L’art. 43 della legge assegni non contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva

Ai sensi dell’art. 43, comma 2, r.d. n. 1736/1933 c.d. legge assegni , la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per avere assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c

Così la Cassazione Civile con l’ordinanza n. 13568/19, depositata il 20 maggio. La fattispecie. La sentenza in commento trae origine dal giudizio instaurato da una compagnia di assicurazioni nei confronti di due primari istituti di credito per ottenere la condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni asseritamente patiti in conseguenza dalla negoziazione di un assegno bancario contraffatto nell’importo e nell’indicazione del beneficiario. La domanda dell’attrice era fondata sull’affermazione della responsabilità della banca negoziatrice e di quella trattaria ai sensi dell’art. 43 della legge assegni. Il Tribunale di Bologna e, successivamente, la Corte di Appello della medesima località hanno respinto le domande attoree ritenendo che la norma di cui al citato art. 43 della legge assegni non contempli – contrariamente a quanto asserito dall’attrice – un caso di responsabilità oggettiva, limitandosi al contrario a prevedere un caso di responsabilità per colpa. Su tale presupposto i Giudici di merito hanno accertato che il comportamento tenuto dagli istituti di credito convenuti non aveva violato in alcun modo il prescritto canone della diligenza. La rilevanza della diligenza nella negoziazione degli assegni bancari. Per quanto qui di interesse, il primo motivo di ricorso presentato avanti alla Corte di Cassazione dall’attrice soccombente riguarda l’interpretazione dell’art. 43 della legge assegni. In particolare, secondo la ricorrente, tale disposizione configurerebbe una figura di responsabilità oggettiva della banca in relazione al pagamento del titolo all’effettivo beneficiario e che, in tale contesto, la colpa, nel caso di pagamento a terzi non legittimati di un assegno munito di clausola di intrasferibilità, sarebbe irrilevante. Respingendo le tesi della ricorrente gli Ermellini hanno richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della stessa Corte di Cassazione secondo la quale, ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni, la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per avere assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 febbraio – 20 maggio 2019, n. 13568 Presidente Genovese – Relatore Dolmetta Fatto e diritto 1.- Con atto di citazione del settembre 2004, la s.p.a. Unipol come allora denominata Fondiaria SAI ha convenuto avanti al Tribunale di Bologna Unicredit s.p.a. già Credito Italiano e Intesa SanPaolo già Banca Intesa s.p.a. per sentirle condannare al pagamento di una somma di danaro pretesa a titolo di risarcimento danni. La domanda ha tratto origine dalla negoziazione di un assegno di traenza - emesso da Unipol a seguito di un sinistro e in base a una convenzione di conto corrente con Banca Intesa -, che, contraffatto nell’importo e nell’indicazione del beneficiario, era stato posto all’incasso presso il Credito. Ed è stata fondata sull’affermazione della responsabilità della banca negoziatrice e di quella trattaria ai sensi dell’art. 43 L. Assegni, nonchè per mancata diligenza del riscontro del titolo, non avendo le stesse rilevato le alterazioni delle indicazioni importo e beneficiario originariamente apposte sull’assegno. 2.- All’esito delle prove testimoniali e della disposta CTU, il Tribunale, con sentenza dell’agosto 2012, ha dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione passiva la domanda proposta nei confronti di Unicredit, rigettando nel merito, perchè infondata, quella formulata nei confronti di Intesa. 3.- Con pronuncia depositata il 13 luglio 2017, la Corte di Appello di Bologna ha poi respinto l’appello proposto da Unipol, confermando integralmente la sentenza impugnata. 4.- In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che la norma dell’art. 43 L. Assegni non contempli un caso di responsabilità oggettiva, limitandosi a prevedere un caso di responsabilità per colpa. Così impostato il tema, la pronuncia ha rilevato che il comportamento tenuto dalle banche appellate non aveva violato il prescritto canone della diligenza. Rifacendo alle valutazioni formulate dal CTU, si è affermato, in specie, ha ritenuto che era altamente difficoltoso, se non impossibile usando la normale diligenza, accorgersi delle falsificazioni e non nel senso che il dubbio circa la possibile contraffazione dovesse sorgere in modo così naturale da convincere l’impiegato che il titolo fosse contraffatto, nè tanto meno, data l’evidente contraddizione con la tesi dell’appellante, che il titolo non contraffatto . Nessun rilievo probatorio potrebbe assumere - si è ancora aggiunto - la sentenza penale pronunciata dal tribunale di Napoli, in quanto l’accertamento dell’avvenuta falsificazione del titolo non supera il dato incontestabile che, al momento della negoziazione, non sussistevano le condizioni perchè l’operatore bancario, secondo la diligenza richiesta, potesse dubitare sia dell’identità del T.R. , che della regolarità dell’assegno . 5.- Avverso la richiamata pronuncia ha proposto ricorso Unipol articolando due motivi di cassazione. Unicredit ha resistito con controricorso come pure ha fatto Intesa SanPaolo. 6.- Il ricorrente e le resistenti hanno anche depositato memorie. 7.- Il primo motivo di ricorso riguarda l’interpretazione della norma dell’art. 43 L. Assegni. Assume in particolare il ricorrente che tale disposizione prevede una figura di responsabilità oggettiva della banca circa il pagamento del titolo all’effettivo beneficiario che la colpa, nel caso di pagamento a terzi non legittimati di un assegno munito di clausola di intrasferibilità, è irrilevante 8.- Il motivo non merita di essere accolto. Secondo quanto rilevato dalla sentenza di Cass., Sezioni Unite, 21 maggio 2018, n. 12477, infatti, ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 c.d. L. Assegni , la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato - per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo - dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per avere esse assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2. . 9.- Il secondo motivo di ricorso assume violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. circa la prova liberatoria onere liberatorio di cui è onerato il debitore inadempiente nell’ambito delle obbligazioni contrattuali . Nel concreto, il motivo intende muovere due distinte censure alla sentenza della Corte di Appello di Bologna. La prima attiene alla irrilevanza dell’apparenza colposa . Rifacendosi in modo espresso alla sentenza di questa Corte, 20 marzo 2014, n. 6513, il ricorrente rileva che sarà giusto seguire quel che dice la S.C., che spalmata sulla questione qui dibattuta, importa che nulla si sia provato che possa equivalere a un corretto assolvimento della dovuta prova liberatoria - dovuta in ossequio all’affermata responsabilità contrattuale - non foss’altro perchè controparte non ha mai affermato di avere indagato - con qualche minimo strumentario di semplice reperibilità come indica la S.C. - le contraffazioni di cui si discute . La seconda censura fa riferimento alla sentenza del Tribunale penale di Napoli n. 76 del 2008 , propriamente relativa al profilo penale de caso qui in esame, che ha stabilito che la fattispecie concreta appare idonea a integrare tanto il reato di truffa, dal momento che attraverso l’alterazione dell’assegno veniva percepita una somma di gran lunga superiore a quella effettivamente erogata, che l’alterazione materiale del titolo . Ad avviso del ricorrente, ciò comportare che non si può dire come per contro ha fatto la sentenza impugnata che non sussistessero le condizioni perchè l’operatore bancario non dovesse accorgersi delle anomalie concernenti quelle operazioni . 10.- Il motivo non merita di essere accolto. Lo svolgimento argomentativo della sentenza della Corte bolognese non si pone in contraddizione con, o comunque su linee divergenti da , i dettami della pronuncia di Cass., n. 6513/2014, posto che quest’ultima - nel declinare la diligenza del banchiere nel riscontrare la regolarità dell’assegno presentatogli - non esclude affatto l’autonomia e sufficienza di una verifica condotta attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teoriche/tecniche . Cade, per altro verso, in un fraintendimento della sentenza impugnata l’osservazione svolta dal ricorrente a proposto della eventuale rilevanza della sentenza penale emessa dal tribunale di Napoli. La Corte bolognese, in effetti, si è limitata a rilevare che l’accertata esistenza di una truffa da parte del presentatore dell’assegno non implica, di per sè, che la verifica compiuta dalla Banca non abbia rispettato i canoni della richiesta diligenza. A pensare diversamente, in effetti, si tornerebbe sostanzialmente ad assegnare alla norma dell’art. 43 L. Assegni la forza di prescrivere una responsabilità di impianto oggettivo. 11.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto. Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 3.100.00 di cui Euro 100,00 per esborsi per ciascun controricorrente. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’art. 13, comma 1 bis.