Permesso di costruire: la validità del regolamento comunale

Il funzionario tecnico del Comune non è tenuto a valutare la legittimità o meno della norma del regolamento comunale, avente ad oggetto il rilascio dell’autorizzazione a costruire nuovi edifici o sopraelevazione di fabbricati già esistenti, essendo al contrario solo tenuto a dare attuazione alla previsione regolamentare.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 15406/18 depositata il 13 giugno. Il caso. Con apposito regolamento urbanistico,il Comune concedeva ai ricorrenti il permesso di costruire per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e sopraelevazione di un edificio già esistente, con demolizione delle precedenti murature. Su richiamo di una proprietaria vicina di casa, il TAR annullava detto permesso autorizzativo per la violazione della norma nazionale di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 che vieta la realizzazione di nuovi edifici a distanza inferiore di dieci metri tra pareti finestrate. Per il risarcimento dei danni derivanti dai lavori effettuati prima del ricorso della vicina, i predetti ricorrenti chiamavano in giudizio, dinanzi al Tribunale, il Comune per aver colpevolmente rilasciato il permesso e il Giudice rigettava la domanda non riconoscendo in capo al Comune convenuto l’aver agito con dolo o colpa grave. Aditi allora i Giudici dell’appello, anche questi sostenevano che non incombeva alla diligenza dei funzionari comunali la consapevolezza dell’intervenuta modifica giurisprudenziale prevalente al momento del rilascio del permesso a costruire. Pertanto, i ricorrenti chiedono la cassazione della sentenza. Le funzioni dell’amministrazione comunale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il funzionario tecnico non è tenuto a valutare ex se la legittimità o meno della norma del regolamento comunale, essendo solo tenuto a dare attuazione alla previsione regolamentare ed inoltre, il comportamento del Comune può essere sanzionato solo con riferimento alla emanazione di detto regolamento e non anche alla successiva evoluzione giurisprudenziale invocata a livello nazionale dai ricorrenti. Per giunta, la valutazione della scusabilità o meno dell’errore commesso dalla Pubblica Amministrazione nell’emanazione di un provvedimento illegittimo, causa di danno, non è censurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 4 maggio – 13 giugno 2018, n. 15406 Presidente De Stefano – Relatore Iannello Rilevato in fatto 1. R.M.T. , U.G. e Ga. , comproprietari di un immobile sito nel comune di Bagno a Ripoli, ottenevano in data 31/3/2006 il permesso di costruire per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e sopraelevazione, ai quali davano quindi inizio in data 15/4/2006 con la demolizione delle murature del fabbricato esistente. Su ricorso della proprietaria di un immobile sito nelle vicinanze, il Tar Toscana, previa sospensiva, annullava, con sentenza in data 19/12/2008, detto atto autorizzativo nonché il presupposto art. 42, comma 14, del Regolamento urbanistico del Comune, per violazione dell’art. 9 d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che vieta la realizzazione di nuovi edifici a distanza inferiore di 10 metri tra pareti finestrate. Per il risarcimento dei danni derivanti dai lavori già eseguiti prima che fosse loro notificato il ricorso della vicina, i predetti convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Firenze l’architetto M.F. , funzionaria del Settore edilizia del Comune di Bagno a Ripoli, e lo stesso Comune, ritenuti responsabili ex art. 2043 cod. civ. per aver colpevolmente rilasciato il permesso di costruire sulla base di una norma comunale risultata poi illegittima in quanto in contrasto con la legge nazionale. Instaurato il contraddittorio il tribunale, con sentenza del 10/7/2013, rigettava la domanda ritenendo che nessuno dei convenuti avesse nell’occorso agito con dolo o colpa grave. Quanto all’arch. M. rilevava, infatti, che essa aveva agito in conformità a quanto previsto dalla legge regionale n. 1 del 2005 ed alle previsioni contenute nel Regolamento urbanistico comunale vigente al tempo, avendo rilasciato il titolo abitativo in conformità alla previsione di quest’ultimo regolamento, dovendosi conseguentemente escludere anche la responsabilità dell’amministrazione ex art. 28 Cost Per quanto riguarda l’ente il tribunale rilevava che - la previsione, contenuta nell’art. 42 del Regolamento urbanistico, secondo cui, nei casi consentiti di sopraelevazione sul perimetro di fabbricato esistente, non trovavano applicazione i limiti di cui all’art. 9 d.m. n. 1444 del 1968, era giustificata dal convincimento che le sopraelevazioni non costituissero nuovi edifici ai sensi di quest’ultima disposizione - tale convincimento, risultato bensì erroneo alla luce della menzionata sentenza del Tar, doveva considerarsi frutto di un errore scusabile, data la presenza, al tempo della emanazione della norma locale, di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione del concetto predetto. 2. Il gravame interposto dagli attori è stato rigettato dalla Corte d’appello di Firenze, avendo questa ritenuto inconferenti le censure mosse alle condivise argomentazioni del primo giudice. 2.1. Quanto in particolare alla posizione del funzionario comunale ha infatti ritenuto non pertinente il riferimento degli appellanti all’interpretazione giurisprudenziale prevalente al momento in cui fu emanato il provvedimento impugnato, circa la nozione di nuova costruzione, osservando che non incombeva certo alla diligenza del dipendente pubblico l’eventuale disapplicazione di un regolamento emanato dall’ente sulla base di un’interpretazione normativa del tutto estranea ai suoi compiti istituzionali . 2.2. Con riferimento poi alla posizione dell’ente comunale -premesso che il primo giudice ha parametrato la relativa valutazione alla normativa di settore vigente al momento in cui fu emanato l’art. 42 del Regolamento urbanistico e alla corrispondenza di questo, in quel momento, a criteri di legittimità, e rilevato altresì che gli appellanti non avevano in alcun modo contraddetto in modo esplicito tale impostazione - ciò premesso, la Corte territoriale ha rilevato che gli appellanti si sono limitati a ribadire il consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di sopraelevazione quale vigente al momento in cui fu emesso il permesso a costruire, tanto da imputare all’ente il fatto di non aver adeguato tempestivamente la normativa urbanistica al sopravvenuto consolidamento della giurisprudenza in materia di nuova costruzione. Ha però al riguardo rilevato che tale assunto non è accettabile dato che, posta la legittimità del regolamento vigente, la consapevolezza della intervenuta modifica della giurisprudenza prevalente al momento del rilascio del permesso a costruire non poteva che far carico alla diligenza dei richiedenti e dei loro professionisti , di modo che gli appellanti non possono ascrivere al Comune il loro affidamento sulla legittimità dell’intervento, ma alla loro negligente valutazione della evoluzione giurisprudenziale in materia , escludendo per contro che questa imponesse necessariamente un adeguamento dell’ente in assenza di una modifica legislativa . trattandosi in ogni modo di interpretazioni variabili e non del tutto omogenee . 3. Avverso tale decisione R.M.T. , U.G. e Ga. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resistono entrambi gli intimati, depositando controricorso. Questi ultimi hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 1176 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello escluso la colpa del funzionario comunale e della P.A. nonostante questi abbiano tenuto una condotta non diligente, secondo la valutazione che occorre compiere sulla base di una diligenza esigibile superiore a quella del cittadino medio ma piuttosto propria del modello astratto di riferimento di pubblica amministrazione e di pubblico impiegato. Rilevano che è impensabile che un’amministrazione comunale e i tecnici che ne fanno parte possano non sapere che la norma edilizia contenuta nel regolamento sia in palese conflitto con la normativa nazionale sovraordinata, sia con l’incessante giurisprudenza contraria che nel frattempo si era sostanzialmente consolidata. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano inoltre vizio di motivazione illogicità e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti , ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ Lamentano che la Corte argomentando sulla correttezza dell’agire amministrativo in merito al giudizio del Tar e del conseguente indirizzo giurisprudenziale ondivago e ponendo addirittura a carico dei ricorrenti l’onere di diligenza e prudenza nell’osservanza di norme di legge e dei conflitti giurisprudenziali, ha di fatto sbilanciato gli equilibri , postulando un onere gli diligenza maggiore a carico dei privati-cittadini rispetto a quella invece richiesta nei confronti della P.A 3. Il primo motivo è inammissibile sia perché aspecifico, non cogliendo la ratio della decisione impugnata, sia perché, al di là della indicazione in rubrica di un error in iudicando, attinge una quaestio facti, risolvendosi nella prospettazione e nella conseguente sollecitazione di una nuova valutazione di merito, inammissibile in questa sede. Sotto il primo profilo va rilevato che, con riferimento ad entrambe le posizioni, gli appellanti sostengono che la diligenza dell’uno e dell’altro convenuto e correlativamente la valutazione circa l’imputabilità a colpa del comportamento tenuto nella fattispecie avrebbe dovuto essere valutata tenendo presente le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza prevalente al momento in cui fu rilasciato il permesso di costruire. Tesi censoria evidentemente inconferente rispetto alle considerazioni poste a fondamento della decisione impugnata secondo cui a il funzionario tecnico non era proprio tenuto a valutare ex se la legittimità o meno della norma del regolamento comunale che consentiva le sopraelevazioni di fabbricati esistenti a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 9 d.m. cit., essendo al contrario proprio e solo tenuta a dare attuazione alla previsione regolamentare b il comportamento del Comune può essere sindacato soltanto con riferimento all’emanazione della detta norma regolamentare e quindi avuto riguardo alla interpretazione della norma quale ricavabile dai formanti giuridici presenti in quel momento, non già alla successiva evoluzione giurisprudenziale invocata a parametro dagli appellanti. Sotto il secondo profilo va comunque rammentato che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione della scusabilità o meno dell’errore commesso dalla P.A. nell’emanazione di un provvedimento illegittimo causa di danno non escludibile certamente a priori per il solo dato della illegittimità del provvedimento e da compiersi con riferimento al caso concreto in base ad accertamento da effettuarsi ex ante dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione v. Cass. 05/06/2007, n. 13061 09/02/2004, n. 2424 . 4. Il secondo motivo, peraltro ripetitivo della medesima censura, si appalesa poi inammissibile in quanto evocativo nella sostanza di parametro censorio quello della illogicità della motivazione non più consentito dal novellato testo dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. nessuna conferente illustrazione avendo invece il riferimento in rubrica ad omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti . 5. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti tra loro in solido per l’identità di posizione processuale al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna in solido i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 2.050 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.