Dopo la condanna penale, al successivo giudice civile spetta solo la quantificazione del danno e l’accertamento del nesso di causalità

Riformata la sentenza della Corte d’Appello che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto la domanda di risarcimento per i danni alla persona subiti a seguito di un’aggressione verbale, già oggetto di condanna in sede penale.

Non è stato peraltro l’unico motivo di ricorso accolto dalla Terza Sezione della Cassazione Civile, nell’ordinanza n. 4151/19, depositata il 13 febbraio. Il caso. Dopo che il Tribunale aveva accolto la domanda di risarcimento avanzata da una donna per i danni alla persona subiti in conseguenza di un episodio di aggressione verbale, già peraltro oggetto di condanna in sede penale nel procedimento per i reati di ingiuria e lesioni ove la danneggiata si era costituita parte civile , la Corte d’Appello aveva riformato integralmente la sentenza di primo grado. La danneggiata aveva quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza, lamentando che la Corte territoriale da un lato avrebbe erroneamente interpretato gli elementi strutturali” del reato di lesioni permanenti, accertati con sentenza penale passata in giudicato e dall’altro non avrebbe debitamente considerato la risarcibilità del danno non patrimoniale negli aspetti diversi dal danno biologico, ed in particolare degli aspetti morali di esso, posto che l’onnicomprensività del danno non patrimoniale non deve coincidere con la sua riduzione al solo aspetto biologico. Il giudicato penale non consente al giudice civile di tornare a discutere l’an debeatur. La Corte territoriale, aveva basato la propria decisione su un precedente della Cassazione sentenza n. 15595/14 che è stata ritenuta dalla Terza Sezione non del tutto rectius quasi per nulla pertinente con il caso in esame. Nel caso oggetto della sentenza in commento, infatti, l’ipotesi è quella di una domanda proposta in sede civile riferita ad una sentenza penale passata in giudicato, resa fra le medesime parti, in cui la danneggiata aveva ottenuto, dopo essersi costituita parte civile, una condanna al risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi in separata sede ovvero, civile . Nel precedente richiamato dalla sentenza di secondo grado, invece, il principio enunciato era stato quello di attribuire al giudice dell’appello il potere di riesaminare l’interferenza tra un giudizio penale di generica condanna al risarcimento dei danni e il successivo giudizio civile in cui la quantificazione richiesta ridondi sulla stesa configurabilità del danno ferma, necessariamente, l’astratta potenzialità lesiva del fatto illecito, coperta dal giudicato penale . La Cassazione, nella sentenza in commento, ha ritenuto che il fatto foriero del danno dovesse rimanere accertato nella sua configurabilità criminosa e solo la quantificazione del pregiudizio nonché l’accertamento del nesso di causalità dovessero essere appannaggio del giudice civile, ponendosi così nel solco già tracciato, tra le altre, dalle sentenze n. 1835/14 e n. 5660/18. E’ stata ritenuta dunque erronea la sentenza di appello, che non aveva tenuto conto nè delle statuizioni contenute nella sentenza penale relativamente alla sussistenza indubbia” dell’elemento oggettivo dei reati contestati e né del fatto che la sentenza conteneva la specifica indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie accertata, facendo oltretutto riferimento esplicito alle condotte poste in essere dall’imputata e che ne avevano determinato la condanna . Il danno non patrimoniale non è solo il danno biologico. Un altro errore in cui è incorsa la Corte d’Appello è stato quello di trascurare l’impugnazione relativa al fatto che il Tribunale che pur aveva accolto la domanda aveva liquidato solo il danno biologico subito dalla danneggiata, anziché il più ampio danno non patrimoniale. Sul punto la Terza Sezione non ha potuto che ribadire dunque l’orientamento costante a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n, 26972/08, vale a dire che in materia di responsabilità civile, la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze ‘ in peius ’ derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici . La parola, ora, torna nuovamente alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 28 novembre 2018 – 13 febbraio 2019, n. 4151 Presidente Amendola – Relatore Di Florio Ritenuto che 1. M.G. ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che, riformando la pronuncia del Tribunale di Avezzano, aveva respinto la domanda di risarcimento avanzata nei confronti di Ma.Ga. per i danni alla persona subiti in conseguenza delle aggressioni verbali da lei commesse nei suoi confronti ed oggetto di condanna, in sede penale dove la ricorrente si era costituita parte civile, per i reati di ingiuria e lesioni. 2. L’intimata ha resistito con controricorso. Considerato che 1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 582 c.p., art. 185 c.p.c. e art. 2059 c.c. nonché dell’art. 651 c.p.p 1.1. Assume che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato gli elementi strutturali del reato di lesioni permanenti, accertati con sentenza passata in giudicato che aveva definito un processo nel quale ella si era costituita parte civile. Lamenta che, in tal modo, la statuita esclusione del nesso causale aveva retrocesso la decisione al vaglio sull’an debeatur il cui riesame non poteva ritenersi consentito, in quanto già superato dalla decisione resa in sede penale e che gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa accertata ricomprendevano la malattia del corpo o della mente conseguente dall’aggressione verbale subita che configurava un danno non patrimoniale nella accezione ontologicamente omnicomprensiva. 1.2. Con il secondo motivo,deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti deduce che i giudici d’appello non avevano considerato la documentazione medica immediatamente successiva ai fatti di causa che avrebbe dovuto, comunque, condurre all’accertamento positivo dell’an debeatur. 1.3.Con il terzo motivo, ancora, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 101, 115, 116, 191 e 194 c.p.c., nonché degli artt. 2059 e 2697 c.c. assumendo che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato il valore probatorio della CTU. 1.4. Con il quarto motivo, infine, la Ma. censura,ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti,deducendo che non era stata debitamente considerata la risarcibilità del danno non patrimoniale negli aspetti diversi da quello biologico lamenta che la liquidazione era circoscritta al solo pregiudizio alla salute e che non era stato tenuto conto degli aspetti morali di esso, con evidente violazione del principio, ormai consolidato, secondo il quale la voce danno non patrimoniale deve considerarsi unitaria e non scindibile in sottocategorie. 2. Il primo ed il quarto motivo devono essere congiuntamente esaminati perché vincolati da stretta connessione logica. Essi sono entrambi fondati. Si osserva, infatti, in ordine alla prima censura che i giudici d’appello hanno richiamato, nelle premesse della propria decisione ed a sostegno di essa, un arresto di questa Corte cfr. Cass. 15595/2014 che ha, invero, una pertinenza limitata con il caso in esame, trattandosi di una ipotesi peculiare riguardante l’interferenza fra una sentenza di primo grado parzialmente definitiva, riguardante la quantificazione del danno conseguente alla illegittima privazione della concessione del servizio di autolinee, e la pronuncia d’appello in cui era stata contestata la contraddittoria esclusione della sussistenza del lucro cessante. 2.1. In quella occasione era stato rimarcato, che in tema di risarcimento del danno, il giudicato formatosi sull’ an debeatur copre soltanto l’astratta potenzialità lesiva del fatto illecito, ma non preclude di stabilire che, in concreto, il pregiudizio non si sia verificato, sicché, qualora la sentenza di primo grado venga specificamente impugnata in ordine alla liquidazione del danno, contestandosi che di esso sia stata fornita la prova, il giudice di appello - senza incorrere in ultrapetizione ove, all’esito di tale revisione, escluda l’esistenza di qualsiasi danno - è investito del potere di riesaminare l’interferenza fra un giudizio civile di condanna al risarcimento del danno ed altro giudizio civile, agito solo per la quantificazione, nel quale può comunque rimettersi in discussione l’an debeatur ove la quantificazione richiesta ridondi sulla stessa configurabilità del danno cfr. Cass. 15595/2014 come sopra massimata . 2.2. Il principio appare, tuttavia, inconferente con il caso in esame, in cui la domanda proposta in sede civile è riferita ad una sentenza penale di condanna passata in giudicato, resa fra le stesse parti, in seguito ad un processo in cui la danneggiata M.G. si era costituita parte civile ed aveva ottenuto la condanna dell’imputata Ma.Ga. al risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi in separata sede il principio da applicarsi in questo caso è che il fatto foriero del danno resta accertato nella sua configurabilità criminosa e che solo la quantificazione del pregiudizio nonché l’accertamento del nesso di causalità sono di appannaggio del giudice civile, tenuto conto dell’efficacia vincolante sia dell’affermata responsabilità dell’imputato, che non può più contestarne i presupposti quali, in particolare, l’accertamento della sussistenza del fatto reato , sia della declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni. 2.3. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che la sentenza del giudice penale che, accertando l’esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell’accertamento, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come potenzialmente dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati. cfr. Cass. 5660/2018 e, in termini, Cass. 18352/2014 . 2.4. La Corte territoriale, con la pronuncia impugnata, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, in quanto, pur dando conto sia della sentenza penale di condanna del giudice di pace di Avezzano, evidenziata nelle premesse della pronuncia del Tribunale oggetto di gravame cfr. pag. 1 e 2 della sentenza impugnata , non ha affatto tenuto conto delle statuizioni in essa contenute, riguardanti l’indubbia sussistenza dell’elemento oggettivo dei reati contestati con esplicita indicazione dell’offesa alla personalità morale di M.G. , lo stato di agitazione con tachicardia ed innalzamento dei valori pressori dovuta all’aggressione subita in ambiente pubblico, peraltro alla presenza anche di soggetti minori di età, con necessità di tre giorni di riposo e cure cfr. pag. 5 sentenza del GdP di Avezzano n 65/2008, richiamata a pag. 9 u.cpv del ricorso sulle quali era preclusa qualsiasi rivalutazione ma, soprattutto, risulta erroneo il passaggio motivazionale con il quale viene rilevato che nell’atto di citazione non vi era alcuna menzione del nesso causale, essendosi l’attrice limitata a richiamare il giudicato penale senza descrizione del fatto verificatosi e rimettendo in discussione il contenuto delle frasi offensive conferite dall’attrice , laddove la sentenza conteneva una specifica indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa accertata, con articolato riferimento alle condotte poste in essere dall’imputata che ne avevano determinato la condanna. 3. E, al riguardo, è fondato anche il quarto motivo di ricorso, strettamente connesso al primo. Il ricorrente lamenta, infatti, che la Corte, nell’escludere la sussistenza del danno, avrebbe trascurato di esaminare la censura riferita all’omesso riconoscimento del pregiudizio non patrimoniale nella sua complessità, visto che il Tribunale aveva specificamente valutato il solo danno biologico subito dall’attrice . 3.1.Si osserva che, effettivamente, la Corte, nel riformare la sentenza di primo grado a seguito dell’appello della Ma. , ha del tutto ignorato - rispetto all’an debeatur accertato dal giudice di pace ed all’accoglimento della domanda della M. da parte del Tribunale - la rilevanza penale del fatto storico accertato, in relazione alla quale l’art. 2059 c.c. prevede espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale che - sulla base dell’ormai consolidato orientamento di questa Corte - ha una portata omnicomprensiva non potendo essere limitato soltanto al pregiudizio alla salute, strictu sensu inteso. 3.2. È stato infatti chiarito, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito, che in materia di responsabilità civile, la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne , autonomamente risarcibili. cfr. Cass. 23469/2018 Cass. 7513/2018 . 4. Infine, il secondo ed il terzo motivo - con i quali il ricorrente lamenta che i giudici d’appello non avevano considerato la documentazione medica immediatamente successiva ai fatti di causa e prodotta in giudizio, e che avevano erroneamente interpretato il valore probatorio della CTU che avrebbe dovuto assumere valore dirimente ai fini del nesso causale rimangono logicamente assorbiti dalla motivazione relativa ai primi due. 5. La sentenza deve pertanto essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati. La Corte deciderà altresì in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.