di valutazione dei danni da risarcire, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio, essendo inteso a far valere le conseguenze risarcitorie dell'illecito sul piano privatistico. Inoltre, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare come l'estensione dell'esame a tutta la controversia civile compiuta dalla Corte di merito è risultata corretta in quanto nell'ipotesi di annullamento con rinvio ai soli effetti civili della sentenza penale, contenente la condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio su tutta la domanda civile al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno addirittura anche nel caso di mancata impugnazione della omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto delle impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull'azione civile, sicché questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull' an da quella sul quantum . Altro interessante motivo di ricorso analizzato dalla Suprema Corte è quello relativo all’asserito omesso esame di un fatto decisivo riguardando il quantum del danno morale liquidato. Motivo che, tuttavia, anche in questo caso viene dichiarato dagli Ermellini inammissibile sulla scorta delle seguenti ragioni. La Suprema Corte ricorda che il danno morale può essere provato in via presuntiva, sulla scorta di massime di comune esperienza. Posto che la sentenza valuta il danno morale in base al patimento correlato all'appropriazione di ingenti somme perpetrata nei confronti di una anziana donna che confidava nelle sue ricchezze per affrontare la vecchiaia, il suo riconoscimento non si rivela distonico con gli ulteriori fatti accertati, quale la propensione della vittima a sperperare denaro in frivolezze senza operare alcun controllo sulle uscite o sui costi, dichiarato al fine di non lasciare nulla dei propri beni e parenti, poiché le motivazioni della vittima nell'utilizzo di risparmi attengono ad un fatto interiore del tutto distinto dal patema, inerente all'impoverimento subito per fatto illecito altrui, consistente nell’approfittamento dell'affidamento ingenerato dalla posizione di funzionario di banca. In definitiva, per la Suprema Corte la censura avrebbe inteso spingere il Giudice di legittimità a svolgere un non consentito sindacato su valutazioni fatte in relazione al patimento derivato dal reato -con liquidazione effettuata equitativamente secondo parametri di ragionevolezza e proporzionalità-, motivo ulteriore per il quale il ricorso è risultato meritevole di rigetto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 29 maggio – 7 novembre 2019, n. 28612 Presidente Amendola – Relatore Fiecconi Rilevato che 1. Con ricorso notificato il 23/10/2017 C.F. , in proprio e quale erede di C.A. , impugna la sentenza n. 814/2017 della Corte d’appello di Messina depositata in data 21/07/2017, mediante la quale in sede di giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.c. è stato condannato, in solido con il padre A. , in seguito deceduto, al risarcimento dei danni patrimoniali e morali conseguenti al reato di appropriazione indebita commesso in danno di F.A.M. , deceduta, qui rappresentata dall’erede testamentario B.S. , commesso in suo danno nell’esercizio delle loro funzioni di impiegati di banca presso il Banco di Sicilia ora Unicredit s.p.a. , preso la quale la vittima aveva depositato i propri risparmi e investimenti in titoli buoni fruttiferi . Il ricorso è affidato a quattro motivi. B.S. , quale erede della parte civile, e Unicredit hanno notificato controricorso. Unicredit sostiene le ragioni dei ricorrenti 2. La controversia verte intorno a una vicenda penale per cui il giudice monocratico del Tribunale di Barcellona di P.G.- sezione distaccata di Milazzo -, il 9 novembre 2006 ha dichiarato i due coimputati F. e C.A. colpevoli del reato di appropriazione aggravata loro ascritto, condannandoli rispettivamente alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa, e di otto mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa. Il giudice ha condannato i responsabili al risarcimento del danno patrimoniale e morale alla parte civile con la concessione di una provvisionale di Euro 15.000,00, oltre al pagamento di 1/3 delle spese di lite, confermando il sequestro conservativo richiesto dal Banco di Sicilia sui beni dei due dipendenti, ordinando la restituzione dei titoli sequestrati buoni fruttiferi in favore della parte civile, e infine riservando alla sede civile la quantificazione dei danni. Nel giudizio di appello, con sentenza n. 294 del 26.2.2008 venivano confermate le condanne dalla Corte d’appello di Messina, nonché le statuizioni relative all’azione civile. Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione tutte le parti. Con sentenza n. 27140 del 2707/2009 la Corte Suprema dichiarava inammissibili i ricorsi degli imputati avverso la sentenza di condanna e accoglieva quattro dei cinque motivi di impugnazione della parte civile, annullando la sentenza della Corte d’appello con eccezione della parte relativa alla provvisionale. La Corte Suprema riteneva che la motivazione di conferma delle statuizioni del primo giudice fosse assertiva sebbene il motivo di impugnazione fosse incentrato sul fatto che la motivazione del Tribunale, a dispetto del dispositivo che sembrava non avere limitato la condanna al risarcimento del danno nella misura di Euro 15.000,00 corrispondente alla provvisionale , si prestava, in realtà, a una lettura diversa. La Corte d’appello, nel confermare la decisione di prime cure, aveva mancato di esaminare le ragioni di doglianza della parte civile, volte ad accertare il diritto a un maggiore risarcimento del danno. Pertanto annullava la sentenza e rimetteva le parti alla Corte d’appello in sede civile ex art. 622 c.p.p. per provvedere alla liquidazione dell’ammontare delle spese alla luce delle valutazioni del gravame sull’ammontare della appropriazione la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata in relazione all’ammontare della ritenuta sottrazione, con rinvio alla Corte d’appello di Messina . 3. La Corte d’appello, quale giudice del rinvio, con la sentenza qui impugnata condannava i convenuti in solido al risarcimento accertato sulla scorta delle prove acquisite nel giudizio penale, ritenuto pari alla somma di Euro 150.960, oltre interessi e rivalutazione, cui andava detratto quanto già ricevuto dalle parti a titolo di provvisionale condannava i convenuti in via tra loro solidale al risarcimento del danno morale, pari a Euro 25.000,00 e alle spese legali dei due gradi del giudizio penale di merito, nuovamente valutate in base all’esito del giudizio e all’entità del risarcimento. Considerato che 1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorrente deduce violazione dell’art. 651 c.p.p. e omesso esame di un fatto decisivo, in particolare assumendo che la Corte d’appello avrebbe esteso il suo giudizio all’ambito della responsabilità già affermata entro più ristretti termini in sede penale, pari a Euro 15000,00 di danno patrimoniale, mentre il motivo per cui era stata cassata la sentenza era circoscritto al danno morale ancora da liquidarsi e alle spese per come liquidate dal giudice di primo grado. 1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4 perché non interpreta correttamente il dictum della Corte di cassazione in base al quale la Corte d’appello, quale giudice del rinvio, ha provveduto a effettuare una nuova valutazione dei fatti alla luce della pretesa di risarcimento del danno rimasta insoddisfatta. 1.2. La Corte Suprema, nell’accogliere i motivi del ricorso per cassazione in sede penale, ha rilevato un vizio di motivazione della Corte d’appello in merito al gravame della parte civile inteso a contrastare la pronuncia di primo grado che, mentre nel dispositivo sembrava avere accolto la provvisionale per la misura in quella sede accertata, riservando al giudizio civile la definitiva quantificazione del danno, nella motivazione aveva inteso limitare a Euro 15.000 la misura del danno provocato alla parte civile, tenendo conto delle restituzioni in contanti date alla parte civile. Il giudice di rinvio ha quindi proceduto a riesaminare ex novo l’intera vicenda sulla base del dictum della Corte Suprema, operando valutazioni di merito distinte e diverse da quelle espletate dal giudice penale, in virtù dell’annullamento della sentenza disposto dalla Corte di Cassazione agli effetti civili, annullamento che ha provocato la rimessione dell’azione civile al giudice del rinvio relativamente alla questione della valutazione dell’intero risarcimento dovuto alla vittima del reato. 1.3. Il giudice del rinvio si è strettamente attenuto al dictum della Corte e ha compiuto la sua valutazione nell’ambito dei poteri assegnatigli ex art. 622 c.p.p., non essendo qui in questione alcuna violazione dell’art. 651 c.p.p., posto che il fatto di rilievo penale è stato definitivamente accertato nei suoi elementi costitutivi in sede penale nei confronti degli imputati, mentre l’annullamento della sentenza penale riguarda il capo della sentenza riguardante gli effetti civili restitutori della condotta illecita, non adeguatamente esaminati dalla Corte d’appello in sede di impugnazione fatto censurato dalla Corte di legittimità che ha determinato l’annullamento della sentenza d’appello al fine di evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado disposto ex art. 185 c.p., impugnata ex art. 576 c.p.p 1.4. In linea di principio, dopo la traslazione dell’azione civile dal giudizio penale a quello civile ex art. 622 c.p.c., prevale l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale il giudizio civile di responsabilità, in quanto completamente affrancato dal giudizio penale che si è celebrato in parallelo e che non è in grado di interferire con il giudizio civile di responsabilità da fatto illecito, segue le regole di giudizio sue proprie, diverse da quelle penali in tema di nesso di causalità, di elemento soggettivo delll’illecito e di valutazione dei danni da risarcire, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio, essendo inteso a far valere le conseguenze risarcitorie dell’illecito sul piano privatistico cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019 Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008 Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007 . 2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 2697-2698 c.c. in tema di riparto degli oneri della prova in quanto la Corte d’appello avrebbe tratto argomenti di prova dal fatto che gli imputati non hanno dimostrato la consegna a mani della parte lesa di somme per l’importo di oltre Euro 150.000,00, essendo invece stato dimostrato il contrarlo nel giudizio penale, ovvero che l’importo non restituito ammonta in Euro 15.000,00. 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. La sentenza penale, pronunciata sui medesimi fatti oggetto del giudizio civile, non ha efficacia di giudicato in quest’ultimo quando esuli dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p. le quali, avendo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile, non sono suscettibili di applicazione analogica. Ne consegue che il giudice civile può autonomamente rivalutare, nel rispetto del contraddittorio, il fatto in contestazione, sebbene gli sia consentito di tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, ripercorrendo lo stesso iter argomentativo del decidente Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 17316 del 03/07/2018 . 2.3. Il principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, operante al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 651, 651 bis e 654 c.p.p., per quanto escluda l’obbligo per il giudice civile di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale allo stesso modo in cui esse sono state valutate, tuttavia non giustifica, da parte di questi, la totale omessa considerazione delle argomentazioni difensive, che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile Sez. 3, Sentenza n. 1665 del 29/01/2016 . Ragionando da tale prospettiva, la Corte di merito ha valutato il materiale probatorio tenendo conto degli oneri probatori gravanti su chi chiede la prova del pagamento, che deve essere dimostrato dalla parte qui dicit, e non dalla parte creditrice, atteso che è stato accertato che vi sia stata l’acquisizione di somme e di buoni fruttiferi della vittima da parte dei coimputati senza sua autorizzazione, e che ne sia stata fatta solo in parte una restituzione, alla luce di criteri civilistici di valutazione degli oneri probatori. Le valutazioni svolte sono tutte correlate alle prove acquisite relazione ispettiva in sede di giudizio penale e, pertanto, risultano insindacabili in sede di giudizio di legittimità, non risultando violata la regola di riparto degli oneri probatori, nè apparendo che le valutazioni si discostino da quanto ritenuto dai giudici penali in tema di ammontare dell’ammanco. 3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 538, 539 e 622 c.p.p., per mancato avviamento di un’autonoma azione civile per quanto riguarda le restituzioni e il risarcimento, dovendo la Corte pronunciarsi sulle statuizioni di condanna alle spese e al risarcimento del danno non patrimoniale, e non su altre voci di danno, oggetto di condanna generica, a completamento del decisum in sede penale che debbono essere affermati in un nuovo giudizio. 3.1. Il motivo è infondato. 3.2. Per gli effetti civili non si è formato alcun giudicato nei confronti della parte civile, come sopra detto, e l’intera azione civile è stata inviata all’esame del giudice di rinvio dalla Corte di cassazione, con un dictum che non può essere rimesso in discussione quanto alla sua ampiezza, non potendosi intendere escluso l’accertamento sull’entità del danno patrimoniale indicato nella provvisionale, solo perché il giudice penale ha riservato ad altra sede civile la sua quantificazione. 3.3. L’estensione dell’esame a tutta la controversia civile compiuta dalla Corte di merito è corretta, in quanto nell’ipotesi di annullamento con rinvio, ai soli effetti civili, della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio su tutta la domanda civile al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell’omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale - la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 574 c.p.c., comma 4, - deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull’azione civile, sicché questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull’ an da quella sul quantum v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019 Cass. sez.3, n. 15182/2017 . 3.4. L’art. 622 c.p.p. consente alla parte civile che ottiene l’annullamento della sentenza penale nei suoi confronti una piena translatio del procedimento avviato in sede penale sulla pretesa civile, rimasta pretermessa o non accolta nel giudizio penale, posto che in tali casi fermi gli effetti penali della sentenza il giudice di legittimità annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato , e quindi anche laddove sia passata in giudicato, l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste. Tutto quello che occorre decidere in ordine all’azione civile esercitata nell’ambito del processo penale costituisce, quindi, l’oggetto del giudizio di rinvio, per sua natura chiuso. Difatti la rimessione è diretta al giudice civile competente per valore in grado di appello , in quanto sulla domanda civile un giudizio di merito è già stato espletato, non potendo la costituzione di parte civile essere effettuata dopo il compimento degli adempimenti introduttivi del dibattimento del giudizio penale di primo grado ex art. 79 c.p.p., cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019 Sez. 3 -, Sentenza n. 32930 del 20/12/2018 Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 15182 del 20/06/2017 . 3.5. Ove la parte civile abbia chiesto in sede penale il pieno accertamento dei danni, il giudice remittente non può dunque neanche comprimere la domanda civile, poiché l’art. 622 c.p.c. non attribuisce il potere di imporre, a chi ha esercitato l’azione civile in sede penale in modo completo, una scissione della decisione sull’an da quella sul quantum, costringendolo ex novo ad un processo ulteriore, e quindi a un incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto, anche ove il giudice penale si sia limitato a una condanna generica. Nè, peraltro, è sostenibile che in tale situazione il danneggiato assuma una posizione differente da quella già assunta in sede penale. Neppure, per la medesima ragione, può sostenersi la sussistenza di una lesione del diritto di difesa della controparte, in quanto anch’essa parte del giudizio penale in cui il danneggiato ha esercitato l’azione civile, essendo stata dunque ritualmente posta nelle condizioni di difendersi dalla domanda della parte civile cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019 Cass. 20 giugno 2017, n. 15182 in senso conforme, Cass. 25 settembre 2018, n. 22570 e 20 dicembre 2018, n. 32930 . 3.6. Il giudizio civile che ne deriva mantiene comunque una natura impugnatoria sugli effetti civili dell’illecito, nel limitato senso che restituisce alla parte civile risultata in situazione di soccombenza la facoltà di ottenere un nuovo giudizio sull’illecito di natura civile e sul diritto alle restituzioni civili in base ai normali oneri probatori propri del diritto civile, senza però più il supporto della pubblica accusa. Pertanto, il fatto che il passaggio del giudizio alla sede civile avvenga in grado di appello, per il principio del favor impugnationis espresso nell’art. 622 c.p.p., ha una sua logica di fondo, trattandosi di un’ impugnazione con effetto pienamente devolutivo e restitutorio che, essendo circoscritta all’azione civile per come esercitata in sede civile, non determina la violazione di alcun diritto costituzionale di difesa per il convenuto, già assolto in sede penale, nè tantomeno per la parte civile che ha già ottenuto un accertamento del fatto illecito, passibile di incidere sui suoi diritti. Viene infatti costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, soprattutto ai fini dell’individuazione del giudice competente, che il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale ai sensi dell’art. 622 c.p.p., è da considerarsi come un giudizio civile del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio, quale espressa dagli artt. 392 c.p.c. e ss. Cass. 9 agosto 2007, n. 17457 in senso conforme, da ultimo, Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929 . 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c. l’omesso esame di un fatto decisivo riguardante il quantum del danno morale liquidato. 4.1. Il motivo è inammissibile. 4.2. Il danno morale può essere provato in via presuntiva e sulla scorta di massime di comune esperienza cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 11269 del 10/05/2018 . Posto che la sentenza valuta il danno morale in base al patimento correlato all’appropriazione di ingenti somme perpetrata nei confronti un’anziana donna che confidava nelle sue ricchezze per affrontare la vecchiaia, il suo riconoscimento non si rivela distonico con gli ulteriori fatti accertati, quali la propensione della vittima a sperperare denaro in frivolezze senza operare alcun controllo sulle uscite e su costi per ristrutturare la facciata di un edificio , dichiarato al fine di non lasciare nulla dei propri beni ai parenti, poiché le motivazioni della vittima nell’utilizzo dei risparmi attengono a un fatto interiore del tutto distinto dal patema, inerente all’impoverimento subito per fatto illecito altrui, consistente nell’approfittamento dell’affidamento ingenerato dalla posizione di funzionario di banca in definitiva, la censura intende spingere il giudice di legittimità a svolgere un sindacato sulle valutazioni fatte in relazione al patimento derivato dal reato, con liquidazione effettuata equitativamente secondo parametri di ragionevolezza e proporzionalità. 5. Conclusivamente il ricorso viene rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore delle parti separatamente resistenti. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso per l’effetto, condanna il ricorrente alle spese in favore del resistente, liquidate in Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge compensa le spese tra il ricorrente C.F. e la banca Unicredit s.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.