Mancato trasferimento dell’immobile aggiudicato all’asta: il danno per il «proprietario usurpato» è in re ipsa

In caso di mancato trasferimento del bene aggiudicato all’asta si può determinare un danno figurativo relativo al valore locativo del cespite usurpato. Tale danno deriva dalla indisponibilità del bene consistente nel ritardo nella controprestazione e va individuato nel pregiudizio derivante dalle conseguenze del mancato rispetto – nel trasferimento e nella consegna dell’immobile - dei tempi pattuiti, quale voce di lucro cessante .

Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 21239/18 depositata il 28 agosto. Il caso. Una società proponeva istanza di condanna nei confronti di una fondazione alla stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 2932 c.c., per essersi aggiudicata all’asta una casa colonica con annesso un terreno che però non poteva essere trasferito a causa della mancanza di autorizzazione amministrativa. Il Tribunale di Pesaro accoglieva la domanda anche con riguardo alla condanna al risarcimento del danno che veniva liquidato in 100mila euro. La Corte d’Appello di Ancona, in parziale riforma della decisione di prime cure, respingeva la domanda risarcitoria perché priva di prova. Quest’ultima pronuncia è oggetto di ricorso per cassazione promosso dalla società, la quale con un unico motivo lamenta la falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. Risarcimento del danno per aver la Corte territoriale respinto la domanda risarcitoria nonostante si trattasse di un danno in re ipsa . Danno patrimoniale da mancato guadagno e danno per il proprietario usurpato. Per risolvere la questione la Cassazione ha osservato che il danno patrimoniale da mancato guadagno deriva dall’omessa consegna dell’immobile aggiudicatosi all’asta dalla ricorrente. Tale danno si concretizza nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione e presuppone la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta. Tanto premesso, precisa il Supremo Collegio, la sentenza impugnata nel respingere la domanda risarcitoria non ha neanche tenuto conto del danno derivante dalla sola indisponibilità del bene. Infatti in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa ” ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus , a cui consegue l’impossibilità di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene stesso . Danno figurativo e risarcibile. In altri termini si tratta di un danno figurativo relativo al valore locativo del cespite usurpato che ben può essere valutato dal giudice per il risarcimento. In conclusione, osservano gli Ermellini, se da una parte la sola vocazione ad uso abitativo ed edilizio della casa colonica non è sufficiente come prova della volontà dello sfruttamento edilizio, dall’altro lato il danno da indisponibilità del cespite, lamentato dal ricorrente, va individuato nel pregiudizio derivante dalle conseguenze del mancato rispetto dei tempi pattuiti per il trasferimento del bene e deve essere riconosciuto quale lucro cessante. Per queste ragioni la Cassazione ha accolto il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 1 febbraio – 28 agosto 2018, n. 21239 Presidente D’Ascola – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione La Edifan s.r.l. proponeva domanda di condanna della Fondazione Agaria Cante di Montevecchio alla stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 2932 c.c., per essersi aggiudicata all’asta svoltasi presso studio notarile, in data 05.06.2000, una casa colonica, con annesso terreno, che però, a causa della mancanza di necessaria autorizzazione amministrativa, non poteva essere trasferito, istanza che veniva accolta dal Tribunale di Pesaro, previo saldo del prezzo, anche quanto alla condanna al risarcimento del danno che veniva liquidato in Euro 100.000,00. In virtù di appello interposto dalla Fondazione, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza della società appellata, che proponeva anche appello incidentale, in parziale accoglimento del gravame principale, rigettato quello incidentale e in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda risarcitoria perché priva di prova, con compensazione del 50% delle spese di lite di entrambi i gradi. Per la cassazione della citata sentenza ricorre la Edifan sulla base di un unico motivo. L’intimata Fondazione non ha svolto difese. Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente notificato al difensore del ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Atteso che - l’unico motivo di ricorso col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. per avere la Corte di appello annullato la statuizione del primo giudice quanto al risarcimento del danno pur trattandosi di danno in re ipsa è fondato nei limiti di seguito illustrati. 11 danno patrimoniale da mancato guadagno nella specie, per omessa consegna dell’immobile aggiudicatosi all’asta dalla ricorrente , concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità e non di mera possibilità il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata tempestivamente adempiuta. Debbono, perciò, escludersi i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito Cass. n. 27149 del 2006 . Nella specie, tuttavia, la sentenza, nel respingere la domanda risarcitoria avanzata, non ha neanche tenuto conto del danno, pure lamentato, derivante dalla sola indisponibilità del bene, che secondo i principi in proposito elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa , ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tali ipotesi, operata, dal giudice, facendo riferimento al cosiddetto danno figurativo , e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato Cass. n. 1562 del 2010 Cass. n. 827 del 2006 Cass. n. 13630 del 2001 Cass. n. 7692 del 2001 . Con la conseguenza che mentre era necessaria la prova della concreta volontà dello sfruttamento edilizio, non potendo evidentemente questa identificarsi con la sola vocazione ad uso abitativo ed edilizio in genere della casa colonica e dell’annesso terreno tali circostanze non escludendo evidentemente che l’acquirente o il cessionario non voglia o non sia in grado di procedere in concreto allo sfruttamento edilizio, tenuto conto anche delle risorse finanziare che si rendono necessarie per attuare un intervento edilizio, senza considerare che le possibilità edificatorie consentite dalle norme urbanistiche vigenti potrebbero essere tali da non permettere di soddisfare le personali esigenze che il soggetto si propone di realizzare , siffatta considerazione, naturalmente, non può valere per il danno lamentato da indisponibilità del cespite, che consiste nel ritardo con cui la controprestazione è stata adempiuta e va individuato nel pregiudizio derivante dalle conseguenze del mancato rispetto - nel trasferimento e nella consegna dell’immobile - dei tempi pattuiti, quale voce di lucro cessante, che andava invece riconosciuto. Quanto poi alla doglianza del mancato riconoscimento della rivalutazione sulla somma di Euro 129.284,65, questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, per cui il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare oltre a darne dimostrazione il risarcimento da maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del, ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta Cass. n. 22273 del 2010 . Nel caso di specie, la ricorrente, nell’atto introduttivo del presente giudizio, ebbe a chiedere la condanna della Fondazione al riconoscimento del maggior danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, sulla corresponsione del capitale a titolo di saldo del prezzo, nonostante il contratto di trasferimento non fosse stato concluso. Trattasi all’evidenza di debito di valuta, per il quale la rivalutazione non era dovuta se non previa prova del maggiore danno, nella specie non fornita. In conclusione, va accolto il ricorso nei limiti di cui sopra la sentenza impugnata va quindi cassata con riferimento alla doglianza accolta, ed il giudizio rinviato, per nuovo esame delle voci di danno alla luce dei principi sopra illustrati, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione cassa la sentenza impugnata nei termini di cui sopra e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.