Il danno (patrimoniale e non patrimoniale) per l'errata segnalazione al CRIF deve essere provato dall'interessato

In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato in re ipsa” per il fatto stesso dello svolgimento dell'attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell'art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la perdita”, deve essere sempre allegato e provato da parte dell'interessato.

La vicenda. La società M. Sas proponeva in data 7.12.2009 ricorso ai sensi dell'art. 152 del d.lgs. n. 156/2003 Codice privacy lamentando di aver richiesto e ottenuto dall'istituto di credito F. plc un leasing finanziario per l'acquisto di un autoveicolo. Tuttavia seguiva l'apertura di due posizioni contrattuali e due posizioni debitori con conseguente prelievo dal conto corrente del titolare della società di due ratei ogni mese. Accortasi dell'errore dell'istituto di credito richiedeva la restituzione delle somme indebitamente prelevate e il trasferimento delle rate. Successivamente il legale rappresentante della M. Sas richiedeva un finanziamento di 25.000,00 euro presso un istituto di credito, che gli veniva negato, e ulteriore finanziamento presso altra banca per 13.000 euro, anch'esso negato. In entrambi i casi, il rigetto della richiesta avveniva a causa dell'esistenza di informazioni negative al CRIF. Scopriva la società che le segnalazioni al CRIF risultavano essere conseguenza di un mancato versamento da parte della M. Sas della rata di leasing di agosto 2007 che la società riferiva aver pagato e successiva ulteriore segnalazione del febbraio 2009. Su tali presupposti, la società M. Sas si rivolgeva al Garante per la protezione dei dati personali richiedendo i provvedimenti ex art. 143, ma senza esito. Di conseguenza, la società proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Roma chiedendo che fosse accertato e dichiarato che la F. plc aveva erroneamente e illegittimamente segnalato una posizione di sofferenza alla CRIF con condanna al risarcimento di 240.000,00 euro a titolo di danni patrimoniali e di 18.000,00 a titolo di danni non patrimoniali oltre alla pubblicazione della sentenza . Il Tribunale. La sentenza del Tribunale di Roma accoglieva parzialmente le domande attoree. In particolare respingeva la domanda riferita all'iscrizione al CRIF del dicembre 2007 affermando che la M. Sas non aveva provato nemmeno in via presuntiva l'iscrizione negativa del presunto inadempimento per la rata del contratto attivato erroneamente e che non aveva nemmeno depositato un resoconto del CRIF dal quale si sarebbe potuto desumere l'iscrizione. Accoglieva invece la domanda riferita all'iscrizione del febbraio 2009 in quanto incontestata tra le parti. In punto di risarcimento, il Tribunale riteneva raggiunta la prova che i finanziamenti richiesti dalla società agli istituti di credito non venivano concessi a causa dell'iscrizione negativa al CRIF. Tuttavia escludeva che fosse provato dalla società il danno patrimoniale, come danno emergente e come lucro cessante, derivante dalla mancata concessione dei finanziamenti. Riconosceva, invece, il danno non patrimoniale liquidato equitativamente in 6.000,00 euro per violazione dell'art. 11 del Codice Privacy per violazione del diritto alla reputazione con la precisazione che tale danno non poteva ritenersi sussistente in re ipsa ” e che la prova era stata integrata dalla circostanza che il rifiuto del credito era conseguito all'essere stata considerata la società un cattivo pagatore”. La società ricorreva in Cassazione e lamentava, tra gli altri, come la compromissione dell'accesso al credito avesse comportato impossibilità di dare seguito ai propri progetti di espansione e consolidamento aziendale. Lamentava poi come il Tribunale avesse erroneamente ritenuto indimostrata la sussistenza del danno patrimoniale e qualificato inadeguatamente il danno non patrimoniale. Onere della prova L'intervento della Cassazione. La Corte ritiene infondata la domanda sul danno patrimoniale avendo il Tribunale dato una pronuncia non sulla domanda risarcitoria, ma sull'assenza di prova. A tale proposito, la Corte ricorda come l'onere della prova, alla stregua dell'art. 15 d.lgs. 196/2003 Codice privacy e dell'art. 2050 c.c. gravi su colui che agisce per l'abusiva utilizzazione dei suoi dati personali in riferimento alla prova del danno subito, mentre al danneggiante spetta la prova della mancanza di colpa. La Cassazione quindi conferma la bontà della pronuncia di primo grado ove il Tribunale riteneva non fosse stata raggiunta la prova del pregiudizio patrimoniale subito. Poi, la Corte ritiene infondato il ricorso anche in punto di danno non patrimoniale e in particolare riferisce come il giudice di merito ha fatto concreta applicazione dei condivisibili principi secondo cui il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall'art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della 'gravità della lesione' e della serietà del danno” quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato , in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni dall'art. 11 del medesimo codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva . più favorevole? La Corte, infine, richiama la giurisprudenza che ha chiarito come in caso di illecito trattamento dei dati personali, nella fattispecie per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può essere in re ipsa ”, ma deve essere allegato e provato da parte dell'attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dall'onere della prova più favorevole, come descritto all'art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché alla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità Cass. n. 4443/2015 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 15 novembre 2018 – 8 gennaio 2019, n. 207 Presidente Giancola – Relatore Tricomi Ritenuto che La società Medifarma di M.G. SAS aveva proposto ricorso ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 156, art. 152, depositato il 7/12/2009, sulla scorta della seguente esposizione di fatti. Nel giugno del 2007 era stato richiesto ed ottenuto dalla società FCE Bank plc la concessione di un leasing finanziario per l’acquisto di un autoveicolo tuttavia a ciò era conseguita la apertura di due posizioni contrattuali e di due posizioni debitorie a cui era seguito il prelievo dal conto corrente bancario di M.G. di due ratei ogni mese. La società, accortasi di ciò, in data 18/10/2007 aveva chiesto la restituzione delle somme indebitamente prelevate ed il trasferimento delle rate di addebito sul proprio conto corrente attraverso uno scambio di missive con la finanziaria, volte a chiarire le differenti posizioni contrattuali. Successivamente, nei primi giorni del dicembre 2007 il M. , quale legale rapp. p.t. della Medifarma, chiedeva un finanziamento di Euro 25.000,00 presso l’Istituto San Paolo Banco di Napoli, che gli veniva negato, nonostante il rapporto fiduciario con la banca, sul presupposto che risultava segnalato alla CRIF le richieste di chiarimenti rivolte sia alla CRIF che alla FCE Bank avevano ottenuto risposta solo in data 28/3/2008, quando la FCE aveva riconosciuto l’errore, ed in data 4/4/2008 quando la CRIF aveva comunicato l’aggiornamento dati. In seguito, anche la richiesta di finanziamento per Euro.13.000,00 avanzata dalla società alla banca Unicredit in data 27/2/2009 aveva sortito esito negativo a causa dell’esistenza di informazioni negative al CRIF anche la Banca Nova aveva negato la concessione di un mutuo per l’acquisto di un immobile a causa della segnalazione negativa del CRIF. La FCE interpellata in proposito aveva sostenuto che la segnalazione negativa era conseguita al mancato pagamento della rata relativa al mese di agosto 2008, che a dire della società era stata regolarmente adempiuta. A fronte di queste vicende, la società si era rivolta, senza esito, al Garante per la protezione dei dati personali richiedendo i provvedimenti del D.Lgs. n. 142 del 2003, ex art. 143. Quindi la società aveva proposto il ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse accertato e dichiarato che la FCE Bank aveva erroneamente ed illegittimamente segnalato una posizione di sofferenza alla CRIF, con conseguente condanna al risarcimento di Euro 240.000,00 a titolo di danni patrimoniali e di Euro 18.000,00 a titolo di danni non patrimoniali, oltre alla pubblicazione della sentenza ed alle spese. La FCE resisteva con controricorso e chiedeva il rigetto delle avverse domande. Il Tribunale ha parzialmente accolto la domanda. Segnatamente, ha respinto la domanda riferita all’iscrizione del dicembre 2007, affermando, sulla scorta della disamina del compendio probatorio, che la Medifarma non aveva provato, nemmeno in via presuntiva, la iscrizione negativa del presunto inadempimento per la rata del contratto attivato erroneamente e che non aveva nemmeno depositato un resoconto del CRIF relativo alla situazione registrata nel mese di dicembre 2007, dalla quale si sarebbe potuta desumere l’iscrizione, altrimenti non provata, documentazione acquisibile a cura della stessa parte presso il CRIF del D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 7. Ha, quindi, accolto in parte la domanda riferita all’iscrizione del febbraio 2009. Sulla premessa che era incontestata tra le parti l’avvenuta iscrizione nel sistema CRIF di informazioni creditizie relative al mancato adempimento della società di una rata del contratto di leasing, ha ritenuto che la FCE Bank plc non avesse adempiuto agli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 196 del 2003, articolo 11 e 12 e dall’art. 4, comma 7, del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti , non avendo provato di avere comunicato alla società titolare dei dati l’imminente registrazione dell’informazione negativa nel sistema informatico CRIF. Passando quindi alla disamina della richiesta risarcitoria, ricondotta nell’alveo applicativo del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, in combinato disposto con l’art. 2050 c.c., il Tribunale ha ritenuto raggiunta la prova che finanziamento e mutuo richiesti dalla società alla Unicredit banca ed alla Banca Nova non furono concessi a causa dell’iscrizione negativa al CRIF. Ha tuttavia escluso che fosse stato provato dalla società il danno patrimoniale, come danno emergente e come lucro cessante, derivante dalla mancata concessione di finanziamento e mutuo. Ha riconosciuto invece il danno non patrimoniale, liquidato equitativamente in Euro 6.000,00, ed accessori, avendo accertato la violazione dell’art. 11 del codice della privacy per violazione del diritto alla reputazione, con la precisazione che lo stesso, pur previsto per legge, non poteva ritenersi sussistente in re ipsa e che la prova era stata integrata dalla circostanza che il rifiuto del credito era conseguito all’essere stata considerato la società cattivo pagatore . La società ricorre per cassazione con quattro mezzi, corredati da memoria, ai quali replica con controricorso la FCE Bank il Garante è rimasto intimato. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c Considerato che 1.1. Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all’episodio del dicembre 2007, rispetto al quale il Tribunale ha ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante sulla ricorrente in merito al fatto oggetto di contestazione, a causa della mancata produzione del resoconto della situazione registrata nel mese di dicembre al CRIF segnatamente, viene sostenuto che la società contrariamente a quanto affermato dal Tribunale aveva avanzato richiesta al CRIF ai sensi dell’art. 7 cit. in data 2/1/2008 e dal CRIF riscontrata in data 14/1/2008 e 28/1/2008 con cui aveva comunicato l’attivazione di un procedimento di verifica urgente con gli enti che avevano trasmesso ad Eurisc i dati contestati, provvedendo contestualmente a sospendere la visibilità di dette informazioni, e ne deduce la rilevanza ai fini della prova della prima violazione contestata. Si duole anche della riduzione dei capitoli di prova e lista testi, in relazione al primo episodio. 1.2. Con il secondo motivo, sempre relativo all’episodio del 2007, si denuncia violazione, erronea ed omessa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, comma 9, lamentando che il giudice di primo grado non avrebbe fatto buon uso degli ampi poteri istruttori in materia di ricerca della prova riconosciutigli dalla norma in premessa assumendo la sostanziale identità degli elementi probatori offerti in relazione ai due episodi, si duole della mancata ammissione per il primo delle prove testimoniali articolate, rimarcando di avere reiterato le richieste istruttorie disattese anche nelle note conclusive si lamenta altresì del fatto che la persona fisica del giudice che aveva assistito all’assunzione delle prove testimoniali non era la stessa che aveva deciso la controversia. 1.3. Con il terzo motivo si denuncia la falsa applicazione degli articolo 2724, 2729, 2732 e 2735 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., in relazione alla statuizione con cui è stata negata la sussistenza del primo episodio di trattamento illegittimo dei dati personali e si duole della mancata ammissione di una testimonianza e della mancata valutazione della nota del 28/3/2008 con cui la FCE aveva riscontrato la diffida con cui la società la accusava della segnalazione negativa, nota alla quale la società assume che dove attribuirsi il valore di confessione stragiudiziale . 1.4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per evidente connessione, risultano per un verso infondati e per l’altro inammissibili e vanno respinti. Innanzi tutto non può condividersi l’assunto della ricorrente secondo il quale per i due episodi in causa il compendio probatorio offerto era il medesimo, atteso che per il secondo ricorreva la non contestazione del fatto, come accertato dal Tribunale. Va, quindi, osservato che mentre il primo motivo denunzia espressamente in rubrica il vizio di motivazione, il secondo, pur formulato come violazione di legge, implicitamente lo evoca sui medesimi temi. In particolare con riferimento ai primi due motivi, va considerato che non viene dedotto alcun fatto decisivo rispetto all’accertata assenza di prova in merito all’esistenza di una iscrizione al CRIF di dati negativi sulla morosità e, quindi, di un illecito rilevante ai fini delle regole privacy. Invero, lo scambio epistolare intercorso tra la società ed il CRIF nell’immediatezza dei fatti relativi al primo episodio, è stato preso in considerazione dal Tribunale che ha rimarcato come dallo stesso non si evincesse, nemmeno in via presuntiva, la ricorrenza di iscrizioni negative quanto al presunto inadempimento, sulla scorta dell’analisi dello specifico contenuto delle missive, di guisa che non si ravvisa affatto un omesso esame di fatti ed il motivo si palesa come una richiesta di rivalutazione delle emergenze istruttorie inammissibile in sede di legittimità, attesa la puntuale disamina delle stesse compiuta dal giudice del merito. Non risulta inoltre illustrata la decisività delle deposizioni testimoniali non ammesse su questo specifico profili, con evidente carenza di specificità. 1.5. Risulta infine inammissibile il terzo motivo laddove introduce il tema della confessione stragiudiziale, attesa la evidente carenza di autosufficienza in merito al contenuto non trascritto dei documenti in ragione dei quali si prospetta la doglianza diffida della società e risposta della FCE Bank . 2.1. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e per la valutazione della domanda risarcitoria, nonché la omessa e falsa applicazione dell’art. 2050 c.c. e del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, in tema di riconoscimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla ricorrente. La ricorrente sostiene che il Tribunale ha erroneamente ritenuto indimostrata la sussistenza del danno patrimoniale ed ha applicato falsamente le disposizioni in materia di distribuzione dell’onere della prova ex art. 2050 c.c., in relazione alle contestazioni mosse all’operato della FCE Bank. Lamenta inoltre la errata quantificazione del danno non patrimoniale. 2.2. Osserva la Corte che il Tribunale non si è affatto pronunciato sulla domanda risarcitoria afferente al primo episodio, avendolo ritenuto non provato, di guisa che il motivo, in parte qua, è inammissibile perché non vi è alcun accertamento della relativa condotta lesiva. 2.3. Il motivo quanto alla doglianza proposta avverso il mancato riconoscimento del danno patrimoniale è infondato. Va ricordato, quanto all’onere della prova, che, alla stregua del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 e dell’art. 2050 c.c., su colui che agisce per l’abusiva utilizzazione dei suoi dati personali incombe soltanto seppure in via preliminare rispetto alla prova, da parte del danneggiante della mancanza di colpa l’onere di provare il danno subito, siccome riferibile al trattamento del suo dato personale Cass. 23/05/2016, n. 10638 , tuttavia il danno, ed in particolare la perdita , deve essere sempre oggetto di proporzionata ed adeguata deduzione da parte dell’interessato. Come chiarito da questa Corte In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato in re ipsa per il fatto stesso dello svolgimento dell’attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell’art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la perdita , deve essere sempre allegato e provato da parte dell’interessato. Cass. 25/1/2017, n. 1931 ed inoltre In caso di illecito trattamento dei dati personali, nella fattispecie per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, . il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere in re ipsa , ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dall’onere della prova più favorevole, come descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità Cass. 5/3/2015, n. 4443 . Ciò posto puntualizzando che non vi è stata alcun alleggerimento, da parte del Tribunale, dell’onere probatorio a carico della FCE Bank nel rispetto del dettato dell’art. 2050 c.c., ed atteso che la prova del pregiudizio in concreto sofferto grava esclusivamente su colui che ne chiede il ristoro va osservato che nel caso in esame ciò che la società risulta aver dedotto, dalla lettura del ricorso e della sentenza del Tribunale, è la compromissione dell’accesso al credito, con conseguente impossibilità di dare seguito ai propri progetti di espansione e consolidamento aziendale. Orbene a fronte di tale assunto, il Tribunale ha ritenuto che non fosse stata data la prova del pregiudizio patrimoniale subito, anche osservando che nemmeno in sede di libero interrogatorio del legale rappresentante erano emersi elementi a conforto. La ricorrente sostiene che le dichiarazioni del legale rappresentante sarebbero state malamente interpretate. Orbene la doglianza si limita a proporre una diversa interpretazioni delle dichiarazioni, senza trascriverle nei passaggi essenziali, mancando quindi di assolvere all’onere di autosufficienza, con evidenti ricadute di inammissibilità. Va tuttavia rimarcato che la censura non coglie nel segno, soprattutto perché la statuizione impugnata si fonda sulla rilevata completa carenza probatoria circa la ricorrenza del danno emergente e del lucro cessante, a conforto della quale sono state valutate anche le dichiarazioni del legale rappresentante ma non solo con l’effetto che, ove anche avessero avuto il contenuto propugnato dalla ricorrente, le stesse sarebbero state inidonee in quanto provenienti dalla stessa parte ad integrare un elemento di prova in assenza di ulteriori ed autonomi elementi probatori anche indiziari che non sono stati evidenziati nemmeno nel motivo di ricorso di guisa che sotto tale aspetto la censura è anche priva di decisività. La ricorrente sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto, sulla scorta delle dichiarazioni del legale rappresentante, che la società aveva avuto accesso al credito in quel periodo, ma anche tale passaggio motivazionale è privo di decisività, rispetto alla autonoma e principale ratio decidendi costituita dall’assenza di prove sul pregiudizio patrimoniale subito anche accedendo alla tesi della ricorrente, secondo la quale il legale rapp. p.t. non avrebbe affermato ciò, non è dato comprendere alla stregua del motivo, attesa la netta e decisa statuizione di mancanza di prova del Tribunale, come potrebbe dirsi raggiunta la prova circa la sussistenza del danno patrimoniale, prova positiva che incombeva alla ricorrente. Va da sé che del tutto plausibilmente il giudice di merito ha giudicato non provato il danno sotto tale profilo lamentato. 2.4. Il motivo è manifestamente infondato anche per quanto attiene alla liquidazione del danno non patrimoniale, riconosciuto dal Tribunale. Il giudice di merito ha fatto concreta applicazione dei condivisibili principio secondo cui il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli articolo 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato , in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del medesimo codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito Cass. 15/7/2014, n. 16133 che, nella specie, lo ha espresso con motivazione adeguata, mentre la censura sostanzialmente sollecita un riesame delle stesse emergenze istruttorie già considerate dal giudice del merito Cass. 08/02/2017, n. 3311 . 3. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. Rigetta il ricorso Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.