Auto contro furgone, muore una donna: il mancato utilizzo della cintura di sicurezza riduce il risarcimento

Respinte le obiezioni mosse dai familiari della persona deceduta a seguito dell’incidente. Legittima, secondo la Cassazione, la visione tracciata in appello, laddove si è attribuito alla vittima un concorso di colpa nella misura del 30 per cento.

‘Rosso’ completamente ignorato da un’automobilista che con la propria vettura occupa illegittimamente l’incrocio e centra in pieno un furgone. A riportare i danni più seri è una donna, terza trasportata a bordo del furgone le lesioni ne provocano la morte. Nessun dubbio sulla responsabilità dell’automobilista. Evidente, però, anche il concorso di colpa della vittima, che non aveva allacciato la cintura di sicurezza. E questo dato è ritenuto decisivo per ridurre al 70 per cento il risarcimento in favore dei familiari della persona deceduta Cassazione, ordinanza n. 21747/19, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Colpa . Ricostruito nei dettagli il drammatico incidente stradale, sono ritenute lapalissiane dai Giudici le colpe dell’automobilista che non rispettando il semaforo che portava luce rossa ha occupato l’incrocio andando ad urtare un furgone . A essere chiamato in causa è, peraltro, anche il proprietario del veicolo. In sostanza, nessun dubbio sull’onere risarcitorio in favore dei familiari della donna che, trasportata a bordo del furgone, è morta a causa delle lesioni riportate a seguito dell’incidente. Su questo punto concordano i giudici di Tribunale e di Corte d’Appello, che, comunque, mostrano anche di essere d’accordo sul concorso di colpa - per un 30 per cento – della persona deceduta. In sostanza, si è appurato che la vittima non aveva allacciato la cintura di sicurezza , e questo dato è ritenuto sufficiente per ‘tagliare’ il risarcimento in favore dei suoi familiari. Tale decisione viene fortemente contestata dai parenti della donna, ma ogni obiezione si rivela inutile. Per i Giudici della Cassazione, difatti, è corretta la visione tracciata in Appello, poiché si è raggiunta la prova che la persona trasportata a bordo del furgone non aveva allacciato la cintura di sicurezza nel momento dello scontro .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 28 marzo – 27 agosto 2019, n. 21747 Presidente Scoditti – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Di. An. e Th. Be. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Vicenza, Ca. Co., Gi. Ma., la CARIGE Assicurazioni s.p.a. e l'Axa Assicurazioni s.p.a., rispettivamente conducente, proprietario ed assicuratore del mezzo antagonista, chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni subiti nell'incidente stradale nel quale la vettura condotta dalla Co., non rispettando il semaforo che portava luce rossa, aveva occupato l'incrocio andando ad urtare il furgone condotto da Di. An. Be. nell'incidente era rimasta uccisa Antonella To., terza trasportata a bordo del furgone, mentre il Be. ed il figlio allora minorenne avevano riportato lesioni personali. Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il giudizio venne riunito ad un altro promosso da Er. To., Vi. An., Ci. e An. To., genitori e familiari della defunta, nel quale era stata avanzata analoga richiesta di risarcimento dei danni. Il Tribunale accolse la domanda degli attori e, riconosciuta l'esistenza di un concorso di colpa della defunta To. nella misura del 30 per cento, per non avere ella allacciato le cinture di sicurezza, condannò i convenuti al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dagli attori Di. An. e Th. Be. e in via incidentale dagli attori Er. To., Vi. An., Ci. e An. To., e la Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 4 ottobre 2017, ha rigettato entrambi gli appelli ed ha condannato gli appellanti alla rifusione delle spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Venezia ricorrono Di. An. e Th. Be. con unico atto affidato a due motivi. Resiste la Amissima assicurazioni s.p.a., già CARICE Assicurazioni, con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e i ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione degli artt. 2697 e 1227 cod. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'attribuzione di un concorso di colpa a carico della vittima con il secondo motivo si lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1227 e 2056 cod. civ., rilevando che ai familiari della To. doveva essere attribuito l'intero risarcimento e non soltanto il 70 per cento dello stesso. 2. I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi, sono entrambi inammissibili. La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, l'esistenza o l'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, 25 gennaio 2012, n. 1028 e 30 giugno 2015, n. 13421, nonché l'ordinanza 22 settembre 2017, n. 22205 . Nella specie la Corte d'appello, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, ha illustrato con chiarezza le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la decisione del Tribunale riconoscendo un concorso di colpa, nella misura del 30 per cento, a carico della vittima, ed è pervenuta a tale conclusione considerando raggiunta la prova della circostanza secondo cui la To. non aveva allacciato le cinture di sicurezza nel momento dello scontro fatale. A fronte di simile ricostruzione, il ricorso si risolve nell'evidente tentativo di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito. In particolare, non sussiste la pretesa violazione dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., né l'omessa valutazione delle testimonianze, perché la Corte di merito ha vagliato i dati di fatto e le deposizioni testimoniali, illustrando le ragioni per le quali non ha ritenuto credibile la diversa tesi sostenuta dagli appellanti e ribadita nell'odierna sede di legittimità. Il secondo motivo, che non ha una rilevanza autonoma rispetto al primo, rimane evidentemente assorbito. 3. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile. A tale esito segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.400, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.