Nessun risarcimento danni se l’informativa di reato al PM è lesiva della reputazione ma scriminata

Non è antigiuridica la condotta di due marescialli dei carabinieri che, in buona fede e nell’adempimento putativo del loro dovere, redigano una informativa di reato contenente la rappresentazione di altre condotte penalmente rilevanti dell’indagato al PM, non ledendone così il suo onore e la sua reputazione ex art. 2043 c.c

La vicenda processuale. In una informativa di reato al PM due marescialli dei carabinieri affermavano, contrariamente al vero per la Corte d’Appello, che il ricorrente aveva già portato a compimento analoghe estorsioni , rispetto a ciò per cui stavano indagando. Venivano entrambi condannati, per l’appunto in sede di gravame, al pagamento di Euro 1.000,00 a titolo di risarcimento danno per il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p., nonostante la loro incontestata buona fede. Venivano invece rigettati i motivi di appello sotto due profili la inidoneità dell’informativa di reato a provare la verità di quanto in essa contenuto perché non fidefacente, e l’esclusione del reato di falso ideologico. Avverso tale decisione i due marescialli ricorrono per cassazione resiste con controricorso l’erede del soggetto assunto danneggiato. Diffamazione? Gli Ermellini accolgono in modo tranciante il ricorso principale. Evidenziano che l’informativa di reato così come confezionata dai due marescialli non può integrare il reato di diffamazione perché essa è un atto indirizzato esclusivamente al Pubblico Ministero manca dunque l’elemento della comunicazione diretta a più persone in assenza dell’offeso. L’argomentazione non viene scalfita neanche considerando la circostanza che l’informativa possa essere di fatto letta dal personale di cancelleria e dall’ufficio del PM. I due carabinieri inoltre hanno agito in totale buona fede sussistendo la scriminante dell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p., almeno di tipo putativo, nel senso di aver riferito, quali organi di polizia giudiziaria, al PM fatti di possibile portata penale. Ciò significa che costoro erano convinti della veridicità dei fatti dichiarati e di godere della scriminante ex art. 59 c.p. tale da escludere la antigiuridicità della loro condotta. In conclusione. Nella fattispecie in esame non residuano dunque neanche profili di colpa rilevante ex art. 2043 c.c. l’on probandi, come noto, è a carico della parte danneggiata. Ultima notazione merita il rigetto del controricorso, perché l’informativa di indagine non costituisce atto pubblico. Essa di regola non ha valore di prova, eccezion fatta per le parti descrittive di cose, luoghi o situazioni non suscettibili di rinnovarsi nel corso del dibattimento perché irripetibili pertanto il motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 13 settembre – 4 ottobre 2018, n. 24202 Presidente Travaglino – Relatore Iannello Rilevato in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.P. e in conseguente riforma della decisione di primo grado, ha condannato M.G.E. e D.L. , in solido, al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 1.000, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni, per averne offeso la reputazione affermando contrariamente al vero - nell’informativa di reato da essi redatta quali marescialli dei carabinieri, all’esito di indagini condotte su denunzia/querela presentata da terzi nei confronti del C. - che lo stesso ha già portato a compimento analoghe estorsioni . Ha infatti ritenuto che, nonostante l’incontestata buona fede degli appellati, il fatto integrasse il delitto di diffamazione, sia quanto all’elemento oggettivo - dal momento che di tale atto, pur rimanendo atto interno destinato esclusivamente al Pubblico Ministero, sono venuti, comunque, a conoscenza più soggetti personale di cancelleria, ufficio del PM, etc - sia quanto all’elemento soggettivo, essendo al riguardo sufficiente il dolo generico, anche in forma eventuale, inteso come idoneità offensiva delle espressioni utilizzate e consapevolezza di comunicare con più persone senza che sia richiesta, altresì, l’intenzione di offendere . Ha invece rigettato i motivi d’appello primo e secondo con i quali il C. censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto che l’informativa di reato non fosse atto idoneo a provare la verità di quanto in esso contenuto e per aver escluso altresì la configurabilità del reato di falso ideologico, p. e p. dall’art. 479 cod. pen., non avendo gli appellati affermato nell’informativa che a carico del C. esistevano precedenti condanne penali per il reato di estorsione, ma essendosi limitati ad affermare l’esistenza di dati fattuali consistenti in precedenti querele a carico dello stesso presentate da diversi soggetti la valutazione della cui effettiva veridicità e la cui conseguente qualificazione giuridica sarebbe spettata, unicamente, all’autorità giudiziaria destinataria della notitia crtminis secondo i giudici d’appello appariva inoltre più che credibile che gli appellati ritenessero veri i fatti indicati nella informativa di reato, per averne avuto notizia nel corso delle indagini dagli stessi svolte si soggiunge poi in sentenza che, peraltro, la condotta degli appellati non si è disvelata né falsa, né offensiva della reputazione del C. , atteso che il Pubblico Ministero, investito del relativo procedimento, ha ritenuto come effettivamente esistente la condotta illecita dell’appellante C. , sia pure con una diversa qualificazione giuridica del fatto, tant’è che, a carico dello stesso, n.d.r. è stato poi emesso decreto penale di condanna . 2. Avverso tale decisione M.G.E. e D.L. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste C.S. , subentrato iure successionis all’originario attore, depositando controricorso con il quale propone a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis,1 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. Con il primo motivo del ricorso principale M. e D. denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 num. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello reso una motivazione meramente apparente . Rilevano che nel corpo della motivazione sono contenute affermazioni tra loro giuridicamente inconciliabili, percorsi decisionali titubanti che non consentono di addivenire alla effettiva ratio decidendi”. Segnalano in tal senso che - nel rigettare i primi motivi di gravame, la Corte d’appello ha sostanzialmente affermato che la condotta dei ricorrenti non era antigiuridica, dal momento che l’informativa era un mero atto interno, una segnalazione destinata al PM, con esclusione di terzi estranei al processo, la notizia riportata nell’informativa di reato era vera, i verbalizzanti si erano limitati ad affermare l’esistenza di dati fattuali consistenti in precedenti querele a carico dello stesso presentate da diversi soggetti e che la condotta dei verbalizzanti non era né falsa ne offensiva della reputazione del C. - nell’ultima parte invece la sentenza afferma che sono ravvisabili gli estremi della diffamazione, con argomenti che contrastano con quanto detto in precedenza e tre essi stessi da un lato ribadendosi la buona fede dei ricorrenti, la loro inconsapevolezza e, dall’altro, affermandosi l’offensività della condotta e la sussistenza del dolo generico . 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 21 Costò 51, 185 e 595 cod. pen., 347 cod. proc. pen., 2043, 2059 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto integrato il delitto di diffamazione, erroneamente ritenendone sussistenti gli elementi costitutivi. Rilevano infatti che - l’affermazione de qua persona che ha già portato a compimento analoghe estorsioni non è offensiva della reputazione in quanto corrisponde ad un fatto vero, desunto da un accertamento compiuto dagli aventi nel corso delle loro indagini e contenuto in un atto dovuto, quale l’informativa di reato - difetta la comunicazione con più persone che costituisce elemento caratterizzante il reato di diffamazione l’informativa infatti, in quanto mero atto interno, non può ritenersi idonea alla divulgazione - la sentenza omette di considerare che l’illiceità del fatto è comunque esclusa dalla scriminante dell’adempimento di un dovere giuridico ex art. 51 cod. pen 3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono infine, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 rette 1223 , 1226, 2043, 2056, 2059 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello proceduto a valutazione equitativa dei danni, in assenza di allegazione e prova degli stessi denunciano ancora, sul punto, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 num. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito reso una motivazione meramente apparente, omettendo di dar conto delle circostanze di fatto considerate ai fini della valutazione equitativa del danno e dell’iter logico seguito. 4. Con il primo motivo del ricorso incidentale C.S. denuncia violazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., per avere la Corte d’appello rigettato il primo motivo di gravame negando che l’informativa di reato ex art. 347 cod. proc. pen., avesse valore di atto pubblico fidefaciente fino a querela di falso. Sostiene che l’informativa costituisce atto pubblico e ha fede privilegiata, fino a querela di falso, per i fatti e/o le circostanze direttamente percepite dal pubblico ufficiale che, conseguentemente, se riportati in modo non veridico, costituiscono l’oggetto del reato di falso ideologico. Afferma che nel caso di specie la falsità emerge per tabulas posto che mai il proprio dante causa era stato attinto da denunce per le quali si potesse ipotizzare, anche in fase di prima valutazione giuridica dei fatti, il reato di estorsione. 5. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1227, 2043, 2056 e 2059 cod. civ., per avere immotivatamente liquidato il danno morale nella misura di C 1.000, che egli assume essere sproporzionata per difetto, anche alla luce della erronea esclusione del falso ideologico conseguente alla qualificazione della informativa quale semplice atto interno. 6. Con il terzo motivo il ricorrente infine denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. omessa motivazione su di un fatto decisivo della controversia violazione dell’art. 111, comma sesto, Cost., per avere la Corte d’appello compensato le spese nella misura dei due terzi. 7. È fondato il secondo motivo del ricorso principale, di rilievo assorbente e suscettibile di essere esaminato prioritariamente, per il principio della ragione più liquida Cass. Sez. U. 08/05/2014, n. 9936 . La riconosciuta configurabilità nella fattispecie concreta del reato di diffamazione, D. e p. dall’art. 595 cod. pen., si appalesa invero frutto di una erronea qualificazione giuridica dei fatti quali accertati e pur univocamente descritti nella stessa sentenza. La circostanza, infatti, ripetutamente evidenziata in sentenza, dell’essere l’informativa di reato atto esclusivamente diretto al PM, da un lato, e, dall’altro, la pur ribadita buona fede degli autori della stessa e il rimarcato convincimento degli stessi che i fatti indicati fossero veri, per averne i dichiaranti avuto notizia nel corso delle indagini svolte, attestano rispettivamente a l’assenza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta, ossia l’essere l’offesa contenuta in una comunicazione diretta a più persone in assenza dell’offeso b la sussistenza, di contro, comunque, della scriminante, quantomeno putativa, dell’adempimento di un dovere art. 51 cod. pen. , quello cioè gravante sugli organi di polizia giudiziaria di riferire al PM fatti di possibile rilevanza penale. Sotto il primo profilo giova rimarcare che, secondo pacifico indirizzo della giurisprudenza penale di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi anche nel diverso ambito civilistico che qui occupa, identica restando la definizione del fatto illecito, se è vero che, ai fini della riconoscibilità del requisito in parola comunicazione con più persone , non occorre che la propagazione a più persone dei fatti lesivi dell’onore o del decoro di una persona avvenga simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, è pur sempre necessario che la stessa risulti comunque rivolta a più soggetti, e vi sia la prova della volontà, da parte dell’agente medesimo, della diffusione del contenuto diffamatorio della comunicazione attraverso il destinatario v. Cass. pen. 09/04/1997, n. 5454 Cass. peri. 05/08/2015, n. 34178 Cass. pen. 26/05/2016, n. 522 . Del tutto irrilevante si appalesa pertanto ai predetti fini la circostanza, valorizzata dai giudici di merito, che della informativa siano o possano essere di fatto venuti a conoscenza altri soggetti personale di cancelleria, ufficio del PM, etc. ed anche che di ciò -come pure si afferma in sentenza - gli autori dell’informativa possano averne avuto consapevolezza, non potendosi per ciò solo evidentemente affermare che la comunicazione fosse, per volontà dei suoi autori, anche a questi diretta, il contrario essendo invece, come detto, ripetutamente evidenziato in sentenza. Sotto il secondo profilo, affermare, come fanno i giudici a quibus, che gli autori della informativa fossero in buona fede, convinti della veridicità dei fatti dichiarati, altro non significa che essi fossero convinti di adempiere ad un loro dovere e che pertanto, a fronte della consapevolezza della oggettiva offensività delle affermazioni, stesse anche il convincimento della sussistenza di una scriminante idonea comunque ad escludere l’antigiuridicità della condotta. Ai sensi dell’art. 59, comma quarto, cod. peri., se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo . Ciò vale ad escludere, ovviamente, una rilevanza penale del fatto, non essendo previsto nel nostro ordinamento il reato di diffamazione colposa. Il quesito se, ciò nondimeno, residui un’antigiuridicità del fatto rilevante sul piano civilistico, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., che a tal fine come noto attribuisce rilievo anche alla sola colpa, non ha motivo di porsi nel caso in esame, posto che i giudici di merito -oltre ad evidenziare più volte, come detto, la incontestata buona fede degli auto-i della propalazione - non segnalano nemmeno comunque profili di negligenza, né comunque si desumono dalla sentenza elementi di sorta valorizzabili in tale prospettiva. Le argomentazioni di contro contenute nel controricorso si muovono con ogni evidenza sul piano della ricognizione della fattispecie e non valgono a prospettare, nemmeno sotto detto profilo, vizi della sentenza suscettibili di sindacato nella presente sede. 8. Il ricorso principale merita pertanto accoglimento, restando assorbito l’esame degli altri motivi dello stesso ricorso. 9. Le sopraesposte considerazioni, specie in punto di scriminante putativa, valgono anche a evidenziare la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso incidentale, con riferimento al quale può peraltro ulteriormente osservarsi quanto segue secondo principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’alto redatto da pubblico ufficiale fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento da chi figura averlo redatto, delle dichiarazioni rese, nell’occorrenza, dalle parti e dei fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, laddove la fede privilegiata non può essere attribuita né ai giudizi valutativi, né alla menzione di quelle circostanze relative ad accadimenti avvenuti sì in presenza del pubblico ufficiale, ma che inevitabilmente involgano suoi apprezzamenti personali confr. Cass. 10/12/2012, n. 22383 Cass. 22/06/2010, n. 15108 Cass. 29/08/2008, n. 21816 Cass. 27/10/2008, n. 25842 nel caso di specie non può dubitarsi che l’affermazione secondo cui l’indagato ha già portato a compimento analoghe estorsioni coinvolga evidentemente valutazioni e qualificazioni giuridiche dei fatti appresi nel corso delle indagini, come tali non coperte, come correttamente evidenziato in sentenza, da alcuna fede privilegiata - tanto più tale principio rileva nella specie, trattandosi di informativa d’indagine da valere nell’ambito di procedimento penale, per la quale, come noto, il nostro ordinamento esclude di regola ogni valore di prova, fatta eccezione per le parti descrittive di cose, luoghi o situazioni non suscettibili di rinnovarsi a dibattimento e, come tali, da considerarsi irripetibili v. ex multis Cass. pen. 03/03/1997, n. 5366 18/06/2009, n. 30988 12/05/2015, n. 23305 - in ogni caso, se da un lato deve rammentarsi che, come più volte chiarito dalla giurisprudenza penale della Cassazione, i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente v. ex aliis Cass. pen. 08/09/2016, n. 3067 16/10/2014, n. 2511 14/10/2008, n. 39839 dall’altro, non può non evidenziarsi che nel caso de qua il denunciato falso oltre a non poter configurare reato per le ragioni sopra dette comunque non assume portata offensiva, rispetto all’indagato, diversa da quella della lesione all’onore e alla reputazione essendo pacificamente escluso che quella affermazione abbia avuto alcun altro rilievo nella vicenda giudiziaria , come tale sovrapponibile dunque a quella dell’ipotizzato reato di diffamazione e per la quale non possono che valere le considerazioni già espresse. Il motivo va pertanto dichiarato inammissibile, ex art. 360-bis num. 1 cod. proc. civ., in quanto contrastante con la giurisprudenza consolidata di legittimità, cui si conforma invece, in parte qua, la Corte di merito v. Cass., Sez. U. 21/03/2017, n. 7155 . 10. L’accoglimento del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di ricorso incidentale, assorbono ovviamente l’esame degli altri motivi dedotti a fondamento di quest’ultimo. 11. La sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa con il rigetto della domanda risarcitoria formulata dall’attore. Alla soccombenza segue la condanna del controricorrente, ricorrente incidentale, al pagamento delle spese dell’intero giudizio, liquidate come da dispositivo. attuale condizione del predetto di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza del raddoppio del contributo unificato previsto dal art. 13, comma 1-qualer d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 Cass. 22/03/2017, n. 7368 Cass. 02/09/2014, n. 18523 . P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso principale dichiara assorbiti rimanenti dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso incidentale dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva. Condanna C.S. al pagamento, in favore delle controparti, in solido, delle spese del giudizio di merito, liquidate a per il primo grado in C 900 per diritti ed onorari b per il secondo grado in Euro 750 per compensi oltre alle spese forfettarie - nella misura del 12,50 per cento per il primo grado e del 15 per cento per il secondo - ed agli accessori di legge. Condanna altresì il controricorrente, ricorrente incidentale, al pagamento, in favore dei ricorrenti, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.