Banca responsabile dell’infruttuoso investimento: omessi gli obblighi informativi

In tema di investimenti bancari, l’inosservanza dei doveri informativi genera una presunzione di riconducibilità all’intermediario rispetto ai successivi esiti dell’operazione finanziaria intrapresa, inadempienza che costituisce un fattore di disorientamento dell’investitore scorrettamente informato delle scelte di investimento.

L’intermediario finanziario deve informare il proprio cliente rispetto alle possibili conseguenze - positive e negative - dell’investimento che si accinge a intraprendere così da orientare l’investitore verso la miglior soluzione, in mancanza l’intermediario sarà responsabile ex art. 2043 c.c Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29353/18 depositata il 14 novembre. Un investimento rischioso. Un cliente di una nota Banca popolare affidava a quest’ultima un ingente somma di denaro per essere investita in titoli argentini, operazione consigliata dall’intermediario. L’investimento dopo alcuni anni, non attribuiva un esito positivo e per questo, gli eredi dell’investitore, oramai defunto, si rivolgevano al Tribunale territoriale per condannare la Banca al risarcimento del danno subìto deducendo altresì l’inadempimento della banca stessa dell’obbligo di fornire le dovute informazioni sui titoli acquistati essendo di alta rischiosità. Condanna confermata anche dalla Corte d’Appello di seguito adita ritenendo che nella domanda attorea proposta nell’atto di citazione e volta a ottenere la nullità e così la risoluzione del contratto per inadempimento, era compresa – implicitamente - anche la richiesta di risarcimento del danno. La Banca ricorre dunque in Cassazione lamentando la violazione sia degli artt. 107, 183, 184 c.p.c. per aver la Corte d’Appello accolto una domanda di risarcimento non tempestivamente proposta nel giudizio, che dell’art. 29, comma 3, reg. Consob n. 11522/1998 Operazioni non adeguate sostenendo che la sottoscrizione del cliente al modulo di investimento comportasse la piena consapevolezza dei rischi cui l’investimento andasse incontro. Essenziale dovere informativo dell’intermediario. Preliminarmente gli Ermellini ritengono che la domanda di risarcimento del danno è stata correttamente accolta dalla Corte d’Appello, anche se non esplicitamente avanzata dal ricorrente avendo quest’ultimo dedotto già in citazione la responsabilità della banca per la violazione degli obblighi informativi e ivi chiesto la restituzione della somma investita, anche a titolo risarcitorio ai sensi dell’art. 2043 c.c., domanda ulteriormente esplicata nell’atto di riassunzione con la richiesta di condanna al pagamento della predetta somma. Di seguito è necessario considerare la violazione degli obblighi informativi, delucidazioni che la banca deve fornire all’investitore affinché sia scelto l’investimento maggiormente compatibile con il portafoglio titolo del cliente. La Suprema Corte sottolinea che la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza dell’operazione di investimento [] non costituisce dichiarazione confessoria, né incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, né tantomeno costituisce prova a carico dell’adempimento dell’obbligo informativo posto a carico dell’intermediario poiché fa sorgere una presunzione semplice dell’assolvimento dell’obbligo informativo in questione. Orbene, davanti a un comportamento illegittimo dell’intermediario, l’investitore inconsapevole o mal informato si trova esposto ad un rischio che se, diversamente e opportunamente informato, avrebbe evitato di assumere. Alla luce dei principi esposti, i Giudici di legittimità respingono il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 giugno – 14 novembre 2018, n. 29353 Presidente De Chiara – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d’appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha condannato la Banca Popolare di Bergamo a pagare a B.F. , T.A. e B.L. quali eredi di B.R. , il primo anche in proprio la somma di Euro 65000,00, in relazione ad un investimento in titoli argentini effettuato nel 2001 ed andato male, a titolo di risarcimento del danno da inadempimento degli obblighi informativi. La Corte ha ritenuto che nella domanda fosse compresa quella di risarcimento del danno, in quanto proposta nell’atto di citazione e poi ribadita nell’atto di riassunzione del giudizio, interrotto e riassunto dinanzi al tribunale che la banca non avesse assolto all’obbligo di fornire le dovute informazioni sui titoli acquistati, ad alta rischiosità, destinati ad investitori speculativi ed incompatibili con il portafoglio titoli dei clienti che, sebbene costoro avessero firmato un modulo nel quale dichiaravano di essere stati informati che i titoli non erano adeguati e di avere autorizzato comunque l’investimento, il suddetto ordine non fosse conforme alla previsione dell’art. 29, comma 3, reg. Consob n. 11522/1998, non desumendosi da esso quali fossero le informazioni date dalla banca sui titoli acquistati che il danno subito consistesse nella perdita della somma investita, detratto il valore attuale dei titoli e delle cedole incassate. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca Popolare di Bergamo, cui si sono opposti B.F. , T.A. e B.L. . Le parti hanno presentato memorie. Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 184 e 107 c.p.c., per avere il giudice a quo accolto una domanda di risarcimento del danno non proposta nel giudizio tempestivamente, avendo gli attori chiesto in citazione di dichiarare la nullità e di risolvere il contratto per inadempimento ed operato nell’atto di riassunzione una indebita mutatio libelli, ivi introducendo la domanda risarcitoria per violazione degli obblighi informativi. Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha ritenuto la domanda di risarcimento del danno ritualmente proposta nel giudizio, avendo gli attori dedotto in citazione la responsabilità della banca per violazione degli obblighi informativi ed ivi chiesto la restituzione della somma investita, anche a titolo di risarcitorio ai sensi dell’art. 2043 c.c., domanda ulteriormente esplicitata nell’atto di riassunzione con la richiesta di condanna della banca al pagamento della predetta somma con qualsiasi motivazione . La correttezza di questa interpretazione della domanda, operata dai giudici di merito, è confermata dall’esame degli atti di causa, consentito a questa Corte in presenza dell’implicita denuncia di un error in procedendo, qual è quello di ultrapetizione. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 21 T.u.f. approvato con d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 , 28 e 29 del citato reg. Consob Intermediari, per avere ritenuto che la Banca Popolare di Bergamo non avesse assolto all’obbligo di assumere dai clienti e di dare loro le informazioni circa le caratteristiche dei titoli ed affermato la necessità che la segnalazione di inadeguatezza dovesse essere specificamente dettagliata, senza però valutare le risultanze istruttorie e travisando il contenuto dell’ordine scritto, con il quale i clienti avevano dichiarato di essere informati dell’inadeguatezza dell’operazione e di autorizzare la banca ad eseguirla comunque. Il motivo è infondato. Nella giurisprudenza di questa Corte è acquisito il principio secondo cui la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza dell’operazione di investimento, contemplata dall’art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522 del 1998, non costituisce dichiarazione confessoria Cass. n. 20178/2014 , né incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, né tantomeno costituisce prova dell’adempimento dell’obbligo informativo posto a carico dell’intermediario, ma fa soltanto sorgere una presunzione semplice che quell’obbligo sia stato assolto Cass. n. 10111/2018, n. 11578/2016 . Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto, in sostanza, che una simile presunzione non operasse o fosse superata dall’accertamento in concreto della inadeguatezza di quelle informazioni. In ciò consiste una quaestio facti di cui la ricorrente impropriamente sollecita una rivisitazione in questa sede mediante la richiesta di una diversa valutazione degli elementi probatori del processo. La doglianza di avere ritenuto la segnalazione di inadeguatezza dell’operazione non specificamente dettagliata, nel modulo sottoscritto dai clienti, non coglie la ratio decidendi, che consiste invece nel fatto che la banca doveva astenersi dall’effettuare l’investimento, essendo venuta meno all’obbligo di comunicare ai clienti tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e tutte le specifiche ragioni idonee a rendere l’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio degli investitori, ivi comprese quelle attinenti al pericolo di default dell’emittente. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 23, comma 6, T.u.f. e 2697 c.c., per avere ravvisato una responsabilità della banca in re ipsa, avendole erroneamente addossato l’onere di dimostrare l’insussistenza del danno lamentato e del nesso causale con la denunciata violazione degli obblighi informativi, onere gravante invece interamente sui clienti. Il motivo è infondato. La Corte di merito, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, sebbene abbia parlato di danno in re ipsa, lo ha ravvisato nella perdita della somma investita, a causa di un investimento che presumibilmente i clienti non avrebbero autorizzato se fossero stati informati in modo corretto. È un ragionamento conforme a diritto, tenuto conto che, in presenza di un comportamento illegittimo dell’intermediario, l’investitore inconsapevole si trova esposto ad un rischio che avrebbe potuto essergli accollato solo a seguito di adeguate informazioni. Il danno consiste nel rischio di perdita del capitale investito che il cliente ben informato non si sarebbe presumibilmente addossato, o almeno non in quella misura. E poiché il legislatore, nel dettare la normativa di settore in materia, muove dal presupposto che dette informazioni sono invece necessarie all’effettuazione di scelte d’investimento effettivamente consapevoli ed oculate, deve presumersi, fino a prova contraria, che quel rischio il cliente non lo avrebbe corso se fosse stato informato come si doveva. È dunque corretto far riferimento alla successiva perdita di valore del titolo per quantificare il danno subito dall’investitore il quale si sia trovato esposto al rischio di quella perdita per un fatto imputabile all’intermediario Cass. n. 29864/2011 . Questo principio si deve ribadire, tenuto conto che l’inosservanza dei doveri informativi ingenera una presunzione di riconducibilità all’intermediario stesso dell’operazione finanziaria, costituendo di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento Cass. n. 3914/2018 . In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi. Raddoppio del contributo a carico del ricorrente come per legge.