Il rapporto causale fra inadempimento e danno e la prova del mancato guadagno

In materia contrattuale, i danni risarcibili sono solo quelli che discendono in maniera diretta ed immediata dall’inadempimento riscontrato.

Ove venga dedotto in giudizio un danno da inadempimento contrattuale che si limiti al solo lucro cessante, dovendosi quest’ultimo concretizzare nel mancato guadagno, ovvero nell’accrescimento patrimoniale ridottosi o azzeratosi proprio a causa dell’inadempimento, la parte che lo deduce avrà il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione. A tal fine, tuttavia, saranno da escludersi i guadagni ipotetici, perché dipendenti da condizioni incerte. Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l’ordinanza n. 25160/18, depositata l’11 ottobre 2018. Il caso. La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato, da un società avverso una sentenza della Corte d’Appello che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva accolto solo parzialmente le sue richieste. La ricorrente aveva agito, in primo grado, per far accertare la simulazione assoluta di vendita di alcuni beni strumentali all’esercizio dell’impresa, intervenuta fra le due società convenute e per vedersi riconosciuto il diritto a ritenere i detti beni, ricompresi nella cessione di ramo d’azienda, che la stessa ricorrente aveva stipulato, con una delle due convenute, nonché, infine, per ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’indisponibilità dei beni, per tutto il tempo di durata delle controversie. Quest’ultima richiesta veniva rigettata dal Giudice di primo grado ed anche dalla Corte d’Appello, che riteneva non provata l’esistenza del danno ed il nesso di causalità fra l’inadempimento contrattuale e le conseguenze dannose addotte dall’attrice. Avverso detta statuizione l’attrice ed appellante proponeva ricorso. La relazione causale fra l’inadempimento contrattuale ed il danno. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha voluto innanzitutto chiarire il concetto di danno da inadempimento contrattuale. Secondo l’art. 1223 c.c., in materia contrattuale, i danni risarcibili sono solo quelli che discendono in maniera diretta ed immediata dall’inadempimento riscontrato. A tal proposito si rende necessario indagare l’esistenza di un duplice nesso di causalità uno fra comportamento ed evento, per poter configurare una responsabilità ed uno fra evento e danno, per delineare i confini di detta responsabilità ed imputare all’inadempimento le singole conseguenze dannose, che ne siano conseguenza diretta ed immediata sentenza n. 9374/2006 . Secondo la Suprema Corte, inoltre, l’indagine sull’esistenza della relazione causale, fra inadempimento contrattuale ed evento dannoso, che va considerata secondo il criterio del più probabile che non”, è cosa ben distinta da quella diretta ad individuare le singole conseguenze dannose, finalizzata solo a delimitare i confini esatti di una responsabilità risarcitoria già accertata sentenza n. 21619/2017 . L’identificazione del danno da lucro cessante. In secondo luogo, la Suprema Corte ha anche specificato che ove, come nel caso di specie, venga dedotto in giudizio un danno da inadempimento contrattuale che si limiti al solo lucro cessante, dovendosi quest’ultimo concretizzare nel mancato guadagno, ovvero nell’accrescimento patrimoniale ridottosi o azzeratosi, proprio a causa dell’inadempimento, la parte che lo deduce avrà il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione. A tal fine, tuttavia, saranno da escludersi quei guadagni che la Corte di Cassazione definisce ipotetici, perché dipendenti da condizioni incerte sentenza n. 24632/2015 . La mancata prova del rapporto fra inadempimento e danno. Il vulnus del ragionamento giuridico costruito dalla società ricorrente, in sostanza, si riscontra nella sua stessa natura presuntiva cioè nel voler far automaticamente discendere da un fatto noto, ovvero il prolungato inadempimento dell’obbligo di consegna dei beni, un fatto ignoto ed incerto, ovvero il danno da mancato guadagno, senza fornire alcuna prova dell’esistenza di un nesso di causalità diretto ed immediato fra quest’ultimo e l’inadempimento. La ricorrente, invece, avrebbe dovuto fornire prova che la mancata disponibilità dei beni oggetto del giudizio, strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa, siano stati causa diretta ed esclusiva delle perdite economiche, registrate per più esercizi sociali, non essendo, invece, sufficiente fornire solo una prova, di natura induttiva e presuntiva, riferita al dato della complessiva diminuzione dei ricavi sociali, poiché quest’ultima potrebbe normalmente essere riferita a vari fattori economici e strutturali, collegati alla gestione dell’attività d’impresa e non necessariamente all’indisponibilità dei beni.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 20 giugno – 11 ottobre 2018, n. 25160 Presidente Armano – Relatore Fiecconi Rilevato in fatto 1. Con sentenza n. 3455/2014, depositata in data 16/12/2014, il Tribunale di Monza, dopo avere rigettato le prove per testi, ritenendo la causa documentale, si pronunciava sulla causa promossa da Refillgas s.r.l. in liquidazione contro B.S. , Plastigas s.a.s. di B.A. & amp C. ed omissis s.r.l., e accoglieva parzialmente la domanda attorea, dichiarando la simulazione assoluta della cessione dei beni oggetto di causa macchinari industriali intervenuta tra Plastigas ed Essebi Italia di B.S. . Il Tribunale accertava che tra le parti Refillgas e Plastigas il 20/4/2007, era intervenuta una cessione di ramo d’azienda, comprensiva del suddetti beni, per effetto dell’esercizio di un diritto di opzione contenuto nel contratto di affitto di ramo di azienda vigente tra le parti dal 1/10/2001 al 30/9/2007, poi cessato con rilascio del capannone alla locatrice Plastigas. Pertanto il giudice adito dichiarava la simulazione assoluta della vendita dei suddetti beni, rimasti nel capannone, da parte della convenuta Plastigas s.a.s. a Essebi Italia di B.S. , accertando il diritto dell’attrice a ritenere i beni oggetto di causa tuttavia, il Tribunale respingeva la domanda di risarcimento del danno spiegata dall’attrice che non aveva ricevuto in consegna i beni per tutti gli anni di durata delle controversie e dichiarava integralmente compensate tra le parti le spese di lite. 2. Avverso tale sentenza la Refillgas s.r.l. in liquidazione proponeva impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Milano, con atto in data 16/2/2015, chiedendone la riforma parziale in relazione ai capi che respingevano la domanda di risarcimento dei danni e che compensavano le spese del giudizio. Con sentenza n. 2322/2016, pubblicata in data 9/6/2016, la Corte d’Appello di Milano rigettava l’impugnazione e confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio. La Corte, in particolare, affermava che l’appellante non aveva fornito elementi ulteriori e decisivi ai fini della prova dell’esistenza del danno e della sua derivazione dalla mancata consegna dei macchinari . 3. La Refillgas s.r.l. in liquidazione, con atto notificato in data 7/12/2016, propone ricorso innanzi a questa Corte avverso la sentenza n. 2322/2016, pubblicata in data 9/6/2016, affidandolo a due motivi. B.S. , in proprio e quale titolare della Essebi Italia s.a.s., resiste con controricorso, notificato in data 19/1/2017. Parte ricorrente produce memoria. Ritenuto in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 4 cod.proc.civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ In particolare, il ricorrente contesta l’affermazione dei giudici di merito relativa all’assenza di prova circa il danno subito, essendo stato omesso l’esame della documentazione prodotta attestante l’inadempimento, senza alcuna considerazione in ordine all’intera vicenda contrattuale da cui avrebbe dovuto desumersi, non solo il comportamento di grave inadempimento della controparte al contratto di cessione di beni aziendali, ma anche la sua volontà di sottrarsi alla procedura esecutiva intrapresa dalla società ricorrente dopo che era intervenuto un lodo che aveva attestato il corretto esercizio del diritto d’opzione per l’acquisto di ramo d’azienda con relativi beni , tutti comportamenti da cui avrebbe dovuto inferirsi la lesività della condotta gravemente inadempiente e in mala fede tenuta dalla controparte. 1.1. Le due censure sono inammissibili. 1.2. La prima censura attiene ad un vizio della motivazione, qualificata come apparente , che sarebbe sussumibile nel n. 5 della vecchia formulazione dell’art. 360 cod.proc.civ Stante l’avvenuta modifica della norma e la deduzione, da parte del ricorrente, di soli elementi fattuali finalizzati ad una nuova valutazione dei fatti di causa e ad un terzo grado di giudizio, la censura è inammissibile. In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod.proc.civ. e danno luogo a nullità della sentenza - di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale , di motivazione apparente , di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile , al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico , che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia Cass. Sez. III, n. 23940/2017 SSUU n. 8053/2014 . 1.3. Con riguardo alla seconda censura, attinente al profilo di omessa motivazione in ordine all’inadempimento da risarcire, in violazione dell’art. 132 cod.proc.civ., anche in questo caso si rileva un motivo di inammissibilità. La motivazione resa dalla Corte territoriale non è incentrata tanto sulla sussistenza dei fatti costitutivi dell’inadempimento, che ha ritenuto sussistente, ma sulla mancata prova del danno che ne è conseguito, posto si assume che il ricorrente allora attore appellante aveva chiesto di valutare il danno in termini di riferibilità della diminuzione del volume d’affari alla mancata disponibilità dei beni de quo deducendo anche che appare altresì evidente che la diminuzione quantitativamente poco rilevante degli utili, oltre che l’autonomia dei risultati di esercizio successivi alla presunta diminuzione dei ricavi, dimostra l’assoluta infondatezza dell’appello . In tal modo la Corte ha inteso sottolineare che non è stato provato che il calo di fatturato espresso in termini di volume di affari registrato negli esercizi sociali successivi al trasferimento dell’azienda, fosse strettamente collegato al danno da mancata consegna dei macchinari oggetto di cessione, data la presunta autonomia dei risultati di gestione da tale evento dannoso e la diminuzione poco significativa degli utili che dimostravano, invece, che il risultato negativo di gestione fosse riconducibile a diversi fattori. 1.4. Osserva la Corte che la censura di mancata considerazione del calo di fatturato allegato non coglie gli esatti termini della ratio decidendi resa e, comunque, non sposta i termini della questione decisa, inerente al tema della mancata allegazione della prova del nesso causale tra fatto di inadempimento contrattuale, dalla Corte di merito affermato come sussistente, e mancato guadagno dell’impresa, ritenuto non sufficientemente provato. La parte ricorrente, infatti, si limita a sostenere un vizio nel ragionamento presuntivo p. 37 del ricorso , assumendo che dal fatto noto il prolungato inadempimento dell’obbligo di consegna dei macchinari e il calo di rendimento accumulato negli anni successivi alla cessione del ramo di azienda si sarebbe dovuto dedurre il fatto ignoto, ovvero la sussistenza di un danno equivalente al mancato guadagno dell’impresa gestita dalla società, pari a circa quattro milioni di Euro il che, oltre ad essere un ragionamento errato in ordine alla distribuzione dell’onere della prova del danno - conseguenza, gravante sempre sull’attore come si vedrà al punto 2 di seguito , si rivela come un argomento che non è in grado di inficiare la ratio decidendi di rigetto della domanda, che poggia sulla considerazione che il risarcimento non è stato chiesto in termini di danno emergente, bensì di lucro cessante, per mancato utilizzo dei beni che, tuttavia, avrebbe richiesto l’offerta di migliori argomenti di prova, anche solo indiziari, in ordine alla stretta correlazione tra il calo di produttività registrato riferito a tutta l’impresa e non solo al ramo d’azienda acquisito dalla società ricorrente e la mancata disponibilità dei beni, allorché l’impresa si era trasferita in altra sede. 2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 cod.civ., 1372 cod.civ., nonché degli artt. 1175 e 1375 cod.civ., laddove la Corte d’Appello non ha correttamente applicato al caso di specie i criteri normativi in materia di nesso causale nel valutare il grave comportamento di inadempimento contrattuale e di sottrazione agli obblighi derivanti da un lodo arbitrale reso esecutivo, mediante la cessione degli stessi beni ad altra società riferita all’obbligato. Il ricorrente sostiene che non sia stato erroneamente considerato che il persistente inadempimento dell’obbligo di consegna dei beni aziendali, in assoluto spregio degli obblighi di lealtà e correttezza cui deve informarsi ogni rapporto contrattuale, ha determinato, come conseguenza diretta ed immediata, il calo di fatturato registrato nei successivi esercizi sociali. 2.1. Il motivo è inammissibile, prima che infondato. 2.2. La censura, per come è formulata, attiene al piano della valutazione di una responsabilità per inadempimento contrattuale che non può affermarsi ove il danno patrimoniale non sia stato provato nel suo ammontare e non è quindi conferente con il tenore della decisione assunta, che ha respinto la domanda per mancanza di prova del danno da inadempimento contrattuale, tendendo invece a indurre questa Corte a ripercorrere considerazioni di merito sulla grave situazione di inadempienza constatata, invece, dalla Corte d’Appello che, richiamando la valutazione del Giudice di primo grado, ha ritenuto non raggiunta la prova del relativo danno prospettato solo in termini di lucro cessante. 2.3. In materia contrattuale i danni da risarcire devono essere conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento riscontrato, ai sensi dell’articolo 1223 codice civile. Nel considerare il risarcimento del danno, il rapporto tra comportamento ed evento e tra questo e il danno muta a seconda che il danno sia un elemento della fattispecie o un suo effetto, e devono conseguentemente distinguersi il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento, affinché possa configurarsi a monte una responsabilità, in termini di causalità materiale, e il nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’imputazione delle singole conseguenze dannose, in termini di causalità giuridica, e ha la funzione di delimitare a valle i confini della responsabilità. Pertanto la limitazione del rapporto causale tra inadempimento e danno alle sole conseguenze immediate e dirette è fondata sulla necessità di contenere l’estensione temporale e spaziale degli effetti e degli eventi illeciti ed è orientata a escludere, dalla connessione giuridicamente rilevante, ogni conseguenza dell’inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata vedi Cassazione Sez. Lav., sentenza n. 9374/2006 . 2.4. Tale principio è ancor meglio espresso in Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007 Rv. 599816 - 01 , ove si chiarisce che nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità materiale - la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale ove vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla certezza - consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio ispirato alla regola della normalità causale del più probabile che non esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo colpevolezza v. anche Sez. 3, Sentenza n. 11189 del 15/05/2007 . 2.5. Passando alla materia che ci occupa, ove il ricorrente deduce il mancato accoglimento di una pretesa risarcitoria da inadempimento contrattuale espressa solo in termini di lucro cessante, correlato alla mancata disponibilità, per un notevole lasso di tempo che ha coinvolto più esercizi sociali, di un complesso di beni aziendali utilizzati al tempo in cui era conduttore del ramo di azienda, giova sottolineare che il danno patrimoniale da mancato guadagno lucro cessante , concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, con la sola esclusione dei mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24632 del 03/12/2015 - Rv. 637952 - 01- . 2.6. Sicché, dovendo trasporsi i suddetti principi alla fattispecie in esame, la prova della effettiva consistenza del danno da risarcire richiede un giudizio di adeguatezza della causa a generare il danno lamentato che, se riferita all’inadempimento dell’obbligazione contrattuale di consegna di beni, deve direttamente collegarsi alla perdita della loro specifica utilità. Lo stesso criterio si riscontra in materia societaria, ove si è sancito che il criterio di valutazione del danno sociale, deve riporsi su dati oggettivi direttamente collegati all’inadempimento, se nella disponibilità della parte deducente, potendo solo in via residuale valere il ricorso a dati presuntivi o equitativi riferiti ai risultati negativi di gestione. In tal senso si richiama Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015 Rv. 635451 - 01 in cui è chiaramente espresso che nell’azione di responsabilità sociale la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. v. anche Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 2500 del 01/02/2018 Rv. 647230 - 01 . 2.7. Pertanto, ragionando alla luce dei suddetti principi di diritto, riferibili alla fattispecie in esame, deve affermarsi l’ulteriore principio in base al quale nel caso in cui il danno da perdita di un complesso di beni aziendali sia fatto coincidere con il calo di fatturato aziendale di una società, la astratta riferibilità di tale risultato negativo di gestione societaria all’evento occorso non esonera l’attore dall’onere di dimostrare il nesso sussistente tra l’indisponibilità dei beni, funzionali all’esercizio dell’impresa, e la perdita economica registrata per più esercizi sociali, non potendo la prova, anche solo induttiva e per presunzioni, riferirsi al solo dato, di origine incerta, della complessiva diminuzione di ricavi sociali, normalmente riconducibile a diversi fattori economici e strutturali afferenti alla gestione della società che conduce l’impresa. La parte che deduce un danno sociale per mancato utilizzo di beni aziendali è pertanto onerata di provare la sussistenza di un nesso causale diretto e immediato, in termini di causalità adeguata, tra il risultato negativo di gestione sociale registrato e la mancata disponibilità di beni strumentali per l’esercizio dell’impresa . 2.8. Poiché il tenore della decisione assunta si dimostra in linea con i principi di diritto sopra richiamati sul tema della prova del danno patrimoniale da inadempimento contrattuale nell’ambito dell’esercizio di una attività commerciale e imprenditoriale, la censura risulta inammissibile nella misura in cui essa non si rapporta alla ratio sottesa nella decisione impugnata e, in ogni caso, induce il giudice di legittimità a svolgere riconsiderazioni in fatto effettuate dai Giudici di merito alla luce di corretti principi di diritto, con violazione del disposto di cui all’art. 366, n. 4 cod. proc. civ 3. Conclusivamente, il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, da porsi a carico del ricorrente soccombente come di seguito liquidate. P.Q.M. I. Dichiara l’inammissibilità del ricorso II. Condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 9.000,00, oltre 200,00 per esborsi, spese forfetarie al 15% e oneri di legge. III. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.