Brecciolino visibile: la caduta è frutto di distrazione. Comune non responsabile

L’episodio ha visto vittima una signora e si è verificato in un‘isola pedonale di Roma. Esclusa l’ipotesi di un risarcimento a suo favore. Per i Giudici, difatti, il capitombolo è addebitabile alla condotta disattenta tenuta dalla donna durante la passeggiata.

Brecciolino traditore per una signora, che finisce rovinosamente a terra durante una passeggiata a Roma. La presenza del pietrisco non è però sufficiente per addebitare al Comune la responsabilità della caduta, poiché, osservano i Giudici, è da considerare molto più rilevante la disattenzione della donna che avrebbe potuto tranquillamente avvistare, e quindi evitare, la situazione di potenziale pericolo Cassazione, ordinanza n. 4487/19, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Pericolo. Scenario del capitombolo è una isola pedonale nella Capitale. Lì una signora interrompe bruscamente la propria passeggiata, finendo a terra a causa, a suo dire, del brecciolino presente sull’asfalto . Inevitabile il contenzioso col Comune. E in Tribunale la donna vede riconosciuto il proprio diritto a essere risarcita per i danni riportati a seguito della caduta ‘Roma Capitale’ viene condannata a versarle quasi 27mila euro. Decisiva è ritenuta la certa presenza di brecciolino non segnalato, di colore simile a quello del fondo stradale e particolarmente scivoloso . Questa valutazione viene però ribaltata completamente in Appello, dove viene posta in evidenza la disattenzione della donna, che, secondo i Giudici, non si è avveduta tempestivamente di una situazione potenzialmente pericolosa . In sostanza, la presenza del brecciolino era percepibile visivamente , e quindi non si può ricondurre la caduta subita dalla signora a una responsabilità del Comune. Disattenzione. Nessun risarcimento per la donna, sanciscono i Giudici d’Appello. E questa decisione è condivisa anche dai Magistrati della Cassazione, i quali fanno cadere ogni possibile accusa nei confronti di ‘Roma Capitale’. Anche per i Giudici del Palazzaccio è sufficiente una considerazione per chiudere la vicenda. Basta cioè prendere atto della disattenzione attribuibile alla donna durante la sua passeggiata per Roma solo così, difatti, si spiega il fatto che ella non si sia avveduta tempestivamente di una situazione potenzialmente pericolosa e percepibile visivamente . Tirando le somme, il danno subito dalla donna a seguito della caduta è stato cagionato da lei stessa , con un comportamento superficiale e distratto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 20 dicembre 2018 – 14 febbraio 2019, n. 4487 Presidente Frasca – Relatore Scoditti Rilevato che Ag. Le. convenne in giudizio Roma Capitale innanzi al Tribunale di Roma chiedendo il risarcimento del danno conseguente alla caduta determinata dalla presenza su isola pedonale di brecciolino non segnalato di colore simile a quello del fondo stradale e particolarmente scivoloso. Il Tribunale adito accolse la domanda condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 26.680,27 oltre interessi. Avverso detta sentenza propose appello Roma Capitale. Con sentenza di data 7 febbraio 2017 la Corte d'appello di Roma accolse l'appello, rigettando la domanda. Osservò la corte territoriale che lo stato di disattenzione del danneggiato, il quale non si è avveduto tempestivamente di una situazione potenzialmente pericolosa, può interrompere il nesso fra la cosa ed il danno in materia di art. 2051 cod. civ. e che nella specie la presenza del brecciolino era percepibile visivamente da parte dell'appellata, incidendo così sul nesso eziologico. Aggiunse che la dichiarazione del teste An. Ni., secondo cui il brecciolino era stato rimosso dalla caduta, non provava il nesso eziologico, dal momento che la rimozione ben poteva essere stata l'effetto, non già la causa, della caduta in terra, per effetto dell'impatto del corpo sul suolo, e che è fatto notorio che il brecciolino può essere causa di scarsa aderenza alla superficie calpestabile solo in presenza di pioggia o di una sostenuta velocità da parte di chi transiti sopra, ipotesi queste non prospettata dalla Le Ha proposto ricorso per cassazione Ag. Le. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un'ipotesi d'inammissibilità dei motivi di ricorso, con la manifesta infondatezza anche di parte del secondo motivo. Il Presidente ha fissato l'adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. Considerato che con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 113, 115, 116 cod. proc. civ., 2051 e 2697 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che l'iter motivazionale non è coerente sotto il profilo logico ed è smentito dalla testimonianza e dai documenti. Aggiunge che il giudice di appello ha omesso di esaminare la testimonianza nella sua interezza. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo la censura si basa su una nozione di vizio motivazionale non più vigente, facendo riferimento l'attuale art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. esclusivamente all'omesso esame di fatto decisivo e controverso e non potendo avere più rilievo, sotto il profilo del vizio di motivazione, un'incoerenza da punto di vista logico. In secondo luogo va rammentato che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni fra le tante Cass. 13 giugno 2014, n. 13485 . Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2051, 1227 e 2697 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che la cosa custodita ha avuto piena efficienza causale dell'evento e che la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 si fonda sul rapporto oggettivo del custode con la cosa, a prescindere dal carattere insidioso di quest'ultima, ossia dalla imprevedibilità e invisibilità della cosa dannosa. Aggiunge che era onere, non assolto, di Roma Capitale provare che il danno ebbe a verificarsi in modo non prevedibile né evitabile in quanto riconducibile ad un uso da parte del danneggiato del tutto improprio della cosa e comunque al di fuori delle regole prescritte. Osserva inoltre che nessuna prova era stata fornita che la Le. stesse procedendo in modo distratto, non potendosi esigere dal pedone un contributo di attenzione polarizzato esclusivamente sul manto stradale, e che irrilevanti sono le condizioni di visibilità in relazione all'ipotesi di cui all'art. 2051, essendo stata elaborata la nozione di insidia ai fini della diversa ipotesi di cui all'art. 2043. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato. Esso consta dei seguenti sub-motivi a esistenza del nesso eziologico fra la cosa e l'evento b estraneità della imprevedibilità e invisibilità della cosa dannosa alla fattispecie di cui all'art. 2051 c onere probatorio, non assolto, di Roma Capitale circa l'uso da parte del danneggiato del tutto improprio della cosa d assenza di prova di condotta distratta della danneggiata. Le censure sub a , c e d attengono al profilo dell'assolvimento dell'onere probatorio il quale attiene non al piano del rispetto delle regole dell'onere della prova, rilevante in sede di giudizio di legittimità, ma a quello del giudizio di fatto in ordine all'avvenuta dimostrazione delle circostanze rientranti nell'onere probatorio delle parti, giudizio che resta di competenza del giudice di merito nei limiti dell'assenza di vizi motivazionali ritualmente denunciati. Va infatti rammentato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, né in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132, n. 4, c.p.c. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016 e Cass. n. 11892 del 2016 . La censura sub c si collega a quella sub b dal punto di vista di ciò che astrattamente spetta al custode della cosa provare, ed in particolare se ed in quali termini rilevi la condotta del danneggiato ai fini dell'interruzione del nesso eziologico. In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro Cass. 1 febbraio 2018, n. 2480 . Se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito che non può essere sindacata nella presente sede di legittimità, se non nei limiti della rituale denuncia di vizio motivazionale. Il giudice di merito ha valutato che il danno è stato cagionato dalla stessa vittima la quale, per lo stato di disattenzione in cui versava, non si è avveduta tempestivamente di una situazione, potenzialmente pericolosa, percepibile visivamente da parte della vittima medesima. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 41 cod. pen., 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che il fatto notorio deve essere inteso in senso rigoroso e che il brecciolino possa essere causa di scarsa aderenza alla superficie calpestarle solo in presenza di pioggia o di una sostenuta velocità da parte di chi transiti sopra è mera opinione personale del giudice di appello, essendo ben possibile che si possa scivolare anche su un brecciolino asciutto. Il motivo è inammissibile. Il fatto notorio cui il giudice di merito ha fatto ricorso sindacabile in sede di legittimità solo nei termini dell'assunzione a base della decisione di una inesatta nozione del notorio integra una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella del contegno della danneggiata rilevante ai fini dell'esclusione del nesso eziologico. Esso attiene infatti all'intrinseca potenzialità offensiva della cosa la quale costituisce, in relazione al motivo portante della decisione, un aspetto distinto ed autonomo rispetto a quello estrinseco della condotta della danneggiata ed acquista così efficacia di ulteriore ratio decidendi. Permanendo la ratio decidendi relativa alla condotta della danneggiata la censura è priva di decisività. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P. Q. M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, norma del comma I-bis, dello stesso articolo 13.