La responsabilità del magistrato e il risarcimento dei danni

L'azione di risarcimento del danno cagionato contro lo Stato può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno medesimo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 17011/18 depositata il 28 giugno. Il caso. Il ricorrente dichiarava di aver prestato servizio presso la Procura della Repubblica di Ancona come conducente di autoveicoli speciali ed era stato indagato per aver diffuso notizie riservate e violato il segreto d’ufficio dopo l’arrivo di una lettera anonima indirizzata al Procuratore della Repubblica, nella quale si alludeva a rapporti intercorsi tra il ricorrente stesso e il titolare di un’agenzia investigativa. Il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, poiché il decreto di archiviazione al quale era collegata l’illegittimità del comportamento era stato emesso nel 2002, mentre la domanda, per il risarcimento danni ex artt. 2 e 3 della legge 117 del 1988, era stata presentata nel 2010, quindi oltre il termine di decadenza indicato dalla legge. Il termine previsto dalla legge. Il termine biennale è considerato decorso in quanto la norma in oggetto prevede un unico termine di decadenza di due anni riferibile alle ipotesi di esistenza o meno del rimedio avverso l’atto processuale assunto a fonte del danno. E anche volendo far decorrere il termine di tre anni dalla data dei provvedimenti che avrebbero prodotto il danno, indicato dal ricorrente nel caso di specie, il termine non risulterebbe comunque osservato. Posto che, il ricorrente non ha in alcun modo documentato e individuato con precisione l’atto che avrebbe interrotto il termine triennale di cui sopra, il ricorso risulta inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 ottobre 2017 – 28 giugno 2018, n. 17011 Presidente Di Amato – Relatore Positano Fatti di causa l. Con ricorso del 25 giugno 2010, proposto ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 13 aprile 1988 n. 117, C.G. esponeva di avere prestato servizio presso la Procura della Repubblica di Ancona come conducente di autoveicoli speciali e che, a seguito di una lettera anonima pervenuta a Procuratore della Repubblica in data 18 maggio 2001, nella quale si alludeva a rapporti intercorsi tra il ricorrente e il titolare dell’agenzia investigativa WPS Word Protection Security , era stato indagato in relazione agli articoli 110, 81, 326 e 362 c.p., per avere diffuso notizie riservate e violato il segreto d’ufficio. Con decreto del 31 luglio 2001 il Sostituto Procuratore della Repubblica aveva disposto la perquisizione, in data 3 agosto 2001 sullo stesso C. e sui beni e pertinenze del medesimo. Successivamente, aveva ricevuto comunicazione dell’integrazione delle indagini, per i reati di cui agli articoli 110 e 326 c.p., per avere, i medesimo indagato, divulgato a Ce.Gi. notizie riservate e per tale motivo erano stati acquisiti i tabulati telefonici relativi all’utenza dell’indagato. Con decreto del 16 ottobre 2002 il Gip presso il Tribunale di Ancona aveva fatto propria la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero. Nel frattempo, il Procuratore della Repubblica aveva richiesto al Ministero della Giustizia il trasferimento di C. , attesa l’incompatibilità ambientale e il Direttore Generale, con decreto del 12 dicembre 2003, in sede disciplinare aveva dichiarato non luogo a procedere. In conseguenza di tali condotte il ricorrente lamentava di avere subito un danno ingiusto richiedendo, conseguentemente, di dichiarare ammissibile il procedimento teso ad ottenere il risarcimento dei danni nei confronti dello Stato italiano per l’attività posta in essere legittimamente dal Procuratore della Repubblica e dal Sostituto Procuratore della Repubblica. 2. Costituitasi la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Tribunale dell’Aquila, con decreto dell’11 novembre 2010, dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto il decreto di archiviazione al quale era collegata l’illegittimità del comportamento dei due magistrati, era stato emesso in data 16 ottobre 2002, mentre la domanda ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge n. 117 del 1988 era stata proposta il 25 giugno 2010, oltre il termine di decadenza di due anni. 3. Avverso tale decreto proponeva reclamo il C. in data 25 novembre 2010, deducendo che il risarcimento del danno riguardava l’accusa di presunta diffusione di notizie in favore dell’agenzia investigativa WPS, rispetto alla quale non vi era stata alcuna comunicazione di archiviazione. 4. Con decreto del 5 novembre 2013 la Corte d’Appello dell’Aquila rigettava reclamo, con condanna di C.G. al pagamento delle spese di lite. 5. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.G. affidandosi a un unico motivo. Resiste in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri con atto denominato comparsa di costituzione. All’udienza camerale del 17 novembre 2016 la Sesta Sezione Civile di questa Corte, sulla base di una proposta d’inammissibilità per tardività dei ricorso e successiva allegazione di parte della tempestività della notifica, contenuta nelle memorie, disponeva il rinvio alla pubblica udienza. Il ricorrente deposita memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico. 2. Con l’unico motivo di ricorso C.G. deduce la violazione della legge n. 117 del 1988, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. e a nullità del decreto o del procedimento, ai sensi dell’articolo 360, n. quattro c.p.c, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. Rileva, in particolare, l’errore della Corte territoriale che fonda la propria motivazione sul fatto che il procedimento penale che riguarda Ce. doveva essere considerato il medesimo che coinvolge l’agenzia investigativa WPS. Questo in quanto il decreto di archiviazione contiene il riferimento esclusivo a Ce. e non riguarda tutte le ipotesi criminose prospettate dalla Procura della Repubblica. Sotto altro profilo il provvedimento impugnato avrebbe violato l’articolo 4 della legge n. 117 dei 1988. In particolare, il termine di due anni avrebbe dovuto essere computato dalla data del rimedio giudiziario che, nel caso di specie, andava riferito all’obbligo di archiviazione, non potendosi utilizzare la lettera anonima. In terzo luogo, non risulta applicabile neppure l’ipotesi del termine di tre anni riferito alla data del fatto che ha cagionato il danno, in quanto il termine decorrente dagli atti di indagine espletati risulterebbe osservato, in quanto il C. si era rivolto al Tribunale dell’Aquila nell’anno 2007, senza l’assistenza di un avvocato, con la conseguenza che il procedimento era stato dichiarato nullo. 3. Ricorso, che pure presenta profili di inammissibilità, per difetto di autosufficienza e per genericità delle doglianze, è infondato. 4. In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto della censura, riferito al fatto che il procedimento archiviato non sarebbe quello nell’ambito del quale il ricorrente risulterebbe iscritto nel registro degli indagati, C. omette di allegare o trascrivere il testo o individuare l’allocazione del decreto di archiviazione del Gip e la precedente richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero al fine di consentire di verificare quanto sostenuto. 5. Sotto altro profilo, la doglianza appare affetta da genericità, poiché il ricorrente si limita ad affermare, in maniera apodittica, che si tratterebbe di due procedimenti, senza fornire alcun elemento di riscontro a tale affermazione. 5. In ogni caso la censura è infondata non essendo contestabile che il procedimento sia stato unico e che è stato chiuso con l’archiviazione. L’omessa esplicita menzione di un’ipotesi di reato, in presenza della sola richiesta coi archiviazione e in assenza di un contestuale esercizio dell’azione penale, non consente di escludere la totale definizione del procedimento. 7. Analogamente, anche il secondo profilo, con il quale il ricorrente sostiene che nell’ipotesi in esame il rimedio apprestato dall’ordinamento consisterebbe nel fatto stesso che la Procura della Repubblica non avrebbe dovuto iscrivere il ricorrente al registro degli indagati, è destituito di fondamento per difetto di specificità. Tale profilo, al di là della apoditticità della affermazione che si risolve in una petizione di principio , non coglie nel segno perché il riferimento va rapportato ai provvedimenti che hanno disposto la perquisizione e l’acquisizione dei tabulati. 8. Infine, sulla base del tenore letterale dell’articolo 4, comma 2, secondo la lettura condivisa anche dal ricorrente, il termine biennale sarebbe comunque decorso in quanto, come osservato dalla Corte territoriale, la norma prevede un unico termine di decadenza di due anni riferibile alle due ipotesi dell’esistenza o meno del rimedio avverso l’atto processuale assunto a fonte di danno. In entrambi i casi il termine sarebbe decorso. 9. La Corte d’Appello dell’Aquila rileva, altresì, che anche volendo far decorrere il termine di tre anni, previsto dal comma 3 della norma, dalla data dei provvedimenti che, secondo l’assunto del ricorrente, avrebbero prodotto un danno e, rispettivamente, dal 31 luglio 2001, data della perquisizione ovvero, dal 9 novembre 2001, data in cui è stata disposta l’acquisizione dei tabulati telefonici, il termine non risulterebbe, comunque, osservato. 10. Tale motivazione è oggetto dell’ultima argomentazione dell’unico motivo di ricorso, con la quale il ricorrente sostiene che il termine di tre anni risulterebbe osservato, in quanto il C. si è rivolto al Tribunale dell’anno 2007, senza l’assistenza di un avvocato. 11. La doglianza è inammissibile, sia perché introduce una questione che non risuita dal decreto impugnato, sia per difetto di autosufficienza, non avendo in alcun modo documentato e neppure individuato con precisione ma neppure definito l’atto che avrebbe interrotto il termine triennale previsto dalla norma. 12. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della insussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.