Passeggia, chiacchiera e guarda le vetrine: la caduta è colpa sua

Niente risarcimento per il capitombolo subito da un uomo. Fatale la disattenzione da lui mostrata. Difatti, egli avrebbe potuto tranquillamente avvedersi del fatto che il tombino su cui è inciampato era caratterizzato da un leggero avvallamento. Esclusa la responsabilità del Comune.

Fatali lo shopping e le chiacchiere questi elementi, difatti, attestano una soglia di attenzione bassissima, tale da spiegare la brutta caduta provocata da un tombino mal posizionato. Vittima del capitombolo un uomo, impegnato a passeggiare in una cittadina abruzzese parlando cogli amici e buttando un occhio alle vetrine. Per lui, quindi, nessuna ipotesi di risarcimento da parte del Comune Cassazione, ordinanza n. 25436/19, sez. VI Civile-3, depositata oggi . Attenzione. Facilmente ricostruito l’episodio, verificatosi lungo una strada di un paese in Abruzzo. Protagonista un uomo, finito rovinosamente a terra durante una passeggiata. A suo dire la caduta – e le relative lesioni fisiche e morali – sono addebitabili al Comune, che non avrebbe provveduto a rendere sicura la strada da lui percorsa e caratterizzata da un tombino mal collocato. Questa visione viene respinta prima in Tribunale, poi in Corte d’appello e ora in Cassazione. Per i Giudici, difatti, il capitombolo va addebitato solo alla scarsa attenzione prestata dall’uomo durante la passeggiata. In sostanza, si è appurato che l’incidente si è verificato mentre l’uomo era distratto a guardare alcune vetrine e a parlare con alcuni amici e non aveva perciò posto attenzione al marciapiede e alla strada che stava attraversando al di fuori delle vicine strisce pedonali . Peraltro, la strada era illuminata e il tombino , su cui è inciampato l’uomo, è risultato avere solo un leggero avvallamento, non idoneo ad arrecare alcun nocumento e, comunque, esso era visibile facilmente. Tutti questi elementi sono più che sufficienti per escludere ogni ipotetica responsabilità del Comune e per respingere la richiesta di risarcimento presentata dall’uomo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 9 maggio – 10 ottobre 2019, n. 25436 Presidente Frasca – Relatore Tatangelo Rilevato che An. Sc. ha agito in giudizio nei confronti del Comune di Vasto per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ad un infortunio accadutogli mentre attraversava una strada comunale, a suo dire causato da un'insidia presente sulla strada stessa. Il Comune di Vasto ha chiamato in causa la S.A.S.I S.p.A., che a sua volta ha chiamato in causa la propria assicuratrice della responsabilità civile, Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l La domanda dello Sc. è stata rigettata dal Tribunale di Vasto. La Corte di Appello di L'Aquila ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre lo Sc., sulla base di un unico motivo. Resistono con distinti controricorsi il Comune di Vasto, la S.A.S.I. S.p.A. e la Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c, in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e/o manifestamente infondato. È stata quindi fissata con decreto l'adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l'indicazione della proposta. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis, comma 2, c.p.c. Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. Con l'unico motivo del ricorso si denunzia Violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. in disposto con gli artt. 2056 e 1227 cod. civ in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. . Il ricorrente sostiene che l'incidente era stato causato dall'anomalia della strada pubblica, a suo dire avente potenzialità lesiva idonea, da sola, a cagionare l'evento aggiunge che il comune convenuto non aveva fornito prova del caso fortuito e che, in ogni caso, sussisteva quanto meno un suo concorso di responsabilità. Anche a prescindere dalla incongrua modalità di esposizione del fatto, operata dal ricorrente con la trascrizione di buona parte degli atti processuali, senza alcun momento di sintesi, in violazione della prescrizione di cui all'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c, il ricorso è comunque inammissibile. Secondo un consolidato principio di diritto, già affermato da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 - 01, seguito da numerose successive decisioni conformi tra le più recenti Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919 - 1 Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 18209 del 28/08/2007, Rv. 600479 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 18210 del 28/08/2007, Rv. 600480 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 2540 del 06/02/2007, Rv. 596346 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590663 - 01 e di recente ribadito da Cass., Sez. U, Sentenza n. 7074 del 20/03/2017, Rv. 643334 - 01, in motivazione, il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo in riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c . Nella specie, il ricorso dello Sc. per un verso non individua specificamente la motivazione della decisione impugnata che intenderebbe sottoporre a critica e, in ogni caso, non si correla ad essa, onde non la critica adeguatamente. La ratio decidendi della sentenza della corte di appello risulta enunciata nelle ultime righe della pagina 3 e nelle prime due della pagina 4. I giudici di merito hanno accertato in fatto sulla base degli elementi di prova acquisiti e valutando tutti i fatti storici rilevanti , che l'incidente si era verificato per esclusiva responsabilità dell'attore, sottolineando in proposito che la strada era illuminata che il tombino in cui lo stesso attore era inciampato aveva solo un leggero avvallamento, non idoneo ad arrecare alcun nocumento e, comunque, era visibile che l'incidente si era in sostanza verificato esclusivamente perché l'attore era distratto a guardare alcune vetrine ed a parlare con alcuni amici, per cui non aveva posto attenzione al marciapiede ed alla strada, mentre la attraversava al di fuori delle vicine strisce pedonali. Di detta articolata motivazione l'unico motivo del ricorso si disinteressa completamente, e ciò sebbene in essa si dia conto anche di una serie di circostanze istruttorie, valutate dalla corte territoriale, che risultano ignorate non solo nel motivo, ma anche nella prolissa esposizione del fatto. D'altro canto, e sotto altro profilo, tutte le censure avanzate avverso la decisione di merito, benché rubricate con il richiamo all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione di norme di diritto , in realtà contengono esclusivamente contestazioni relative agli accertamenti di fatto operati dalla corte di appello, risolvendosi in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove. Quanto appena esposto è sufficiente, secondo il Collegio, a determinare l'inammissibilità del ricorso. A solo scopo di completezza espositiva, si osserva quindi che, sulla base dei suddetti incensurabili accertamenti di fatto, la decisione impugnata risulta, in diritto, del tutto conforme ai principi in tema di responsabilità da cose in custodia costantemente affermati da questa Corte e recentemente ribaditi e precisati, secondo i quali a il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all'art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi b il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche ed il danno, mentre al custode spetta l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima c in particolare, il caso fortuito è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale o della causalità adeguata , senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode d le modifiche improvvise della struttura della cosa tra cui ad es. buche, macchie d'olio ecc. divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa, di cui il custode deve rispondere e la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, e a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso si vedano, in proposito Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017 Sez. 3, Ordinanza n. 2478 del 01/02/2018 Sez. 3, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018, Sez. 3, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018 Sez. 3, Sentenza n. 8229 del 07/04/2010, Rv. 612442 - 01 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017, Rv. 644285 - 01 Sez. 3, Ordinanza n. 25856 del 2017 . 2. Il ricorso è dichiarato inammissibile. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione di cui all'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228. P.Q.M. La Corte - dichiara inammissibile il ricorso - condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 2.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto , a norma del comma 1dbis dello stesso art. 13.