Il danneggiato è persona anziana: ospedale condannato al pagamento di una rendita vitalizia

Lo ha deciso il Tribunale di Milano, stante l’impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita della danneggiata.

Così con l’ordinanza del 14 maggio 2019, resa nel procedimento ex art. 702- bis c.p.c Il fatto. La procedura di accertamento tecnico preventivo ex art. 696- bis c.p.c., aveva riconosciuto la responsabilità della struttura ospedaliera presso cui una donna aveva subito un intervento un intervento di angioplastica. In particolare, durante il trattamento si era verificata una trombosi embolica dell’arteria cerebrale media di destra, con ischemia acuta cortico-sottocorticale destra ed emiplagia sinistra. Al tempo delle dimissioni la donna, che già aveva subito un ictus tre anni prima ma non presentava deficit neurologici, riportava cecità nel campo visivo sinistro, disturbo della cognizione spaziale controlaterale la lesione cerebrale, caratterizzata dall’incapacità di percepire, elaborare e rispondere a stimoli presentati nell’emispazio controlesionale, perdita della capacità motoria e stenia dell’arto superiore ed inferiore con flaccidità dei muscoli, con conseguente impossibilità a mantenere la stazione eretta e a deambulare. La relazione del consulente d’ufficio aveva riconosciuto un danno iatrogeno nella misura del 82 - 83 %. Era stato poi promosso il procedimento ex art. 702- bis c.p.c. chiedendo l’accertamento della responsabilità e il risarcimento del danno. Il mancato rispetto delle linee guida. Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di quanto affermato nella CTU, che la struttura sanitaria convenuta non abbia adempiuto con la necessaria diligenza e la dovuta prudenza alle proprie obbligazioni. In particolare, è emerso che non sono stati adottati tutti gli accorgimenti diagnostico-terapeutici previsti dalle linee guida. Senza entrare qui nello specifico, è stato ritenuto che una diversa metodologia, peraltro aderente alle linee guida, avrebbe consentito di evitare, secondo il criterio del più probabile che non” le lesioni riportate dalla donna. Una volta dichiarata la responsabilità dei medici e dunque della struttura ospedaliera, il passaggio successivo è stato quello della liquidazione del danno, riconosciuto nella misura del 82% a titolo di danno iatrogeno ovvero il danno differenziale, tenuto conto delle condizioni iniziali della donna, che aveva già subito un ictus pochi anni prima . Perché il tribunale ha scelto la rendita rispetto al capitale. In questa sede sta la parte innovativa della decisione, laddove il Tribunale ha deciso, dopo aver ricordato che la somma astrattamente liquidabile per una lesione dell’integrità psicofisica nella misura del 82% in un soggetto di sesso femminile di 80 anni alla data dell’intervento sarebbe stato di poco inferiore a euro 610.000, anziché liquidare tale somma, di costituire una rendita, ipotesi prevista espressamente dall’art. 2057 c.c., ma di non frequente applicazione. Il Giudice ha ritenuto di provvedere in tal modo, data la oggettiva gravità della situazione della donna, il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata ormai già in età molto avanzata . Per la quantificazione della rendita, gli elementi presi in considerazione sono stati a le somme dovute alla ricorrente a titolo di danno non patrimoniale b l’importo dovuto a titolo di danno patrimoniale per le spese di adeguamento dell’immobile alle nuove esigenze euro 30.070 c una presumibile aspettativa di vita decennale tenendo conto sia l’età della ricorrente, ma anche del carattere ormai cristallizzato delle lesioni, che non incideranno, per quanto evidenziato dai CTU, sulle aspettative di vita , presa in considerazione ai soli fini della quantificazione della rendita. Per quel che concerne gli importi è stata riconosciuta una rendita di euro 5.350 ovvero euro 64.200,00 annui che dovrà essere versata in via anticipata all’inizio di ogni anno per tutta la durata della vita della beneficiaria e con rivalutazione. Peraltro tale rendita, andando a risarcire un danno già integralmente verificatosi, decorre con effetto retroattivo dalla data dell’evento, con conseguente obbligo per la struttura ospedaliera di provvedere al pagamento della somma di euro 299,600 vale a dire euro 5350 per 56 mesi, ovvero il tempo trascorso tra l’evento e l’ordinanza che ha concluso il procedimento . A ciò è stata aggiunta una ulteriore rendita, pari ad euro 1.300 mensili, relativa alle prevedibili spese necessarie per l’attività di assistenza generica ovvero di un badante . A garanzia delle rendite vitalizie la struttura è stata altresì condannata a stipulare, a favore della donna, una polizza sulla vita, a premio unico, a vita intera ed in forma di rendita.

Tribunale di Milano, sez. I Civile, ordinanza 14 maggio 2019 Giudice Flamini Fatto e Diritto Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. del 13.03.2018, la sig.ra omissis ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la omissis esponendo la seguente vicenda sanitaria - il 16.12.2011, la ricorrente veniva ricoverata presso omissis di , dove le riscontravano l’occlusione della carotide interna destra all’origine e note di atrofia cortico-subcorticale alla RMN dell’encefalo - in data 22.12.2011, la stessa veniva dimessa con diagnosi di lesioni ischemiche multiple carotidee destre in soggetto con occlusione della carotide interna omolaterale” e con la prescrizione di una terapia domiciliare - il 4.07.2014, la omissis seguiva un’AngioTAC al collo, dalla quale risultava la stenosi della carotide interna destra maggiore del 75% ed estesa per circa 1,4 cm - l’1.09.2014, la ricorrente eseguiva il pre-ricovero presso l’ospedale omissis dove subiva un intervento di angioplastica nello specifico, intervento di PTA Stenting ICA dx , in data 4.09.2014, dopo aver sottoscritto il consenso informato durante il trattamento, tuttavia, si verificava una trombosi embolica dell’arteria cerebrale media di destra, con ischemia acuta cortico-sottocorticale destra ed emiplagia sinistra la paziente veniva quindi trasferita nel reparto di neurologia della medesima struttura ospedaliera - in data 27.09.2014, veniva dimessa con diagnosi di Emiplegia sinistra, disfagia, emianopsia ed eminattenzione da ischemia cortico-sottocorticale dx 04.09.2014 ” e trasferita, per il proseguimento delle cure e l’esecuzione di un programma riabilitativo, presso l’Istituto omissis di Milano. Premesse tali circostanze, sulla scorta dei risultati della CTU espletata in sede di ricorso ex art. 696 bis c.p.c., omissis ha avanzato le seguenti richieste accertamento della responsabilità della struttura ospedaliera convenuta risarcimento del danno iatrogeno permanente in misura del 90% e di quello temporaneo, in base a quanto emerso nella consulenza tecnica risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, per violazione del diritto al consenso informato condanna alle spese e condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Si è costituita omissis eccependo, preliminarmente la nullità del ricorso per indeterminatezza della domanda, ex art. 164 c.p.c. e l’inammissibilità dello stesso per incompatibilità tra la complessità della questione in oggetto e la sommarietà del rito. Nel merito ha invece dedotto che la ricorrente non individuava i profili di inadempimento imputabili alla struttura che la stessa non forniva la prova del nesso di causa tra il comportamento dell’ospedale ed i danni lamentati che la CTU espletata nel procedimento di ATP era lacunosa sotto molti profili e doveva essere integrata che la quantificazione dei danni come effettuata da controparte risultava del tutto priva di fondamento. Concludeva, pertanto, chiedendo il rigetto delle domande di parte ricorrente, con vittoria di spese. Acquisito il fascicolo del procedimento di ATP e disposto il deposito, da parte dei consulenti tecnici, di una nota scritta a chiarimento di alcuni aspetti emersi dall’esame peritale, le parti hanno discusso oralmente la causa ed il giudice si è riservato di provvedere. Motivi della decisione 1 Questioni preliminari Preliminarmente, si impone una pronuncia di rigetto dell’eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza della domanda, sulla base dell’art. 164 c.p.c Sul punto, si richiama quanto chiaramente sostenuto dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1681/2015 la declaratoria di nullità della citazione per omissione o assoluta incertezza del petitum postula una valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto, tener conto che l'identificazione dell'oggetto della domanda va operata avendo riguardo all'insieme delle indicazioni contenute nell'atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, dall'altro, che l'oggetto deve risultare assolutamente incerto con la conseguenza che non potrà prescindersi, nel valutare il grado di incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte se tale, cioè, da consentire, comunque, un'agevole individuazione di quanto l'attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, o se, viceversa, tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l'approntamento di una precisa linea di difesa ” si veda anche Cass. n. 22371/2017 . Nel caso di specie, attraverso un esame complessivo dell'atto introduttivo del giudizio, è possibile individuare chiaramente quale sia il petitum, tanto sotto il profilo formale del provvedimento giurisdizionale richiesto accertamento della responsabilità professionale del convenuto e risarcimento conseguente , quanto sotto l'aspetto sostanziale del bene della vita di cui si domanda il riconoscimento le conclusioni contengono la specifica quantificazione del risarcimento domandato, sulla base delle differenti voci di danno . Pertanto, si perviene ad un rigetto dell’eccezione di nullità. L’eccezione di inammissibilità è del pari infondata atteso che, alla luce delle questioni di fatto e di diritto prospettate dalla ricorrente, il presente procedimento è compatibile con la scelta del rito sommario. 2 Responsabilità professionale della struttura sanitaria convenuta Nel merito, le domande spiegate dalla ricorrente sono fondate e meritano accoglimento per i motivi che seguono. In via generale, con riferimento al nesso eziologico, non sembra inutile ricordare che nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non , la causa del danno , con la conseguenza che, se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata cfr. Cass. n. 975/2009, Cass. n. 17143/2012, Cass. n. 4792/2013, Cass. n. 18392/2017 ”. In particolare, la prova del nesso causale, quale fatto costitutivo della domanda intesa a far valere la responsabilità per l’inadempimento del rapporto curativo, si sostanzia nella dimostrazione che l’esecuzione della prestazione sanitaria si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di preteso danno, che è rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui si era richiesta la prestazione o dal suo aggravamento. Come recentemente chiarito dalla Cassazione, inoltre, quando resta incerta la causa dell’evento, occorre distinguere fra la causalità relativa all'evento causalità materiale ed al consequenziale danno causalità giuridica e quella concernente la possibilità rectius impossibilità della prestazione. Nella sentenza n. 18392/2017, la Corte ha affermato che emerge così un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e la condotta del sanitario fatto costitutivo del diritto , il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione fatto estintivo del diritto . Conseguenzialmente, la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull'attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che la patologia sia riconducibile, ad esempio, all'intervento chirurgico, la struttura sanitaria deve dimostrare che l'intervento ha determinato la patologia per una causa, imprevedibile ed inevitabile, la quale ha reso impossibile l'esecuzione esperta dell'intervento chirurgico medesimo”. Ciò posto, nel caso in esame si osserva quanto segue. La consulenza tecnica espletata nel procedimento ex art. 696 bisc.p.c. e acquisita al processo, depositata a firma della dott.ssa omissis specialista in medicina legale e delle assicurazioni, e del omissis specialista in neurochirurgia, - le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta -, ha consentito di accertare i seguenti elementi - al momento dell’intervento, presentava gli esiti di un ictus occorso nel 2011 per occlusione della carotide interna destra, ma non presentava deficit neurologici - Prima del trattamento, non è stata somministrata terapia antiaggregante doppia somministrazione contemporanea di due farmaci antiaggreganti differenti , né è stato eseguito un ecocolordoppler per inquadrare le caratteristiche della lesione da trattare - In seguito all’intervento, a causa delle manovre di posizionamento dello stent, si è verificata la mobilizzazione del materiale emboligeno - La paziente, attualmente, presenta emianopsia sinistra cecità nel campo visivo sinistro , eminattenzione sinistra disturbo della cognizione spaziale controlaterale la lesione cerebrale, caratterizzata dall’incapacità di percepire, elaborare e rispondere a stimoli presentati nell’emispazio controlesionale , emiplegia sinistra flaccida branchio-crurale perdita della capacità motoria e stenia dell’arto superiore ed inferiore con flaccidità dei muscoli , con conseguente impossibilità a mantenere la stazione eretta e a deambulare. Premessi tali elementi, gli ausiliari del giudice hanno precisato che - La procedura eseguita, pur richiedendo l’esperienza dell’operatore e una corretta valutazione preoperatoria dal punto di vista clinico, diagnostico e profilattico , non è da ritenersi di speciale difficoltà - Le modalità di trattamento realizzabili nel caso in esame erano due un intervento chirurgico o una procedura endovascolare di Stenting - poi effettivamente messa in atto. Dalla cartella clinica non emerge la ragione per cui i medici abbiano preferito una metodica piuttosto che un’altra. Tuttavia, dalla letteratura reperibile all’epoca dell’intervento, emergeva un maggior rischio emboligeno discendente dalla procedura endovascolare, del 3,5-4,1%, contro il 2,3-1,5%, nei casi chirurgici - Per quanto riguarda la scelta del PTA Stent, nel 2013 non vi erano studi che provassero la superiorità di una tecnica rispetto all’altra tuttavia, la tortuosità dell’asse carotideo avrebbe dovuto condurre i sanitari a sospettare che il posizionamento dello stent potesse risultare difficoltoso e che non sarebbe stato possibile utilizzare il filtro. Ciò avrebbe portato a preferire, in termini di sicurezza, l’endarterectomia - La mancata somministrazione della doppia antiaggregazione – il cui utilizzo prima di suddetto trattamento endovascolare era raccomandato dalle linee guida e dai dati di letteratura dell’epoca - ha contribuito ad aggravare il rischio emboligeno incorso - In base alle linee guida, sarebbe stato necessario eseguire un ecodoppler dei vasi del collo, al fine di ottenere indicazioni sulla consistenza della placca e sulla relativa tendenza emboligena - I danni patiti dalla paziente sono il risultato di complicanze prevedibili, anche se non prevenibili nel 100% dei casi l’ictus embolico era infatti complicanza nota e descritta nell’informativa consegnata alla paziente. Tali circostanze inducono univocamente a ritenere che la struttura sanitaria convenuta non abbia adempiuto con la necessaria diligenza e la dovuta prudenza alle proprie obbligazioni. In particolare, è emerso che non sono stati adottati tutti gli accorgimenti diagnostico-terapeutici previsti dalle linee guida, le quali, già all’epoca, raccomandavano l’utilizzo della doppia antiaggregazione da somministrare prima del trattamento endovascolare e l’esecuzione di un ecodoppler dei vasi del collo. Infatti, da un lato, l’analisi della placca con ecodoppler avrebbe potuto incrementare le informazioni dei sanitari nell’ambito di una corretta valutazione multidisciplinare dei rischi”, evidenziando le caratteristiche specifiche della placca - in particolare, la sua instabilità e la peculiare tortuosità dell’asse carotideo -, il che avrebbe condotto i sanitari a preferire una tecnica curativa differente quella chirurgica, in luogo dello stenting carotideo cfr. pagg. 17-18 relazione CTU dall’atro, la doppia antiaggregazione avrebbe potuto prevenire l’evento ischemico” pag. 21 relazione CTU . A tali considerazioni deve poi aggiungersi che, pur volendo prescindere dalle peculiarità del caso specifico, la scelta della tecnica chirurgica avrebbe comunque comportato un rischio di ictus embolico di probabilità inferiore, del 2,3-1,5%, contro il 3,5-4,1%, nella procedura endovascolare effettuata rischio che sarebbe potuto essere ulteriormente contenuto attraverso la somministrazione della doppia antiaggregazione. Tali risultanze non possono essere revocate in dubbio alla luce delle contestazioni svolte dai consulenti tecnici di parte. In particolare, come chiarito dagli ausiliari del giudice le linee guida dell’epoca escludevano l’approccio endovascolare nei casi di estrema tortuosità” dell’asse carotideo, facendo così cessare il concetto di equivalenza delle procedure a favore di un atteggiamento prudenziale con l’intervento chirurgico” pag. 24 sebbene anche con la procedura chirurgica il rischio emboligeno non si sarebbe azzerato, la sottovalutazione di tale complicanza, dovuta alla mancata effettuazione dell’ecodoppler, ha rappresentato una concausa della complicanza stessa, poiché ha portato alla scelta della tecnica endovascolare, quando, invece, avrebbe dovuto far propendere per il trattamento chirurgico, cui sono collegate problematiche emboligene inferiori la doppia antiaggregazione, pur non modificando il meccanismo di origine degli emboli, è considerata accorgimento prudenziale, specificato nelle linee guida ed indicato ai fini della protezione cerebrale il trattamento diagnostico-terapeutico messo in atto dai sanitari è risultato fallace ancor prima del verificarsi delle complicanze occorse durante la procedura di cura e ha concorso alla loro causazione. A fronte delle risultanze della CTU, si può concludere che se i sanitari si fossero attenuti alle raccomandazioni delle linee guida, già reperibili all’epoca, e avessero adottato gli adeguati accorgimenti, avrebbero certamente privilegiato la tecnica curativa di natura chirurgica, la quale avrebbe consentito di evitare, secondo un criterio di preponderanza dell’evidenza, i danni subiti dall’ricorrente. In conclusione, ritiene il Tribunale che la struttura sanitaria convenuta sia responsabile con riferimento alla condotta relativa alla scelta della via del parto ed alla sua esecuzione. Dagli elementi risultanti dalla CTU emerge in modo chiaro che il comportamento dei medici omissis ha determinato, secondo il criterio del più probabile che non”, i gravissimi danni subiti dalla Nell’operato della struttura convenuta è ravvisabile un inesatto adempimento delle prestazioni necessarie ad evitare le lesioni poi subite dalla ricorrente, con conseguente responsabilità per violazione del dovere di diligenza, ex art. 1176 c.c., e diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali emergenti che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento art. 1223 c.c. . Non è contestata, infatti, l’esistenza di un contratto tra la ricorrente e la struttura ospedaliera avente ad oggetto la prestazione sanitaria per cui è causa , mentre appare pacifica la sussistenza di una lesione iatrogena dell’integrità psico-fisica di parte ricorrente come accertata e quantificata dai CTU . Deve, pertanto, affermarsi la responsabilità dell’istituto convenuto in relazione ai danni patiti da parte ricorrente. 3 Consenso informato La domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni da consenso informato non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono. In via generale occorre premettere alcuni cenni relativi alla questione del consenso. Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario. Senza il consenso informato l'intervento del medico è - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità -sicuramente illecito, anche quando sia nell'interesse del paziente. Non assume alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica Cass. 28.7.2011 n. 16543 . Con specifico riguardo alla violazione dell'obbligo di informazione, va precisato che i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di apprezzabile gravità secondo i canoni delineati dal dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nn. 26972/08 e 26974/08 , possono essere di duplice natura 1 quelli conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente 2 quelli conseguenti alla lesione del diritto all'integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall'art. 32 Cost. Infatti, la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti nonchè un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità , diverso dalla lesione del diritto alla salute . cfr., ex multis Cass. civ. 11950/2013 Cass. civ. 2854/2015 Cass. civ. 24220/2015 Cass. 24074/2017 Cass. civ. 16503/2017 Cass. civ. 7248/2018 . In particolare, per quanto concerne la risarcibilità dei danno, possono prospettarsi le seguenti situazioni sul punto Cass. civ. 7248/2018 1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale cfr. Cass. 901/2018 2. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente 3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione sul piano puramente equitativo , mentre la lesione della salute andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all'intervento e quella antecedente ad esso 4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente e correttamente eseguito in tal caso, la lesione del diritto all'autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell'intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. Peraltro, quando si alleghi che la violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato abbia determinato anche un danno alla salute, è, peraltro, necessario dimostrare il nesso causale tra questo danno e quella violazione il medico può essere quindi chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute Cass. 09/02/2010, n. 2847 Cass. 30/03/2011, n. 7237 Cass.27/11/2012, n. 20984 Cass. 16/02/2016, n. 2998 Cass. 13/10/2017, n. 24074 . Nel caso di specie, la violazione dell'obbligo di informazione è stata invocata dalla difesa di parte ricorrente a sostegno della domanda di risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto all’autodeterminazione. Per l’accoglimento della domanda relativa alla lesione del diritto all’autodeterminazione occorre esaminare se la ricorrente abbia subito conseguenze pregiudizievoli di una certa gravità in conseguenza della violazione di tale diritto, gravando su di essa il relativo onere probatorio. Con riferimento a tale voce di danno-conseguenza, occorre ricordare quanto affermato dalla Corte di Cassazione Cass. 12505/2015 poichè l'informazione sull'atto medico da eseguirsi e sulle sue conseguenze, una volta data al paziente, avrebbe posto costui nella condizione di decidere se autorizzare o non autorizzare il medico all'esecuzione dell'intervento proposto e poichè tra i contenuti possibili concreti che l'esercizio di tale potere di determinazione può assumere vi può essere sia la scelta di restare nelle condizioni che secondo il medico imporrebbero l'intervento anche se pregiudizievoli, sia la scelta di riflettere e di determinarsi successivamente, sia e soprattutto quella di rivolgersi altrove, cioè ad altro medico, prima di determinarsi, è palese che un effetto della condotta di omissione dell'informazione seguita dall'esecuzione dell'atto medico, che integra danno conseguenza, si individua nella preclusione della possibilità di esercitare tutte tali opzioni. Preclusione che integra danno conseguenza perchè si concreta nella privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi circa la sua persona fisica. Libertà che, costituendo un bene di per sè, quale aspetto della generica libertà personale, viene negata e, quindi, risulta sacrificata irrimediabilmente, sì che si configura come perdita di un bene personale”. Alla luce di tali principi, è necessario che chi invoca la lesione del diritto all’autodeterminazione i.e. la violazione del diritto ad esprimere un valido consenso su un intervento chirurgico poi subito , alleghi in modo specifico così fornendo al giudice precisi elementi di fatto noti dai quali ricavare, in via presuntiva, i fatti ignoti che si intende provare che, a causa dell’omessa o incompleta informazione, ha perso in via tra loro cumulativa o alternativa la possibilità di autodeterminarsi scegliendo, in modo meditato, a quale tipo di trattamento terapeutico sottoporsi, la procedura chirurgica ovvero quella endovascolare. Nel caso di specie, omissis è limitata a lamentare genericamente l’inadeguatezza delle informazioni ricevute, ma non ha specificamente allegato il pregiudizio che, a causa di tale incompleta informazione, avrebbe subito. Secondo quanto riportato nella relazione dei consulenti tecnici d’ufficio, la cartella clinica della paziente conteneva un modulo informativo particolareggiato, il quale descriveva la malattia della donna, il trattamento terapeutico consigliato con potenziali benefici e inconvenienti” e complicanze intraoperatorie/postoperatorie immediate” , nonché le possibili alternative e i possibili esiti del non trattamento”. L’unico rilievo in merito alla completezza delle informazioni fornite alla paziente, posto all’attenzione del giudice da parte degli ausiliari, riguarda il fatto che il consenso sottoscritto dalla sig.ra Be. il giorno dell’intervento non specificava quale procedura sarebbe stata effettivamente prescelta e, dunque, realizzata. Tuttavia, la mancata allegazione di uno specifico pregiudizio che sarebbe eziologicamente riconducibile a suddetta omissione esclude la risarcibilità del danno lamentato da parte ricorrente che, alla luce dei principi sopra ricordati, non può ritenersi sussistente in re ipsa . 4 Danni risarcibili In merito all’entità delle lesioni subite dalla paziente, dalla relazione di CTU, non specificamente contestata con riferimento alla quantificazione dei danni, emerge che - Prima dell’intervento in questione, la paziente presentava gli esiti di un ictus occorso nel 2011 e un quadro clinico caratterizzato da stenosi critica maggiore del 75% all’origine della carotide interna estesa per 1,4 cm, con obiettività neurologia nella norma e presenza di soffio sistolico a destra”. Tale condizione era valutabile in termini di invalidità nella misura del 7-8% - A seguito dell’intervento, è stata accertato un periodo di inabilità temporanea in forma assoluta pari a cinque mesi di cui 6 giorni di ricovero presso il reparto di neurologia 47 giorni in reparto riabilitazione 3 mesi presso per la prosecuzione del programma riabilitativo - La paziente, attualmente, presenta cecità nel campo visivo sinistro, disturbo della cognizione spaziale controlaterale la lesione cerebrale, perdita della capacità motoria e stenia dell’arto superiore ed inferiore, con flaccidità dei muscoli, e impossibilità di mantenere la stazione eretta e deambulare. E' stata quindi attestata una compromissione dell’integrità psico-fisica del 90%. Alla luce dei predetti elementi, è possibile ritenere che, secondo un criterio di preponderanza dell’evidenza, i danni subiti dalla omissis siano conseguenza immediata e diretta della condotta tenuta dai medici e siano ascrivibili alla responsabilità dell’istituto convenuto. a Danno non patrimoniale In merito alla quantificazione dei danni non patrimoniali subiti dall’ricorrente, alla luce delle risultanze della CTU, appare opportuno precisare quanto segue. Gli ausiliari, rispondendo alla richiesta di chiarimento avanzata dal giudice in merito alla quantificazione del c.d. danno differenziale, hanno riferito la sussistenza di una percentuale di danno iatrogeno permanente anteriore all’intervento in questione, quantificabile nella misura del 7-8%. Tale valore è stato determinato sulla base di quanto attestato al momento dell’ingresso della paziente in ospedale non sussiste, infatti, documentazione anteriore il suo quadro clinico presentava soffio sistolico a destra, stenosi critica all’origine della carotide interna estesa per 1,4 cm e assenza di deficit neurologici. I consulenti hanno dunque effettuato suddetta valutazione per analogia, dal momento che la lesione esistenteprima del contatto con la struttura convenuta non risulta indicata nelle tabelle degli usuali barèmes. Prima di procedere alla liquidazione del danno c.d. differenziale, è opportuno premettere che il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale, l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento, in applicazione della regola di cui all'art. 41 cod. pen., così da ascrivere interamente l'evento di danno all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica, allo scopo di evitare l’attribuzione all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale”, un obbligo risarcitorio che comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì alla pregressa situazione patologica del danneggiato” così Cass. 21 luglio 2011 n. 15991 Cass. 20996/2012 . Tutto ciò premesso, nel caso in esame risulta che, rispetto alla complessiva invalidità della pari al 90% , l’entità del danno iatrogeno riferibile all’erronea attività dei sanitari convenuti può essere quantificato nella misura del 82%. Questo Tribunale ha già avuto modo di affrontare la questione relativa all’imputabilità risarcitoria del danno iatrogeno incrementativo sottolineando - con argomentazioni che questo giudice interamente condivide – come si ponga la necessità di procedere, sotto il profilo della causalità giuridica, ad una selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze per individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo risarcitorio a carico del medico operante. Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui criteri liquidatori di esso che non possono prescindere dal rilievo che assume la situazione preesistente sotto due principali profili a non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente b la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle conseguenze negative incrementative” subite dalla parte lesa.” Tribunale Milano, omissis 30.10.2013 . Orbene, per procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale subito da parte ricorrente, nel caso di specie, si può ancora fare applicazione delle tabelle elaborate da questo Tribunale comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica – criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2001 n. 28290 . Infatti, pur tenendo conto dell’insegnamento della Corte costituzionale sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss. e del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 C.d.A. come modificati dall’art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, danno biologico” , ed il cui contenuto consentono di distinguere, secondo un’interpretazione letterale che rende inutile il ricorso agli ulteriori criteri interpretativi, definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – nel caso in esame, alla luce dell’entità delle lesioni e delle specifiche allegazioni di parte ricorrente, è possibile valutare, con i criteri di cui alle richiamate tabelle, sia l’aspetto interiore del danno sofferto quanto quello dinamico-relazione. L’importo astrattamente liquidabile per una lesione dell’integrità psicofisica nella misura del 82% in soggetto di sesso femminile, di 80 anni alla data dell’intervento, risulta corrispondente alla somma di Euro 594.913,00 valore complessivo che verrà utilizzato, in via equitativa, come parametro di riferimento per la determinazione della rendita vitalizia . Inoltre, a titolo di danno biologico da inabilità temporanea, calcolata nella misura di cinque mesi, spetta a parte ricorrente la somma di Euro 14.700,00. Con riferimento all’invocata personalizzazione, si osserva quanto segue. In presenza di un danno permanente alla salute, la misura del risarcimento prevista dal criterio equitativo sopra indicato può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiare cfr. Cass. 901/2018 Cass. 7513/2018 . Nel caso in esame, in difetto di specifica allegazione sui caratteri anomali ed eccezionali delle conseguenze, nulla può essere risarcito a tale titolo. b Danni patrimoniali In merito ai danni patrimoniali, si osserva quanto segue. Parte ricorrente ha dimostrato l’esistenza di un danno patrimoniale pari ad Euro 30.070,00 relativo alle opere necessarie per adeguamento dell’immobile in cui abita ed alle spese di sopralluogo . Spetta, inoltre, alla ricorrente il risarcimento dei danni futuri, relativi alle spese di assistenza necessarie per tutta la durata della sua vita. In merito alla risarcibilità del danno futuro, non sembra inutile ricordare quanto statuito dalla Suprema Corte. In particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale ex multis, Cass.,nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965 ” e che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto” Cass. 10072/2010 . Dalla CTU è emerso che - Le condizioni della ricorrente richiedono trattamenti fisioterapici, non tanto volti al recupero funzionale, quanto piuttosto al mantenimento di quanto recuperato - I predetti trattamenti possono essere effettuati tramite il SSN - La ricorrente necessita di un’assistenza di tipo generico nelle ore diurne 12-14 h al giorno , dal momento che la condizione di emiplegia flaccida le impedisce la deambulazione, passaggi posturali autonomi e l’espletamento di atti quotidiani basilari pratiche igieniche, vestizione e rimozione di abiti, preparazione dei pasti, spostamenti intra ed extra abitativi - Suddetta assistenza può essere espletata da un badante”, senza necessari requisiti in ordine ad una preparazione sanitaria. Con riferimento alla quantificazione delle dette spese, devono essere considerati i seguenti elementi - Nulla può essere risarcito per i trattamenti fisioterapici atteso che gli ausiliari del Giudice hanno chiarito che gli stessi possono essere forniti dal SSN - La ricorrente necessita di assistenza di tipo generico e, dunque, per la quantificazione delle spese dovute a tale titolo, può farsi riferimento ai notori importi erogati per le prestazioni mensili di una badante” pari ad Euro 1.300,00 . Stante la oggettiva gravità della situazione della omissis il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata ormai già in età molto avanzata , ritiene il Tribunale di provvedere, ai sensi dell’art. 2057 c.c., mediante la costituzione di una rendita vitalizia art. 1872 c.c. . Per la quantificazione della detta rendita, devono essere presi in considerazione i seguenti elementi - Le somme dovute alla ricorrente a titolo di danno non patrimoniale come sopra indicate - L’importo di Euro 30.070,00 a titolo di danno patrimoniale per le spese di adeguamento dell’immobile - Una presumibile aspettativa di vita decennale in considerazione dell’età della ricorrente, ma anche del carattere ormai cristallizzato delle lesioni, che non incidono, per quanto evidenziato dai CTU, sulle aspettative di vita , presa in considerazione ai soli fini della quantificazione della rendita. Alla luce dei predetti elementi, in via equitativa, la rendita vitalizia deve essere quantificata in Euro 5.350,00,00 mensili -, pari ad Euro 64.200,00 annui – da versarsi in via anticipata all’inizio di ciascun anno - per tutta la durata della vita della beneficiaria omissis e con rivalutazione. Non pare inutile precisare che la detta rendita – attraverso la quale si risarcisce un danno già integralmente verificatosi -, deve essere fatta decorrere dal 4.9.2014 con conseguente obbligo della struttura convenuta di provvedere al pagamento della somma capitale di Euro 299.600,00, calcolata moltiplicando l’importo della rendita mensile per 56, pari al numero di mesi compreso tra il 4.9.2014 e la data della presente pronuncia . Deve essere, inoltre, costituita una rendita pari ad Euro 1.300,00 mensili, relativa alle spese necessarie per l’attività di assistenza generica sopra indicata. In merito alla decorrenza di tale seconda rendita, la stessa può essere fatta decorrere solo a far data dalla presente decisione, atteso che, per il periodo antecedente, nulla è stato dimostrato dalla difesa. Né può essere considerato il fatto che la danneggiata abbia rinunciato alle spese di assistenza per ragioni economiche, atteso che tale circostanza – che potrebbe aver rilievo ai fini della valutazione di un danno non patrimoniale – non è stata allegata. Ancora, con riferimento alla costituzione di una rendita, si osserva che, nonostante la sua scarsissima applicazione pratica, tale strumento come già affermato dalla Suprema Corte, cfr. Cass. 24451/2005 offre un importante criterio di liquidazione del lucro cessante, consentendo al giudice, d’ufficio e dunque senza la necessità di una specifica domanda in tal senso , di valutare la particolare condizione della parte danneggiata e la natura del danno, con tutte le sue conseguenze. omissis deve pertanto essere condannata al pagamento, in favore di una rendita vitalizia così composta - Euro 5.350,00,00 mensili - pari ad Euro 64.200,00 annui– in via anticipata -per tutta la durata della vita della beneficiaria, a far data dalla data dal 4.9.2014 - Euro 1.300,00 mensili – pari ad Euro 15.600,00 annui - in via anticipata -per tutta la durata della vita della beneficiaria, a far data dalla data dalla presente pronuncia. La predetta rendita deve essere rivalutata annualmente, secondo l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione Europea IPCA . A garanzia della predetta rendita vitalizia ed in ossequio a quanto previsto dall’art. 2057 c.c., in merito alle cautele , omissis va condannata a stipulare una polizza sulla vita, a premio unico, a vita intera ed in forma di rendita a beneficio. La domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., non può trovare accoglimento atteso che la complessità delle valutazioni tecniche espresse dai consulenti d’uffici porta ad escludere la sussistenza dei presupposti previsti dalla predetta norma. 5 Spese di lite Le spese di lite comprensive delle spese relative alle consulenze tecniche di parte, pari ad Euro 9.000,00 , seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede 1 Accoglie le domande di parte ricorrente e, per l’effetto, condanna omissis , in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di una rendita vitalizia dell’importo di Euro 64.200,00 annui, da versarsi in via anticipata, a far data dal 4.9.2014, per tutta la durata della vita della beneficiaria somma da rivalutare annualmente, secondo l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione Europea IPCA 2 Accoglie le domande di parte ricorrente e, per l’effetto, condanna la omissis , in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di di una rendita vitalizia dell’importo di Euro 15.600,00 annui, da cipata, a far data dalla presente pronuncia, per tutta la durata della vita della beneficiaria somma da rivalutare annualmente, secondo l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione Europea IPCA 3 Condanna omissis - a garanzia delle due rendite vitalizie previste ai punti 1 e 2 del dispositivo - a stipulare una polizza sulla vita, a premio unico, a vita intera ed in forma di rendita, a beneficio 4 Condanna omissis al pagamento, in favore della ricorrente delle spese di lite del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e del presente procedimento , liquidate in Euro 43.800,00 ed in Euro 1.156,00 per contributo unificato di entrambi i procedimenti , oltre Euro 9.000,00,00 per spese di consulenza tecnica di parte, oltre il 15% di spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge 5 pone definitivamente a carico omissis le spese di c.t.u., già liquidate con separato provvedimento. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di Sua competenza.