Pedone poco visibile: l’investimento è anche colpa sua

Risarcimento riconosciuto ad una donna centrata da un’automobile. La cifra non è però quella da lei ipotizzata. Decisiva la constatazione che anche a lei è addebitabile per il 40% l’incidente. Fatale l’essersi piazzata in un avvallamento della strada, e non sul marciapiede, così rendendosi poco visibile.

Collocazione azzardata in strada per una donna, posizionatasi in una cunetta e resasi così meno visibile per gli automobilisti. Questo dato è sufficiente per addebitare anche a lei la colpa – per il 40% – dell’investimento subito ad opera di una vettura Cassazione, ordinanza n. 15893/19, sez. VI Civile, depositata oggi . Investimento. Scenario dell’episodio è una strada nella provincia di Caserta. Lì un’automobile, guidata da un uomo, investe in pieno una donna, posizionatasi ai bordi della strada. Inevitabile il contenzioso civile. La parte offesa cita in giudizio l’automobilista e la compagnia assicurativa per ottenere un adeguato risarcimento, comprensivo del danno patrimoniale e non patrimoniale. Richiesta legittima, osservano i Giudici di primo e di secondo grado, aggiungendo però che va riconosciuto un concorso di colpa della danneggiata nella misura del 40% . Decisiva l’applicazione del principio secondo cui in caso di investimento il pedone può essere ritenuto corresponsabile allorché il suo comportamento sia improntato a pericolosità ed imprudenza . In questa vicenda è emerso difatti che la posizione assunta dalla donna, ferma in una cunetta, ovvero non sul marciapiede ma in un avvallamento della sede stradale ha costituito una posizione anomala che ha reso la donna meno avvistabile e più esposta al pericolo di investimento, correttamente considerabile sotto il profilo del concorso di colpa . Posizione. Inutile si rivela il ricorso in Cassazione proposto dal legale della donna. Anche per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è evidente che l’investimento è addebitabile anche al comportamento tenuto dalla persona danneggiata. Fondamentale la constatazione che la donna sostava non sul marciapiedi, come imposto dal codice della strada, ma sulla sede stradale, benché al bordo di essa e più precisamente in una cunetta, ovvero in un avvallamento del fondo stradale, così da renderla poco visibile agli automobilisti. Nessun dubbio, quindi, sul fatto che la donna abbia violato le regole di prudenza imposte ai pedoni dal codice della strada. Certa anche la pericolosità della posizione da lei assunta rispetto alla capacità del conducente del veicolo di localizzarla . Logico, perciò, parlare di imprevedibilità della presenza del pedone sulla sede stradale , e questo dato è sufficiente, secondo i giudici, per ridimensionare le responsabilità dell’automobilista e accertare l’esistenza di un apporto concausale nella provocazione del sinistro riconducibile alla condotta della danneggiata, ovvero di un suo concorso di colpa nella misura del 40% . Confermata in toto in Cassazione, quindi, la visione tracciata del Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 31 gennaio – 10 luglio 2019, n. 18593 Presidente Frasca – Relatore Rubino Rilevato che 1. La. Ma. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi e illustrato da memoria contro Milano Ass.ni s.p.a. e Capacchione Francesco, avverso la sentenza n. 3226\2017 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la quale il tribunale rigettava l'appello da lei proposto in una causa di risarcimento danni da responsabilità civile automobilistica. 2. Gli intimati non hanno svolto attività difensive in questa sede. 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell'udienza camerale e la proposta sono stati comunicati. Considerato che 1. Il Collegio, tenuto conto anche delle osservazioni contenute nella memoria, condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso. 2. La La. conveniva in giudizio il Capacchione e l'assicurazione di questi per la r.c.a. chiedendo che fosse condannato a risarcirle il danno patrimoniale e non patrimoniale causatole allorché, alla guida della sua autovettura, la travolgeva nel corso di una manovra in retromarcia mentre l'attrice, a piedi, sostava al bordo della strada. Il giudice di pace accoglieva la domanda riconoscendo però un concorso di colpa della danneggiata nella misura del 40% e riducendo proporzionalmente l'importo che i convenuti erano condannati a corrispondere all'attrice. Il tribunale rigettava l'appello della La., sulla base del principio secondo il quale in caso di investimento pedonale il pedone possa essere ritenuto corresponsabile allorché il suo comportamento sia improntato a pericolosità ed imprudenza, e accertando che, nel caso di specie, la posizione assunta dalla pedone, ferma in una cunetta, ovvero non sul marciapiede ma in un avvallamento della sede stradale, costituisse una posizione anomala, che la rendeva meno avvistabile e più esposta al pericolo di investimento correttamente considerabile sotto il profilo del concorso di colpa. 3. I cinque motivi di ricorso relativi rispettivamente alla violazione dell'art. 2054 primo comma c.c., degli artt. 140 e 191 cod. strad., dell'art. 132 n. 4 c.p.c. in quanto la sentenza sarebbe caratterizzata da motivazione totalmente inintellegibile, dalla omessa considerazione del fatto decisivo che il veicolo procedeva in retromarcia e degli artt. 1223 e 2043 c.c., laddove è stata integralmente rigettata la domanda volta al risarcimento del danno patrimoniale, sono infondati. Il primo motivo è manifestamente inammissibile per mancanza di effettiva di correlazione alla motivazione non considera l'inciso di essa che spiega, alla luce del successivo richiamo del principio di diritto a pagina 3 dalla sentenza, perché il tribunale abbia ritenuto una responsabilità concorrente. Il tribunale ha accertato, con accertamento in fatto in questa sede non rinnovabile, che la danneggiata, a piedi, sostava non sul marciapiedi, come imposto quale corretta e prudente regola di comportamento dall'art. 191 cod. strad., ma sulla sede stradale, benché al bordo di essa, e , quanto alla sua esatta collocazione, in una cunetta ovvero in un avvallamento del fondo stradale tale da renderla poco visibile. Premesso questo accertamento in fatto, ha constatato una violazione, da parte della ricorrente, delle regole di prudenza imposte dal Codice della Strada in particolare, dall'art. 190 primo coma che impone 1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione e del quarto comma, in base al quale 4. E' vietato ai pedoni sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessità . Peraltro, contrariamente a quanto affermato nella memoria, la motivazione della sentenza impugnata non si limita a registrare la violazione della norma, ma comprende anche la valutazione in concreto della pericolosità di tale posizione rispetto alla capacità del conducente del veicolo di localizzarla e quindi alla imprevedibilità della presenza del pedone sulla sede stradale, sulla base della quale ha accertato l'esistenza di un apporto concasuale nella provocazione del sinistro riconducibile alla condotta della danneggiata, ovvero di un concorso di colpa della stessa nella misura del 40%. Anche il secondo motivo non collega adeguatamente il fondamento della decisione alla accertata violazione del codice della strada e all'apporto concausale conseguente al comportamento anomalo del pedone. Con il terzo motivo censura un punto della motivazione enunciata quasi che fosse l'unica giustificazione della decisione adottata, omettendo di considerare il successivo riferimento all'art. 190 codice della strada, ed inoltre evoca le risultanze istruttorie cui fa riferimento il passo motivazionale censurato senza fornire l'indicazione specifica della motivazione della sentenza di primo grado, rispetto al cui apprezzamento argomenta il tribunale. Quanto alle censure contenute nel quarto motivo, da un lato in esso si riproduce la testimonianza asseritamente favorevole dalla quale si ricava, al contrario, che la danneggiata usciva da casa per poi andare a posizionarsi nell'avvallamento, sicché l'essere ferma al momento dell'investimento risulta circostanza fattuale succeduta ad un iniziale moto della medesima. Inoltre, le censure in iure in esso contenute fanno riferimento al senso di marcia, ma omettono di considerare il comma 4 dell'art. 190 che espressamente prevede il divieto di sosta sulla carreggiata, di cui fa parte la cunetta . Il quinto motivo, con il quale la ricorrente lamenta il rigetto della domanda in ordine al risarcimento del danno patrimoniale, pari al costo della consulenza di parte, è parimenti infondato, potendosi interpretare la sentenza nel senso che la corte non abbia ritenuto provato l'avvenuto pagamento dell'attività professionale svolta in favore della ricorrente, e quindi abbia rigettato la domanda per mancanza di un danno liquidabile. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese, in difetto di attività difensive da parte degli intimati. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell' art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.