Attività pericolosa: exordium praescriptionis nel danno da contagio postrasfusionale

In caso di contagio postrasfusionale la prescrizione decorre dal momento in cui la vittima viene informata che la malattia è stata causata dalla trasfusione e non dal momento in cui scopre di essere malata.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 17421/19, depositata il 28 giugno. Il caso. Tutto aveva inizio quando una donna ebbe a convenire davanti al tribunale competente il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di un'infezione da virus HCV, contratta in conseguenza di una emotrasfusione cui era stata sottoposta tempo addietro. Ma mentre il tribunale accoglieva la domanda, non così avveniva dinnanzi alla Corte di Appello che rigettava la stessa in accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'amministrazione convenuta. In particolare, la Corte d'Appello ebbe a ritenere che il termine prescrizionale da applicare al caso di specie fosse quello quinquennale e che lo stesso dovesse applicarsi dal momento in cui la vittima, con l'ordinaria diligenza, si accorse o si sarebbe potuta accorgere dell'esistenza del danno e della sua derivazione causale dalla trasfusione. Secondo il giudice dell'appello, dunque, in assenza di altri fattori di rischio, neppure allegati e comunque non emersi dagli atti, la diagnosi di epatite C mise la vittima in condizione di avvedersi che la propria malattia era una conseguenza della condotta del Ministero convenuto, atteso che in quel momento la consapevolezza del danno e della sua derivazione causale dalla trasfusione doveva essere maturata in capo alla vittima. La sentenza d'appello, però, veniva impugnata per cassazione dalla donna con ricorso fondato su diversi motivi, contro cui resisteva il Ministero della Salute. Una delle ragioni più importanti dedotte dalla ricorrente in favore della propria tesi era il fatto che erroneamente la sentenza impugnata aveva ravvisato l'exordium prescriptionis del diritto al risarcimento del danno nel momento in cui la stessa scopriva di essere malata. La donna, infatti, deduceva che il diritto al risarcimento del danno da contagio postrasfusionale inizia a preiscriversi non dal momento in cui la vittima scopre di essere malata bensì dal momento in cui viene informata che la malattia è stata causata dalla trasfusione che nel caso di specie la stessa poteva avere il sospetto di quale fosse la reale causa del contagio solo quando inoltrò la domanda di indennizzo in virtù della legge n. 210/1992 e che ne ebbe la certezza solo quando la competente commissione medica accolse la suddetta domanda. Ebbene, la Suprema Corte accoglie tali ragioni giuridiche e ne spiega la fondatezza nei seguenti termini. La giurisprudenza di legittimità in più casi ha affermato che il diritto al risarcimento dei danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto, come nel caso di contagio o di patologie silenti, inizia a preiscriversi dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile non da lui, ma dall'uomo medio, possa vedersi sia di essere malato, sia che la causa della malattia è la condotta illecita di un terzo. Le tre regole della Cassazione. Quando il danno per cui si chiede il risarcimento sia derivato da una trasfusione di sangue infetto, l'individuazione dell’exordium praescriptionis in base al principio appena ricordato deve avvenire osservando tre regole applicative, tutte e tre già stabiliti da questa Corte. La prima è che quando la persona contagiata da emotrasfusione presenti la domanda amministrativa di concessione dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, dimostra perciò solo di essere consapevole della sua malattia e della causa di essa. Pertanto, questa consapevolezza deve presumersi in capo alla vittima almeno dal momento della presentazione della suddetta domanda. La seconda regola è che, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di concezione dell'indirizzo indennizzo, è ribaltato sulla parte che si oppone alla domanda di risarcimento l'onere di provare che il danneggiato avesse acquisito la consapevolezza dell'esistenza del contagio e della sua derivazione causale dalla trasfusione, già prima dell'inoltro della detta domanda di indennizzo. Prova che può essere fornita con ogni mezzo ivi comprese le presunzioni semplici. La terza regola, infine, è che la prova presuntiva della previa conoscenza o conoscibilità in capo alla vittima della malattia e delle sue cause non può mai ridursi ad una mera congettura od illazione. La prova presuntiva, infatti, è una deduzione logica, che si deve fondare su fatti certi e si deve dedurre da questi sulla base di massime di esperienza o dell'id quod plerumque accidit. La congettura, invece, è una mera supposizione che si fonda su fatti incerti e che viene ridotta in via di semplice ipotesi. Nel caso di specie, pertanto, una volta dimostrato dalla ricorrente di aver proposto la domanda amministrativa in una certa data, aspettava al Ministero della Salute dimostrare la pregressa conoscenza conoscibilità in capo alla danneggiata della reale causa del contagio. La Corte di Appello ha ritenuto che tale prova sia stata fornita dal Ministero in via presuntiva ma di fatto -secondo la Suprema Corte ha ragionato considerando come fatti noti delle mere presunzioni per poi inferirne delle ulteriori presunzioni che, per come già detto, si risolvono in una congettura e non in presunzioni. In conclusione, per la Suprema Corte la ricorrente ha ragione e decide così per la cassazione della sentenza con rinvio, indicando i princìpi di diritto che il giudice del rinvio, nel riesaminare il gravame proposto dalla pubblica amministrazione, deve applicare. Ed in particolare la Suprema Corte si riferisce al principio secondo cui in tema di risarcimento del danno alla salute causata da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini della individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, sia l'esistenza della malattia sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione. Inoltre, la Suprema Corte ricorda anche l'ulteriore principio di diritto secondo cui in tema di prova presuntiva, il fatto noto dal quale è consentito al giudice di risalire al fatto ignorato deve consistere in una circostanza obiettivamente certa e non in una ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto di ricorso alle praesumptiones de praesumpto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 marzo – 28 giugno 2019, n. 17421 Presidente Travaglino – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2010 C.M.T. convenne dinanzi al Tribunale di Napoli il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di una infezione da virus HCV, contratta in conseguenza d’una emotrasfusione cui si era sottoposta nel . 2. Mentre il Tribunale di Napoli, con sentenza 13.5.2014 n. 7017, accolse la domanda, la Corte d’appello di Napoli con sentenza 9.6.2017 n. 2588 la rigettò, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione convenuta. La Corte d’appello ritenne che il termine prescrizionale da applicare fosse quello quinquennale che dovesse applicarsi dal momento in cui la vittima, con l’ordinaria diligenza, si accorse o si sarebbe potuta accorgere dell’esistenza del danno e della sua derivazione causale dalla trasfusione che tale consapevolezza maturò in capo alla vittima nel od al più tardi nel , allorché le venne diagnosticata la malattia dell’epatite C . Aggiunse la Corte d’appello che in assenza di altri fattori di rischio, neppure allegati e comunque non emersi dagli atti , la diagnosi di epatite C mise la vittima in condizione di avvedersi che la propria malattia costituiva una conseguenza della condotta del Ministero convenuto. 3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.M.T. con ricorso fondato su tre motivi ha resistito con controricorso il Ministero della Salute. Il ricorso venne avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il consigliere relatore, propose, ai sensi della norma sopraindicata, il rigetto del ricorso la decisione venne fissata per l’adunanza camerale dell’8.11.2018. Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la ricorrente dedusse che la data esatta dell’exordium praescriptionis era stata accertata con sentenza passata in giudicato resa dalle stesse parti dal Tribunale di Napoli, ed individuata nel 2008. Insistette pertanto nella richiesta di accoglimento del ricorso. Con ordinanza interlocutoria 27 dicembre 2018 n. 33531, questa Corte ritenne opportuno che la trattazione del ricorso avvenisse in pubblica udienza. Il ricorso è stato di conseguenza discusso e trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 20 marzo 2019. Ragioni della decisione 1. Questioni preliminari. 1.1. Va preliminarmente stabilito se sulla questione della esatta individuazione del momento di decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato dalla odierna ricorrente si sia formato un giudicato esterno. La difesa della ricorrente lo ha sostenuto, invocando la sentenza pronunciata tra le stesse parti, e passata in giudicata, con cui il Tribunale di Napoli ha accertato il diritto di C.M.T. a percepire l’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210. 1.2. Tale allegazione non ha pregio. Il giudicato esterno può essere rilevato anche d’ufficio ed anche in sede di legittimità, se si sia formato successivamente alla notifica del ricorso per cassazione. Quando il giudicato si sia formato prima di tale momento, l’eccezione intesa a farlo valere sarà una normale eccezione in senso lato e dunque rilevabile sì anche d’ufficio, ma pur sempre nei limiti ed alle condizioni in cui le eccezioni possono essere introdotte nel processo civile. Nel caso di specie, la difesa della ricorrente ha sostenuto con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. del 29.10.2018 di aver di depositato la sentenza dimostrativa del giudicato esterno in primo grado. La ricorrente non precisa quando avvenne il deposito, nè se il problema del giudicato venne esaminato dal giudice di primo grado. Possono dunque darsi tre possibilità a se il problema del giudicato esterno fosse stato esaminato dal Tribunale e il giudicato ritenuto sussistente, in appello C.M.T. , a fronte del gravame proposto dal Ministero, non aveva l’onere della riproposizione ex art. 346 c.p.c. dell’eccezione di giudicato, in quanto questione rilevabile d’ufficio ma una volta accolto l’appello, avrebbe dovuto impugnare per cassazione la sentenza d’appello per omessa pronuncia sulla questione del giudicato b se il problema del giudicato fosse stato esaminato dal Tribunale, ed il giudicato fosse stato ritenuto inesistente, in appello C.M.T. , a fronte del gravame proposto dal Ministero, avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato c se, infine, il problema del giudicato in primo grado non fosse stato neppure esaminato, in appello C.M.T. , a fronte del gravame proposto dal Ministero, avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato lamentando l’omessa pronuncia. La conclusione è che, quali che siano state le determinazioni del primo giudice sulla questione del giudicato esterno, in questa sede esse sono ormai o precluse, perché non riproposte in appello oppure coperte dal giudicato sull’inesistenza d’un giudicato esterno. 1.3. Oltre che per la ragione appena indicata, l’invocazione del vincolo del giudicato esterno da parte della ricorrente non ha pregio anche per una seconda ed indipendente ragione. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, con riferimento ai limiti della prospettabilità per la prima volta del giudicato esterno nel giudizio di legittimità, hanno affermato che la regola della rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza o insussistenza di fatti materiali. In tali casi, infatti, il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, e la sua astratta rilevanza sussiste soltanto in relazione all’affermazione o negazione di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità Sez. U -, Sentenza n. 2735 del 02/02/2017, Rv. 642419 - 01 nonché Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006, Rv. 589695 - 01, in motivazione . E nel nostro caso, per quanto detto, il giudicato esterno è stato invocato proprio al fine di dimostrare l’inesistenza di un fatto ritenuto invece esistente dalla corte d’appello, e cioè che C.M.T. nel XXXX sapesse di essere malata, e conoscesse la causa della malattia. 2. Il primo motivo di ricorso. 2.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’erroneità della sentenza d’appello nella parte in cui ha qualificato come extracontrattuale, invece che contrattuale, la responsabilità del ministero. Deduce che, così giudicando, la Corte d’appello abbia violato gli artt. 2946 e 2947 c.c. nonché il D.P.R. 24 agosto 1971, n. 1256, artt. 44, 46, 47, 49 e 57. 2.2. Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., dal momento che costituisce jus receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione della natura aquiliana della responsabilità del Ministero della salute per i danni derivati da emotrasfusione Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008 . 3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso. 3.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente, perché pongono questioni tra loro strettamente intrecciate. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2935, 2946 e 2947 c.c Sostiene che la sentenza impugnata erroneamente ha ravvisato nell’anno XXXX l’exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno. Deduce che il diritto al risarcimento del danno da contagio postrasfusionale inizia a prescriversi non dal momento in cui la vittima scopra di essere malata, ma dal momento in cui viene informata che la malattia è stata causata dalla trasfusione che nel caso di specie essa ricorrente potè avere il sospetto di quale fosse la reale causa del contagio solo quando inoltrò la domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e ne ebbe la certezza solo quando la competente commissione medica accolse la suddetta domanda. 3.2. Col terzo motivo la ricorrente sviluppa il tema introdotto col secondo motivo, lamentando che la Corte d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, esonerando il Ministero, che aveva eccepito la prescrizione, dall’onere di provare il momento esatto dell’exordium praescriptionis. 3.3. I due motivi, cumulativamente considerati, sono fondati. Questa Corte ha già ripetutamente affermato che il diritto al risarcimento di danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto come nel caso di contagio o di patologie silenti inizia a prescriversi dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile non da lui, ma dall’uomo medio, possa avvedersi sia di essere malato, sia che la causa della malattia fu la condotta illecita di un terzo per tutti, in tal senso, basterà ricordare Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008, Rv. 600901 - 01 . 3.4. Quando il danno di cui si chiede il risarcimento sia derivato da una trasfusione con sangue infetto, l’individuazione dell’exordium praescriptionis in base al principio appena ricordato deve avvenire osservando tre regole applicative, tutte e tre già stabilite da questa Corte. 3.4.1. La prima regola è che quando la persona contagiata da emotrasfusione presenti la domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, dimostra per ciò solo di essere consapevole sia della sua malattia, sia della causa di essa. Pertanto tale consapevolezza deve presumersi in capo alla vittima, ex art. 2727 c.c., almeno dal momento di presentazione della suddetta domanda. 3.4.2. La seconda regola è che, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, è ribaltato sulla parte che si oppone alla domanda di risarcimento l’onere di provare che il danneggiato avesse acquisito la consapevolezza dell’esistenza del contagio, e della sua derivazione causale dalla trasfusione, già prima dell’inoltro della suddetta domanda amministrativa di indennizzo. Tale prova, ovviamente, potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici, alle condizioni e nei limiti stabiliti dagli artt. 2727 e 2729 c.c 3.4.3. La terza regola è che la prova presuntiva della previa conoscenza o conoscibilità, in capo alla vittima, della malattia e delle sue cause, non può mai ridursi ad una mera congettura od illazione. La prova presuntiva, infatti, è una deduzione logica si deve fondare su fatti certi si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell’id quod plerumque accidit. La congettura, invece, è una mera supposizione si fonda su fatti incerti viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi ex multis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018, Rv. 648463 - 02 Sez. L, Sentenza n. 14620 del 28/12/1999, Rv. 532551 - 01 . 3.5. La seconda e la terza di queste tre regole, le quali costituiscono diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte, non appaiono rispettate dalla sentenza impugnata. Nel caso di specie, infatti, una volta dimostrato da C.M.T. di avere proposto la domanda amministrativa di indennizzo nel 2009, spettava al Ministero della salute dimostrare la pregressa conoscenza o conoscibilità, in capo alla danneggiata, della reale causa del contagio. La Corte d’appello ha ritenuto che tale prova sia stata fornita dal Ministero in via presuntiva, ed ha ritenuto di poter desumere il fatto ignoto della conoscenza o conoscibilità della causa della malattia, in capo alla danneggiata, da tre fatti noti a C.M.T. aveva scoperto sin dal di essere ammalata di epatite, ed aveva sin d’allora iniziato a curarsi b C.M.T. non aveva allegato, nè dimostrato, di essere esposta ad altri fattori di rischio, teoricamente pensabili quali cause del contagio ulteriori e diverse rispetto alla trasfusione c C.M.T. , al momento in cui le fu diagnosticata la malattia, aveva probabilmente acquisito dai sanitari le necessarie informazioni sulla genesi della malattia. E tuttavia è agevole rilevare come a1 la prime delle tre circostanze appena elencate è di per sé ambigua b1 la seconda delle suddette circostanze viola i criteri di riparto dell’onere della prova, per quanto sopra esposto ed infatti spettava al Ministero della salute dimostrare la conoscenza pregressa della malattia in capo all’ammalata, e non a quest’ultima provare di non aver potuto conoscere la suddetta causa c1 la terza delle suddette circostanze presenta un vizio duplice. Da un lato, essa si risolve in una mera congettura od ipotesi, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata supra, al § 3.4.3, alle cui motivazioni può in questa sede rinviarsi. Dall’altro lato, la Corte d’appello ha violato il divieto di ricorso alla praesumptio de praesumpto. Le presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., infatti, sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto. Di conseguenza, gli elementi che costituiscono la premessa del ragionamento presuntivo devono avere il carattere della certezza e della concretezza. Non è possibile, perciò, considerare come fatto noto una mera presunzione, per poi inferirne un’ulteriore presunzione Sez. 5, Sentenza n. 27032 del 21/12/2007, in motivazione Sez. 1, Sentenza n. 5045 del 09/04/2002, Rv. 553601 01 Sez. 2, Sentenza n. 1044 del 28/01/1995, Rv. 490081 - 01 . La sentenza impugnata non appare tuttavia rispettosa di tale principio, nella parte in cui dal fatto noto che la odierna ricorrente avesse scoperto la malattia, ha desunto il fatto ignorato che i sanitari probabilmente l’avevano informata sulla eziogenesi della malattia e poi da tale fatto presunto, per quanto si è detto ha ricavato l’ulteriore fatto ignorato, che l’informazione fu completa, esaustiva e comprensibile, e mise effettivamente C.M.T. nelle condizioni di collegare senza incertezze la sua malattia con la trasfusione di sangue cui si era sottoposta. 3.6. In conclusione, ritiene questo Collegio sussistere la lamentata violazione degli artt. 2935 e 2697 c.c La prima norma è stata falsamente applicata, per avere la sentenza d’appello accertato in facto la mera conoscenza della malattia da parte della danneggiata, ed averne tratto in iure la conseguenza della azionabilità della pretesa risarcitoria, e dunque della decorrenza del termine di prescrizione così, già, Sez. 3 -, Ordinanza n. 13745 del 31/05/2018, Rv. 649040 - 01 . La seconda norma è stata invece violata, nella parte in cui la Corte d’appello ha addossato alla danneggiata l’onere di provare la presenza di altri fattori di rischio , che avrebbero potuto trarla in inganno nell’individuazione della causa della malattia. 4. La sentenza impugnata deve di conseguenza essere cassata con rinvio. Il giudice di rinvio, nel riesaminare il gravame proposto dalla pubblica amministrazione, applicherà i seguenti principi di diritto a in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, sia l’esistenza della malattia, sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione b in tema di prova presuntiva, il fatto noto dal quale è consentito al giudice risalire al fatto ignorato deve consistere in una circostanza obiettivamente certa, e non in una ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto di ricorso alle praesumptiones de praesumpto. 5. Le spese. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.