Uccisa quando viveva da anni con dei familiari di fatto: riconosciuto a questi il diritto al risarcimento del danno

Non ogni forma di convivenza con persona estranea al nucleo familiare consente il diritto al risarcimento ma solo uno stretto, forte e stabile rapporto affettivo, che possa essere ricondotto ad una situazione di famiglia di fatto”.

Così ha deciso la Sesta Sezione della Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 18568/18 depositata il 13 luglio. Il caso. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano rigettato la richiesta risarcitoria per le lesioni mortali riportate da una trasportata su di un’autovettura il cui conducente in sede penale era stato ritenuto corresponsabile per l’omicidio colposo. La domanda è stata promossa dai coniugi presso cui la deceduta viveva da anni, come se fosse stata un membro a tutti gli effetti della famiglia, e che aveva anche indicato quali propri eredi testamentari. I giudici del merito hanno respinto tutte le domande sia quella relativa al danno patrimoniale patito per perdita del contributo dato al menage famigliare e per le spese funerarie affrontate, sia la quella relativa al danno non patrimoniale iure proprio quali conviventi della deceduta, e sia il danno non patrimoniale iure hereditatis per la morte avvenuta a distanza di 6/7 ore dall’evento, ore in cui la vittima era rimasta cosciente secondo il noto insegnamento per cui occorre che vi sia un apprezzabile lasso di tempo tra lesioni e morte per poter riconoscere il danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che assiste lucidamente allo spegnersi della propria vita . La vicenda è stata quindi portata all’attenzione della Cassazione. La situazione di familiarità deve essere valutata caso per caso. La Terza sezione a accolto tutti i motivi di ricorso formulati. Relativamente al danno patrimoniale iure proprio dei sopravvissuti, ha infatti riconosciuto il diritto al risarcimento considerato che la vittima era da anni stabilmente inserita nel nucleo di quella famiglia, nell'ambito della quale era trattata e considerata alla stregua di uno stretto congiunto. La Cassazione si è peraltro premurata di osservare come con l'ordinanza in commento non si voglia affatto affermare il principio di risarcibilità a favore di qualunque forma di convivenza con persona estranea al nucleo familiare, ma occorra invece ogni volta una corretta valutazione delle risultanze di fatto. Nel caso in esame è risultato che la Corte territoriale non abbia tenuto in debito conto i dati fattuali da cui emergeva una situazione di stretta convivenza, tale da giustificare il diritto al risarcimento. Per quanto concerne il danno iure hereditatis , la Terza Sezione ha accolto il motivo di ricorso osservando che la vittima era sopravvissuta al sinistro per un apprezzabile lasso di tempo, nel corso del quale non aveva perso la conoscenza e pertanto aveva acquisito al proprio patrimonio il diritto al risarcimento del danno terminale, da considerarsi sotto il profilo biologico, ma soprattutto sotto il profilo morale. L'evento-morte ha fatto sì che tale diritto consolidatosi in capo alla vittima sia stato da questa trasmesso ai ricorrenti che pertanto avranno diritto di vedersi riconosciuto dal giudice di rinvio. Quanto al danno patrimoniale l'accoglimento del relativo motivo, banalmente, è dovuto all'omessa pronuncia su tale domanda da parte della Corte d'Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 maggio - 13 luglio, n. 18568 Presidente Travaglino – Relatore Gianniti Fatto e diritto Rilevato che 1.La Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 252 del 25/02/2016, nel rigettare l’appello principale, ha confermato la sentenza n. 103/2009 con la quale il Tribunale di Grosseto, Sezione distaccata di Orbetello, aveva respinto la domanda risarcitoria, proposta dai coniugi V.L. e M.L. , quali eredi testamentari di N.M. , loro convivente, in conseguenza del decesso della stessa avvenuto alcune ore dopo il sinistro, occorso alla stessa il omissis mentre, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da ITAS Mutua e da ITAS assicurazioni s.p.a , ha estromesso quest’ultima dal giudizio. Era accaduto che, in data omissis , N.M. , componente di fatto della famiglia V. , nel corso di un sinistro stradale - che aveva interessato l’autovettura Fiat 127 condotta da V.M. assicurata presso ITAS Assicurazioni s.p.a. , nella quale la N. viaggiava da trasportata, e l’autovettura Lancia Thema, condotta da B.R. di proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Grosseto ed assicurato per la RCA presso la Compagnia Assitalia s.p.a. - aveva riportato lesioni personali mortali. Il relativo processo penale, promosso nei confronti del V. e del B. , si era concluso con sentenza n. 220/00 con la quale il Tribunale di Grosseto, ritenuta la pari responsabilità degli imputati nella causazione del sinistro, aveva condannato entrambi per omicidio colposo. Detta sentenza era stata confermata dalla Corte di appello di Firenze con sentenza 20 dicembre 2001 ed era quindi passata in giudicato. Orbene, nel 1995 i coniugi V. -M. avevano convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, il B. , l’Amministrazione provinciale di Grosseto e l’Assitalia S.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all’intervenuto sinistro. I convenuti si erano costituiti in giudizio e, previa autorizzazione giudiziale, avevano chiamato in causa V.M. e la compagnia assicuratrice ITAS Assicurazioni s.p.a Quest’ultima si era costituita in giudizio, eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione passiva e contestando nel merito la domanda attorea. Nel giudizio era intervenuta volontariamente anche la ITAS Mutua in via adesiva rispetto alla compagnia Assicuratrice ITAS Assicurazioni spa. Il Giudice di primo grado, espletata l’istruttoria, con sentenza 103/2009, come sopra rilevato, aveva respinto le domande attoree, dichiarando compensate tra le parti le spese di giudizio. 2. Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono ricorso i coniugi V.L. e M.L. , articolando 4 motivi. Resistono con distinti controricorsi Generali Italia s.p.a. già Assitalia - Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. , nonché la ITAS Assicurazioni s.p.a. e la ITAS Mutua. ritenuto che 1. Il ricorso è fondato. 2.Fondato è il terzo motivo, che viene trattato per primo per motivi di priorità logica, con il quale i ricorrenti V.L. e M.L. denunciano nel contempo, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3, 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.comma degli artt. 2043 e 2059 c.comma e dell’art. 2 Cost., nullità della sentenza e del procedimento, nonché omesso esame di fatto decisivo e controverso. Si lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale, incorrendo nei vizi denunciati, ha loro negato il diritto ad ottenere, iure proprio, il risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito della morte della N In particolare, si lamentano che la Corte d’appello dopo aver premesso che al mero convivente può essere riconosciuta tutela risarcitoria ogniqualvolta venga a crearsi quella comunanza stretta di affetti tipica dei coniugi, ha contraddittoriamente escluso rilevanza alla circostanza che la persona deceduta sia o meno trattata come un parente dagli altri componenti della famiglia ha erroneamente ristretto ai familiari di sangue - o al più al convivente more uxorio della vittima - l’ambito soggettivo dei destinatari della tutela risarcitoria. Sottolineano che dall’espletata istruzione probatoria era risultata provata la circostanza da essi dedotta fin dall’atto introduttivo del processo che la N. era stabilmente inserita, da molti anni, nel nucleo della loro famiglia ed era trattata come vero e proprio stretto congiunto. La censura dei ricorrenti coglie nel segno. È noto che il d. lgs. n. 212/2015, all’art. 1, ha apportato rilevanti modifiche all’art. 90 c.p.p., stabilendo in particolare che, in caso di decesso di persona offesa in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge possono essere esercitati e fatti valere non soltanto dai prossimi congiunti della stessa, ma anche da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente . Dunque, il legislatore penale, nel disciplinare i diritti della persona offesa dal reato, ha equiparato ai prossimi congiunti quei soggetti che, pur non legati da un rapporto di parentela con la persona offesa dal reato, siano alla stessa legati da relazione affettiva e da stabile convivenza . Passando al settore civile, proprio questa Sezione - dopo aver ricordato che Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare ha significativamente aggiunto Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Cost. . Sez. 3, Sentenza n. 4253 del 16/03/2012, Rv. 621634 - 01 . E ancora più di recente è stato precisato che Integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 cod. civ. - giacché lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’art. 2 Cost. - il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti . Di tali principi di diritto la Corte di Appello di Firenze non ha fatto buon governo nel caso di specie, nel quale dai testi assunti anche estranei alla famiglia V. risulta che la N. era da anni stabilmente inserita nel nucleo di quella famiglia, nell’ambito della quale era trattata e considerata alla stregua di uno stretto congiunto. In particolare, è risultato che la N. era convivente presso l’abitazione della famiglia V. quanto meno a partire dall’anno 1989 e che i figli della coppia trattavano la donna come una nonna o come una zia, rivolgendosi alla stessa con uno di tali appellativi. Significativi dello stretto legame affettivo esistente tra i componenti della suddetta famiglia e la N. e del fatto che quest’ultima era socialmente percepita come un effettivo componente della famiglia sono i telegrammi di cordoglio ricevuti dagli odierni ricorrenti dopo il decesso della N In definitiva, il Collegio non intende affatto affermare il principio che qualunque forma di convivenza con persona, estranea al nucleo familiare, consenta il risarcimento, ma tanto ritiene di dover affermare nel caso di specie, nel quale dalle acquisite risultanze istruttorie - ripercorse in ricorso p. 34 ss , non smentite da nessuno dei tre controricorrenti e ignorate nella motivazione della impugnata sentenza - è inequivocabilmente emerso che i coniugi V. -M. erano legati da stretto, forte e stabile rapporto affettivo con la N. , rispetto alla quale - per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale affettivo, particolarmente intensa, risultata esservi tra loro - si ponevano come familiari di fatto. Ne consegue che l’impugnata sentenza deve essere cassata ed il procedimento rinviato alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perché, riconosciuto il diritto jure proprio degli odierni ricorrenti al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al decesso della N. , proceda alla relativa liquidazione. 3.Parimenti fondato è il secondo motivo con il quale i ricorrenti denunciano nel contempo, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.comma 2043 e 2059 c.c., 32 Cost Si lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale, richiamando la sentenza n. 15350/2015 delle Sezioni Unite, ha negato il loro diritto ad ottenere, iure hereditatis, il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla N. in conseguenza delle lesioni che ne determinarono poi il decesso. Si lamentano altresì che la Corte territoriale ha loro negato anche il diritto al risarcimento del danno morale subito dalla N. , sul presupposto che detto danno sarebbe ad essi spettato iure hereditatis mentre loro lo avevano chiesto iure proprio. Deducono che nella specie era ravvisabile un c.d. danno da lucida agonia o danno catastrofale o danno catastrofico , di per sé risarcibile e trasmissibile agli eredi. Sostengono che la Corte territoriale avrebbe dovuto ravvisare il diritto al risarcimento del danno biologico, ovvero, quanto meno, nel caso in cui l’intervallo di tempo intercorso tra evento e morte della N. fosse stato ritenuto troppo breve per fare insorgere il suddetto diritto, il loro diritto ad ottenere, iure hereditatis, il risarcimento del danno morale costituito dalle sofferenze psico fisiche subite dalla N. durante la lucida agonia che aveva preceduto la morte . Anche le suddette censure - che sottendono la problematica del danno biologico e del danno morale terminale - sono fondate nei termini di seguito precisati. È jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte che il danno biologico terminale è configurabile in tutti i casi in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte sent. n. 15350/2015 e che in capo agli eredi è altresì configurabile, a titolo di danno morale, il danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, rendendosi conto della gravità del proprio stato e dell’approssimarsi della morte cfr., tra le più recenti, la sent. n. 901/2018 . Tanto è avvenuto nel caso di specie, nel quale dalle risultanze processuali anche in questo caso acquisite nel giudizio di primo grado, ripercorse in ricorso, non smentite da nessuno dei controricorrenti ed ignorate nel corpus motivazionale della sentenza impugnata è emerso che a la N. , rimasta vittima del sinistro la mattina del omissis , è stata ricoverata con diagnosi di ingresso di politraumatizzato in stato di shock presso l’Ospedale di omissis , dove, dopo essere stata sottoposta ad intervento chirurgico e ad esami radiografici, è stata condotta nella stanza di terapia intensiva b la N. nelle ultime ore di vita sia prima che dopo l’intervento chirurgico al quale era stata sottoposta è rimasta cosciente fatti salvi, ovviamente, gli effetti dell’anestesia , lamentandosi per il dolore e riconoscendo le persone presenti intorno a lei c tra il momento del sinistro e il momento della morte della N. sono decorse complessivamente 6/7 ore. In definitiva, la N. - proprio perché è sopravvissuta al sinistro un appezzabile lasso di tempo, nel corso del quale non ha perso la coscienza - ha acquisito al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno terminale subito anche sotto il profilo biologico, ma soprattutto sotto il profilo morale , diritto che con la sua morte ha poi trasmesso agli odierni ricorrenti i quali, fin dall’atto di citazione, introduttivo del giudizio di primo grado, avevano sostanzialmente richiesto di ottenere, iure hereditatis, il risarcimento del danno non patrimoniale, patito dalla Narconi, unitariamente considerato ex sent. n. 26972/2008 delle Sezioni Unite . Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perché - riconosciuto il diritto degli odierni ricorrenti ad ottenere jure hereditatis il risarcimento per il danno biologico e morale terminale sofferto dalla N. , per lesione della sua integrità psicofisica e per le sofferenze che ne sono seguite - proceda alla relativa liquidazione. 4.Fondato è infine il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti V.L. e M.L. denunciano nel contempo, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, in punto di mancato riconoscimento del loro diritto, iure proprio, al risarcimento del danno patrimoniale, subito in conseguenza della morte della N Invero, dall’atto di citazione in appello riportato in ricorso risulta che era stato articolato uno specifico motivo di impugnazione, rubricato sub 3, con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale di Grosseto non aveva riconosciuto il diritto degli odierni ricorrenti al risarcimento del danno patrimoniale subito a seguito della morte della N. per perdita del contributo che la stessa dava al menage familiare con la propria pensione e per spese funerarie sostenute . Orbene, in ordine a tale domanda, la Corte ha omesso di pronunciarsi. 5. Dall’accoglimento dei primi tre motivi consegue l’assorbimento del quarto ed ultimo motivo, con il quale i ricorrenti, in via subordinata, hanno denunciato, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 2 DM n. 55/2014, sul presupposto che la Corte territoriale, nel regolamentare le spese processuali, li ha condannati al pagamento delle spese processuali liquidandole in Euro 17.628,00 per ciascuna parte costituita , senza considerare che le parti costituite B.R. , Amministrazione Provinciale e Assitalia erano state assistite da un solo difensore che aveva per tutte svolto la medesima attività difensiva , per cui avrebbe dovuto trovare applicazione la norma denunciata. 6. Per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, affinché la stessa, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese processuali tra le parti in relazione al presente giudizio di legittimità, proceda all’esame della domanda di risarcimento del danno patrimoniale, formulata dagli odierni ricorrenti, nonché alla liquidazione del danno non patrimoniale, ad essi spettante jure proprio, e del danno biologico terminale, ad essi spettante jure hereditatis. P.Q.M. La Corte - cassa la sentenza impugnata - in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso - con rinvio alla Corte di appello di Firenze perché, in diversa composizione, proceda a quanto sopra indicato - demanda alla Corte territoriale la regolamentazione delle spese processuali tra le parti in relazione al presente giudizio di legittimità.