La satira non deve riferire fatti veri

La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 30193/18 depositata il 22 novembre . La vicenda. Durante la puntata della trasmissione Satyricon”, un comico proponeva uno dei suoi monologhi in occasione del quale criticava un’azienda di lavorazione delle carni ricollegandola al fenomeno noto alla cronaca della mucca pazza”. L'intervento della Cassazione. La Cassazione, confermando la decisione della Corte di Appello di Roma, ha escluso la sussistenza della diffamazione a carico della società da parte del comico che durante la trasmissione televisiva aveva creato un collegamento tra il morbo della mucca pazza e l'ingente quantitativo di carne avariata rinvenuta all'interno dei capannoni della società ricorrente oggetto, tra l'altro di una inchiesta giudiziaria . Ritiene la Cassazione che, come correttamente applicato dai giudici d'appello, è stata fatta corretta applicazione del principio secondo il quale la satira sia sottratta all'obbligo di riferire fatti veri. Quindi è configurabile una scriminante del diritto di critica e del diritto di satira valorizzando il collegamento fra i fatti veri imputati alla società, ossia il rinvenimento della carne avariata, con il morbo della mucca pazza il tutto all'interno di una ricostruzione paradossale all'interno di un messaggio veicolato ai telespettatori che assumeva una valenza satirica.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 6 – 22 novembre 2018, n. 30193 Presidente Spirito – Relatore Di Florio Fatto e diritto Ritenuto che 1. La Inalca spa ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva respinto, per ciò che interessa in questa sede, l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di rigetto della domanda avanzata nei confronti di F.D. in arte L.D. e della RAI che aveva chiamato in manleva la Ballandi Entertaintment Spa per il risarcimento dei danni ed il pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 12 L. 47/1948, conseguenti alla diffamazione che sarebbe stata commessa attraverso la diffusione televisiva della trasmissione omissis , nel corso della quale era stato posto in risalto il collegamento fra il morbo della mucca pazza e l’ingente quantitativo di carne avariata rinvenuta dentro i capannoni della società, fatto che era stato oggetto di una inchiesta giudiziaria. 2. Tutti gli intimati hanno resistito la BG Invest Srl già Ballandi Entertainment Spa ha depositato anche memoria ex art. 380bis cpc. La RAi Radiotelevisione Italiana Spa, inoltre, ha proposto ricorso incidentale affidandosi a due motivi e memoria. Considerato che Sul ricorso principale. 1. Con il primo motivo, la ricorrente Inalca Spa deduce, ex art. 360 co 1 n 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 595 cp, dell’art. 30 L. 223/1990, dell’art. 21 Cost. e degli artt. 2043, 2049, 2055 e 2059 c.c. lamenta che la Corte territoriale aveva applicato erroneamente le disposizioni ed i principi in materia di diritto di satira e di critica ad una fattispecie ad essa estranea in quanto, pur premettendo correttamente che la prima fattispecie era sottratta al parametro della verità in quanto l’aperta difformità dalla realtà ne faceva apprezzare l’inverosimiglianza, aveva poi legittimato il collegamento fra il commento satirico ed i fatti reali, quali il morbo della mucca pazza , ed aveva, con ciò, applicato erroneamente la regola iuris secondo cui non deve essere violato il limite della verità . 1.1. Il motivo è infondato. Questa Corte ha affermato, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito che la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato. cfr. Cass. 6919/2018 . 1.2. I giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione di tale principio in quanto, nel condividere, sul punto, la valutazione del Tribunale sulla configurabilità della scriminante del diritto di critica e del diritto di satira cfr. pag. 4 della sentenza impugnata hanno valorizzato il collegamento fra i fatti veri imputati alla penale responsabilità della società e cioè il rinvenimento della carne avariata con il morbo BSE Bovine Spongiform Encephalopathy all’interno del perimetro della ricostruzione paradossale ed hanno affermando che il messaggio veicolato ai telespettatori assumeva una valenza satirica proprio attraverso la grottesca presentazione di un escremento, accompagnata dalle. frasi ironiche riportate in tale situazione, dunque, la Corte territoriale, lungi dal violare le disposizioni sopra indicate ed il limite della verità , è rimasta nei confini dei parametri di legittimità proprio attraverso l’utilizzo del paradosso che consente al pubblico di percepire il messaggio oggetto di comunicazione, attivando nel contempo tutti gli strumenti cognitivi per non darvi credito. 1.3. Ciò consente di escludere la violazione delle norme sopra richiamate che sono state tutte pienamente osservate alla luce dei principi sopra riportati. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ex art. 360 co 1 n 5 cpc l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed, ex art. 360 co. 1 n 4 cpc, il vizio di motivazione apparente per violazione dell’art. 132 co 2 n 4 cpc deduce che la valutazione della Corte territoriale circa il collegamento utilizzato dal presentatore fra carne avariata e mucca pazza non fosse affatto un’opinione qualificabile come legittimo sviluppo critico della notizia e si duole, pertanto, della decisione in quanto a. non era stato compiutamente esaminato il passaggio letterale della trasmissione art. 360 co 1 n 5 cpc b. non era stato considerato che era stato veicolato agli spettatori un messaggio falso, riportando in termini obiettivi ed asettici la sequenza del morbo BSE, delle indagini penali e del sequestro della carne con una commistione di notizie di carattere diffamatorio che si traducevano in motivazione apparente e cioè inidonea a rendere intellegibili le argomentazioni poste a base della decisione art. 360 co 1 n 4 cpc . 2.1. Il motivo che. ricalca, sia pur parzialmente, la censura precedente è inammissibile. Con esso, la società ricorrente contesta la motivazione resa dalla Corte che, lungi dal presentare lacune od omissioni, risulta logica, congrua ed aderente alla consolidata giurisprudenza di legittimità sia nella valutazione di inverosimiglianza che del carattere iperbolico della comunicazione sia nell’apprezzamento di una lecita rielaborazione critica del conduttore fra i due fatti enunciati riguardanti la vicenda penale e la malattia inoltre, le argomentazioni sviluppate dai giudici d’appello si fondano chiaramente sull’esame del passaggio contestato della trasmissione che, anche se non letteralmente riportato nel testo della motivazione, è stato chiaramente oggetto di esame per relationem, rendendo con ciò infondato il vizio di cui all’art. 360 co 1 n 5 cpc la censura, dunque, maschera nel complesso una richiesta di rivalutazione di merito della controversia, a fronte di una motivazione che supera ampiamente la sufficienza costituzionale e che da conto delle valutazioni espresse in relazione ai vari aspetti del passaggio incriminato della trasmissione, applicando la consolidata giurisprudenza di legittimità di questa Corte in materia di diritto di satira e diritto di critica. 2.2. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato. Sul ricorso incidentale della Rai. 3. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 co 1 n 3 cpc, la violazione dell’art. 342 co. 1 cpc e degli artt. 324, 329 co 2 cpc, 2909 c.c., nonché, ex art. 360 co 1 n 4 cpc, la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia su una questione rilevabile d’ufficio e per la violazione del giudicato interno assume che la Corte territoriale aveva erroneamente rigettato l’appello in quanto l’impugnazione dell’Inalca Spa aveva aggredito soltanto la prima ratio decidendi della sentenza del Tribunale, omettendo di censurare la seconda concernente l’assenza di nesso etiologico fra la condotta ed il danno sulla quale, pertanto, si fondava una statuizione ormai definitiva che avrebbe imposto la declaratoria di inammissibilità del gravame. 3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale deduce l’inconfigurabilità giuridica della domanda di condanna avanzata dall’INALCA ex art. 12 L. 47/1948 e l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso principale per carenza di interesse ad impugnare. 3.2. Entrambi i motivi devono ritenersi assorbiti. Premesso, infatti, che le doglianze pongono espressamente sullo sfondo le ulteriori questioni dichiarate espressamente assorbite dalla sentenza impugnata cfr. pag. 14 del ricorso incidentale e pag. 9 penultimo cpv. della motivazione , si osserva che l’impugnazione incidentale deve ritenersi proposta in via condizionata all’eventuale accoglimento del ricorso principale il rigetto dello stesso, dunque, esime la Corte dalla decisione sulle censure con esso prospettate. 4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale a rifondere le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3200,00 per compensi ed esborsi in favore di ciascun contro ricorrente, oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma ibis dello stesso art. 13.