Auto danneggiata da un cinghiale, onere risarcitorio tra Regione e Provincia: chi è il responsabile?

La responsabilità aquiliana deve essere imputata all’ente Regione o Provincia al quale siano stati in concreto affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonoma decisione sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino .

Lo ha affermato la Cassazione con ordinanza n. 13488/18, depositata il 29 maggio. Il caso. Il Tribunale condannava la Regione Lazio e l’Amministrazione provinciale di Rieti al risarcimento dei danni patiti dall’attore a causa dei danneggiamenti alla sua auto provocati dalla collisione con un cinghiale improvvisamente comparso sulla strada. La Corte d’Appello, adita dalla provincia di Rieti, dichiarava nulla la sentenza di prime cure per motivi processuali, e decideva nel merito la domanda risarcitoria condannando esclusivamente la Provincia al risarcimento dei danni. Secondo i Giudici di seconde cure il comportamento colposo poteva essere ascritto solo all’Amministrazione provinciale, la quale avrebbe dovuto esercitare il potere di adottare misure necessarie per prevenire i danni causati dagli animali selvatici, ai sensi del d.lgs. n. 267/2000 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali . Mentre, precisa la Corte territoriale, alla Regione Lazio non poteva essere mosso nessun rimprovero negli stessi termini, esercitando soltanto funzioni di programmazione e di coordinamento della pianificazione faunistica . Contro la decisione di merito la Provincia di Rieti ha proposto ricorso per cassazione lamentando, con il primo motivo, che la Corte d’Appello erroneamente avrebbe valutato i fatti ai sensi dell’art. 2043 c.c., invece che dell’art. 2052 c.c. Danno cagionato da animali , in questo modo attribuendo obblighi di vigilanza alla ricorrente che sarebbero attribuibili alla Regione. Inoltre, sostiene la ricorrente, con la seconda doglianza, che tra le ragioni per le quali la Provincia provvede al controllo della fauna selvatica all’interno dell’art. 35, l. r. n. 17/1995 non si fa menzione ai danni cagionati alla circolazione di veicoli. Potere di controllo tra Regione e Provincia. La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi di ricorso. In particolare, osserva il Collegio, i poteri di controllo spettano sia alla Regione che alla Provincia. Ciò posto l’art. 14 l. n. 142/1990 Ordinamento delle autonomie locali attribuisce alle Province la protezione della fauna selvatica nelle zone che interessano il territorio provinciale. Mentre alla Regioni la l. n. 157/1999 attribuisce il compito di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica e dispone che le Province attuino la disciplina regionale. Quindi la Regione, avente competenza legislativa, hanno attribuito alla Province, aventi funzioni amministrative e di controllo, tutti i compiti rilevanti ai fini della gestione della fauna selvatica. Inoltre è previsto che le Province stipulino della polizze specifiche per assicurarsi per il risarcimento dei danni ed la Provincia è anche stata ritenuta responsabile per l’erogazione di indennizzi gravanti sul fondo regionale in relazione ai poteri ad essa connessi. La responsabilità per i danni causati da animali randagi. Infine la Cassazione ha evidenziato che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non delle regole di cui all’art. 2052 c.c Per queste ragione i Giudici di legittimità hanno ritenuto corretta la valutazione della Corte territoriale circa la responsabilità della fauna selvatica e dell’attribuzione del suo controllo esclusivamente alla Provincia di Rieti. In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 febbraio – 29 maggio 2018, n. 13488 Presidente Amendola – Relatore Pellecchia Fatto e diritto Rilevato che 1. Nel 2009, F.S. conveniva dinanzi al Tribunale di Rieti la Regione Lazio e l’Amministrazione provinciale, per sentirle condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla collisione della sua auto con un cinghiale che improvvisamente gli attraversava la strada riportando all’esito danni meccanici e di carrozzeria. Il Tribunale adito, con sentenza 243/2009, condannava i convenuti in solido al risarcimento del danno, applicando l’art. 2052 cc. 2. Avverso detta sentenza, proponeva appello la provincia di Rieti eccependo la nullità della sentenza per omessa fissazione, ad opera del giudice di primo grado, dell’udienza di precisazione delle conclusioni la Regione Lazio proponeva appello incidentale. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 5941, del 7 ottobre 2016, dichiarava nulla la sentenza di primo grado, accogliendo il primo motivo dell’appello principale, e decideva nel merito la domanda proposta in quel grado dal F. . Ad avviso del Giudice di seconde cure, emergeva dalla istruttoria effettuata un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico, ovvero l’omissione di qualsivoglia cautela atta ad impedire il vagare incontrollato di animali selvatici, comportamento incidente eziologicamente sul danno patito dal F. . Ed il potere di adottare le misure necessarie per prevenire i danni causati dagli animali selvatici D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 , poteva essere esercitato solo dalla Provincia di Rieti, mentre alla Regione Lazio non poteva essere mosso alcun rimprovero negli stessi termini, esercitando soltanto funzioni di programmazione e di coordinamento della pianificazione faunistica. Pertanto, la Corte territoriale condannava la provincia di Rieti al risarcimento dei danni in favore del F. . 3. Avverso la predetta sentenza l’Amministrazione provinciale di Rieti propone ricorso per cassazione, con tre motivi. F.S. e la Regione Lazio resistono con controricorso. 3.1. È stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. Considerato che 4. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 2052 c.c., agli artt. 14, comma III, 95 D.P.R. 495/1992 e all’art. 14 D.Lgs. 285/1992 art. 360, n. 3, c.p.c. , omesso esame di un fatto decisivo art. 360, n. 5, c.p.c. , in quanto il giudice d’appello avrebbe errato perché pur valutando i fatti ai sensi dell’art. 2043 c.c. di fatto applicava invece l’art. 2052 c.c., ritenendo sussistente in capo alla provincia di Rieti gli obblighi di vigilanza sul tratto stradale, che invece ricorrono in capo alla Regione, come previsto dall’art. 95 D.P.R. 495/92 e 14 D.Lgs. 285/1992. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 243 c.c., in relazione all’art. 9, 1. 157/1992 artt. 9, 35 comma II, comma 42, L.R. 17/95 all’art. 19, comma 1, lettera E ed F d. Lgs. 267/2000 all’art. 9, 1. 157/1992 all’art. 14, comma I, lettera F, 1. 142/1990 art. 360, nn 3 e 5, cpc osservando che l’art. 35, comma II, L.R. 17/95 nell’elencare le ragioni per cui la Provincia provvede al controllo della fauna selvatica, non fa menzione dei danni cagionati alla circolazione dei veicoli. Alle stesse conclusioni si perviene considerando il disposto delle lettere E ed F dell’art. 19, comma I, d.lgs. 267/2000. Ancora, la legge 157/1992, all’art. 9, demanda le funzioni di controllo alle Regioni. I motivi sono infondati. Occorre innanzitutto stabilire se i poteri di controllo della fauna selvatica spettino alla Regione o alla Provincia o ad entrambe . Problema da risolvere con riguardo sia alle leggi nazionali che regolano le rispettive competenze, sia alle leggi della regione interessata, e che quindi è suscettibile di diversa soluzione, nell’ambito della potestà legislativa regionale. L’art. 14 della legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali attribuiva alle Province le funzioni amministrative che attengano a determinate materie, fra cui la protezione della fauna selvatica 1 comma lett. f , nelle zone che interessino in parte o per intero il territorio provinciale. La legge 11 febbraio 1992 n. 157, attribuisce, invece, alle Regioni a statuto ordinario il compito di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica art. 1, 1 comma e dispone che le Province attuino la disciplina regionale ai sensi dell’art. 14, 1 comma lett. i della legge 8 giugno 1990 n. 142 art. 1, 3 comma , cioè in virtù dell’autonomia ad esse attribuita dalla legge statale non per delega delle Regioni. Da tali disposizioni si evince che la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alle Province spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione, nell’ambito del loro territorio. Per quanto poi concerne la Regione, alcune leggi regionali hanno attribuito alle Province tutti i compiti rilevanti ai fini della gestione della fauna selvatica l’istituzione delle oasi di protezione e la loro soppressione l’istituzione e la soppressione delle zone di ripopolamento e di cattura l’immissione di nuovi capi la determinazione della superficie adeguata alle esigenze biologiche degli animali la realizzazione delle attrezzature e degli interventi tecnici atti a perseguire gli scopi di protezione e di incremento delle specie attività tutte che possono comportare maggiori o minori rischi di interferenze degli animali con le attività esterne, in relazione alle modalità con cui vengano esplicate. Un eccesso di popolamento, la determinazione poco accorta dei luoghi in cui gli animali trovano cibo ed acqua, l’assetto e le modalità di delimitazione del territorio in relazione alla prossimità con le strade pubbliche, ecc., possono incrementare i rischi di interferenze con la circolazione dei veicoli. È inoltre previsto che le Province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni, senza espressa limitazione ai danni alle coltivazioni e non altrimenti risarcibili, menzionati nel primo comma. Nell’ambito dei danni non altrimenti risarcibili - si riconosce che l’ente gestore del territorio, tenuto all’indennizzo e interessato alla stipula dell’assicurazione, è la Provincia, pur se essa possa provvedere anche tramite l’utilizzazione di fondi regionali. È anche stata ritenuta direttamente responsabile la Provincia, anziché la Regione, con riguardo all’erogazione degli indennizzi gravanti sul fondo regionale, in considerazione del fatto che i poteri connessi erano esercitati dalla Provincia. Pertanto è da ritenere che la responsabilità aquiliana per i danni a terzi debba essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino. Inoltre la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’art. 2052 c.c. non è quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilità dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalità omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e ciò nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura Cass. 18954/2017 . Nel caso di specie la Corte di Appello di Roma correttamente ha ritenuto che la responsabilità della fauna selvatica e del suo controllo era stato attribuito nello specifico dalla Regione alla provincia di Rieti sulla base della legge Regionale n. 17 del 2 maggio 1995 art. 35, II comma, e pertanto ha condannato quest’ultima al risarcimento del danno subito dal F. perché la Provincia, quale ente titolare dei poteri di controllo e censimento della fauna selvatica non ha attuato i piani selettivi e di controllo della fauna selvatica. La corte territoriale ha affermato, in linea con i principi di questa Corte, che la Regione Lazio esercita la funzione di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistica, mentre spettano alle Province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica secondo quanto previsto dal D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 art. 19 comma 1, lett. e. E, con congrua e logica motivazione, la Corte territoriale ha individuato con specifico riferimento agli esiti della prova testimoniale, in punto di ciò che si poteva fare e non è stato fatto, il concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico. Per quanto riguarda poi la custodia della strada trattasi di questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata. Inoltre le deduzioni in ordine alla imprevedibilità e inevitabilità del pericolo sono questioni di merito non sindacabili in questa sede. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, II comma, c.p.c Erronea e contraddittoria motivazione sul punto art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. . Si eccepisce che la Corte territoriale abbia applicato i criteri della soccombenza in modo diametralmente opposto con riguardo ai due enti convenuti. Il motivo è inammissibile. Il Giudice ha deciso secondo il principio della soccombenza. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.