Canale di deflusso a bordocampo: la colpevole distrazione del giocatore esclude il risarcimento

Chiuso il contenzioso con la società che gestisce il centro sportivo che ospita il campo scenario del brutto incidente. Per i Giudici è evidente come il giocatore si sia comportato in maniera imprudente, non prestando attenzione al percorso da lui seguito per recuperare il pallone.

Bruttissimo incidente per un appassionato di calcio durante una partita tra amici su un campo preso in affitto in un centro sportivo va a recuperare il pallone finito a fondocampo ma incappa col piede in un canale di deflusso delle acque e si procura una frattura della gamba sinistra. Sotto accusa, ovviamente, la società che gestisce la struttura. Ma per i Giudici, una volta ricostruito l’episodio, la grave lesione riportata dal giocatore è stata provocata dalla sua distrazione. Così, tirando le somme, l’uomo deve accettare non solo il danno fisico ma anche la beffa del mancato risarcimento. Cassazione, ordinanza n. 20172/19, sez. VI civile, depositata oggi . Distrazione. Il fattaccio si verifica durante una partita di calcio tra amici su un campo – preso in affitto – di un centro sportivo nella zona di Milano. In pochi secondi il giocatore finisce a terra, stravolto dal dolore e con una frattura della gamba sinistra . Fatale la presenza di un canale di deflusso delle acque presente a bordocampo, dove lui si era recato di corsa per recuperare il pallone. Per la vittima del brutto incidente non vi sono dubbi la colpa è da attribuire alla società sportiva che gestisce il centro e che avrebbe dovuto garantire maggiori condizioni di sicurezza per gli utilizzatori del campo. Questa visione viene però respinta prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello in entrambi i gradi di giudizio, difatti, viene chiarito che il sinistro si è verificato per la colpevole distrazione del giocatore, non avvedutosi delle condizioni del percorso seguito, in concreto ben percepibile con una minima ed esigibile attenzione . Di conseguenza, nessun addebito è possibile nei confronti dell’associazione che gestisce il centro sportivo, e ciò fa venire meno ogni pretesa risarcitoria da parte del giocatore. Sulla stessa linea di pensiero si assesta anche la Cassazione, respingendo definitivamente la richiesta di risarcimento avanzata dall’uomo nei confronti del centro sportivo. Corretta e condivisibile, alla luce dell’episodio così come ricostruito, la valutazione compiuta in Appello, laddove si è evidenziata, osservano i Giudici del Palazzaccio, la colpevole distrazione del giocatore, che avrebbe potuto evitare il brutto infortunio se solo si fosse mosso con maggiore attenzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 12 aprile – 25 luglio 2019, n. 20172 Presidente Frasca – Relatore Dell’Utri Rilevato che con sentenza resa in data 26/6/2017, la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da Ra. Co. Bu. per la condanna dell'Associazione Calcio Milanese Corvetto 1920 ASD al risarcimento dei danni subiti dall'attore nel corso di una partita di calcio svoltasi presso il Centro sportivo convenuto, in occasione della quale il Bu., il tentativo di recuperare un pallone giunto a fondocampo, incappava con il piede in un canale di deflusso delle acque posto nelle vicinanze del campo di gioco, procurandosi una frattura della gamba sinistra che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice, tenuto conto che il sinistro dedotto in giudizio si era verificato per la colpevole distrazione del giocatore, non avvedutosi delle condizioni del percorso seguito, in concreto ben percepibile con una minima ed esigibile attenzione che, avverso la sentenza d'appello, Ra. Co. Bu. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d'impugnazione che l'Associazione Calcio Milanese Corvetto 1920 ASD e la Allianz s.p.a. quest'ultima originariamente chiamata in giudizio a fini di manleva resistono con controricorso che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla pro-posta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'art. 380-bis le parti non hanno presentato memoria considerato che con il motivo d'impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. nonché per violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., e degli artt. 113 e 115 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che spettasse alla vittima dimostrare che la cosa in custodia avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l'oggettiva responsabilità del custode, in contrasto con il principio che stabilisce la responsabilità di questi sulla base della mera sussistenza del nesso di causalità tra l'uso della cosa in custodia e il danno, salva la prova del caso fortuito, della cui dimostrazione deve ritenersi onerato il custode che, preliminarmente, dev'essere rilevata l'inammissibilità della censura avanzata dal ricorrente in relazione alla violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. avendo il Bu. totalmente trascurato di evidenziare il ricorso di fatti, oggettivamente decisivi e controversi tra le parti, il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso dai giudice d'appello che, sotto altro profilo, deve ritenersi manifestamente infondata la dedotta violazione dell'art. 2051 c.c., essendosi la corte territoriale correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte laddove evidenza come, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggi diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro cfr., ex plurimis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018 Rv. 647934 - 01 che, in particolare, nel caso di specie, la corte territoriale ha coe-rentemente ed espressamente sottolineato come il sinistro dedotto in giudizio fosse integralmente addebitabile alla colpevole distrazione del danneggiato, per non essersi quest'ultimo avveduto delle condizioni del percorso seguito, in concreto ben percepibile con una minima ed esigibile attenzione cfr. il folio 5 della sentenza impugnata che, infine, devono ritenersi inammissibili le censure sollevate dal ricorrente con riguardo alla pretesa violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. nonché dell'art. 2697 c.c. che, al riguardo varrà considerare come - ferma la totale incongru-enza dell'immotivato richiamo all'art. 113 c.p.c. - la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma dell'art. 2697 c.c. e di quello dell'art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie che, sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non intradotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa ai di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c. , mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c. che non a caso è rubricato alla valutazione delle prove Cass. n. 11892 del 2016 cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l'attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. I-bis, dello stesso articolo 13.