La familiarità della minore con i social network non salva Yahoo.it dal risarcimento del danno per la pubblicazione della foto

Confermata la sentenza del Tribunale di Milano che nel 2013 aveva affermato la responsabilità di Yahoo! Italia per aver violato il diritto all’immagine e alla riservatezza di una minorenne.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza del 23 maggio 2018, n. 12855 ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che nel 2013 aveva affermato la responsabilità di Yahoo! Italia per aver violato il diritto all’immagine e alla riservatezza di una minorenne. Il fatto contestato riguardava la pubblicazione di alcune fotografie che ritraevano la minore insieme alla sua famiglia mentre faceva shopping per le vie di Milano pubblicazione che non aveva trovato il gradimento dei genitori che avevano chiesto il risarcimento del danno quantificato, poi, dal Tribunale in 15.000 euro. Yahoo.it come mero hosting? Nessun rilievo, quindi, ha avuto la tesi difensiva di Yahoo Italia nel sostenere la sua estraneità e mancanza di responsabilità fondata sulla sua affermata qualità di hosting ” e cioè come mero prestatore di servizi della società dell’informazione del semplice trasporto delle informazioni fornite dai terzi destinatari del servizio. Ed infatti, per la Cassazione quell’affermazione contrasta con l’accertamento di merito – non più sindacabile - che ha svolto il Tribunale secondo cui, nel caso di specie, Yahoo Italia non ha operato limitandosi a fornire spazio virtuale nella rete per contenuti realizzati e diffusi da terzi, ma è il soggetto cui fa diretto riferimento la gestione del sito . La familiarità della minore con i social network. Neppure i motivi di ricorso volti a contestare l’esistenza e l’ammontare del danno sono stati accolti dalla Corte. Da una parte, nessun rilievo nel giudizio può avere la circostanza addotta da Yahoo.it che la pubblicazione dell’immagine di un minore non è illecita in sé, ma solo se gli arreca un danno e che nel caso di specie non vi era danno dal momento che la foto ritraeva la minore durante una giornata di shopping per le vie di Milano con la famiglia. Neppure poteva valere che la minore già era esposta ai media ed ha sempre gestito con piena consapevolezza la sua immagine, pubblicando centinaia di fotografie sui social networks cui è iscritta, nelle quali essa si ritrae in atteggiamenti assai più delicati ed intimi rispetto a quelli della fotografia contestata che, peraltro, compare nel suo stesso profilo Facebook . Come si liquida il danno? Dall’altra parte, una volta allegato e provato il danno conseguenza il Giudice deve provvedere alla liquidazione del danno che non potrà che essere una valutazione equitativa. E certamente questo modus procedendi non è un liquidare un danno in re ipsa il Giudice del merito, in fondo – osserva la Cassazione – ha tenuto in debito conto del numero delle immagini, del periodo della pubblicazione, dell’età del soggetto e di ogni altro elemento del caso di specie Unicità del fatto, unicità del processo. Da ultimo, è bene richiamare anche un passaggio fondamentale della sentenza nella parte in cui ha rigettato un’eccezione processuale di Yahoo.it con quale quest’ultima lamentava la scelta del rito speciale per la violazione delle regole in materia di privacy e, cioè, quelle previste dal combinato disposto del d.lgs. 196 del 2003 e del decreto semplificazione dei riti d.lgs. 150/2011 anche alla parte della domanda fondata sulla lesione del diritto all’immagine. Rito speciale che prevede un solo grado di giudizio e, quindi, nessun doppio grado ma soltanto ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale in primo ed unico grado. Per la Cassazione, però, il motivo di ricorso non è fondato in quanto in presenza di un unico fatto illecito il danneggiato non può legittimamente frazionare la tutela giurisdizionale, condotta che sarebbe lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede per l’aggravamento della posizione del danneggiante debitore e si risolverebbe in un abuso dello strumento processuale, concludendo nel senso che le domande sono state bene proposte innanzi ad un unico giudice, proprio tenuto conto della richiesta tutela della riservatezza dei propri dati .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 marzo – 23 maggio 2018, n. 12855 Presidente Giancola – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 24 dicembre 2013, il Tribunale di Milano ha accolto le domande proposte da M.A. ed N.A. , quale esercenti la potestà genitoriale sulla figlia As. , volte alla condanna di Yahoo Italia s.r.l. al risarcimento del danno per la violazione dei diritto all’immagine ed alla riservatezza della medesima, liquidandolo nella misura di Euro 15.000,00, in relazione alla pubblicazione di alcune fotografie della figlia insieme a familiari. Il giudice del merito ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che a la domanda fu correttamente proposta ex art. 152 d.lgs. n. 196 del 2003, sia in relazione alla tutela dei dati personali sia all’immagine del soggetto, in quanto si trattava di un unico fatto illecito, non è ammesso il frazionamento dei giudizi per far valere diversi crediti dal danneggiato ed il diritto all’immagine è tutelato da una pluralità di disposizioni, con esigenza di una cognizione unitaria b sussiste la responsabilità della convenuta per l’assenza di interesse pubblico all’immagine della minore e di utilità sociale della notizia, dovendo liquidarsi il danno come detto, in ragione della pubblicazione di numerose immagini di una quindicenne e del fatto che esse sono state diffuse anche attraverso altri siti dalla minore medesima. Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, sulla base di cinque motivi. Resistono gli intimati con controricorso. Le parti hanno depositato, altresì, la memoria. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 40 cod. proc. civ., 96 ss. l. 22 aprile 1941, n. 633, 152 d.lgs. n. 196 del 2003, 4 d.lgs. n. 150 del 2001, dal momento che l’art. 40 cit. esigeva la trattazione con il rito ordinario, salva la separazione delle cause, essendo stata privata invece la ricorrente del doppio grado di merito, in tal modo vedendo limitate le proprie difese. Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 16 e 17 d.lgs. n. 70 del 2003, oltre all’omesso esame di fatto decisivo, perché essa è mero fornitore dei servizi di hosting, mettendo quindi a disposizione spazi web ai terzi, che vi caricano i loro contenuti, dei quali il gestore non è responsabile, come prevedono le norme menzionate il giudice del merito senza motivazione ha negato che solo questo fosse il ruolo di Yahoo, che peraltro rimosse i contenuti non appena richiesto. Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione delle norme del d.lgs. n. 196 del 2003, del codice deontologico dei giornalisti, della Carta di Treviso e della l. n. 176 del 1991, oltre che omesso esame di fatto decisivo, perché il giudice ha completamente trascurato che la pubblicazione dell’immagine di un minore non è illecita in se stessa, ma solo se gli arreca un danno, e ciò specie ove il minore sia ritratto in luoghi pubblici, insieme ai familiari, in un momento di svago qual era un sereno pomeriggio di acquisti nel centro di Milano insieme alla mamma ed alla nonna. Con il quarto motivo, deduce l’omesso esame di fatto decisivo, consistente nella circostanza che la ragazza, sin dalla più tenera età, era esposta ai media ed ha sempre gestito con piena consapevolezza la sua immagine, pubblicando centinaia di fotografie sui soda networks cui è iscritta, nelle quali essa si ritrae in atteggiamenti assai più delicati ed intimi, rispetto al sereno pomeriggio di shopping di una quasi sedicenne insieme ai familiari, oggetto delle fotografie contestate addirittura, una di queste foto, inoltre, compare sul suo stesso profilo facebook. Con il quinto motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 2050 e 2697 cod. civ., per avere in sostanza ritenuto il danno in re ipsa, essendo mancata del tutto la prova dell’esistenza di un pregiudizio. 2. - Il primo motivo è infondato. Secondo l’interpretazione della domanda data dal giudice del merito, essa fu proposta, ai sensi dell’art. 152 d.lgs. n. 196 del 2003, sia per la violazione del diritto alla protezione dei propri dati personali, sia per la lesione del diritto all’immagine, posto che la danneggiata denunziò un unico fatto illecito, optando per il rito speciale, proprio perché, nel caso peculiare, si consentiva l’individuazione della minore mediante le fotografie pubblicate. Onde non erra il giudice del merito neppure nel ricordare che, in presenza di un unico fatto illecito, il danneggiato non può legittimamente frazionare la tutela giurisdizionale, condotta che sarebbe lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede per l’aggravamento della posizione del danneggiante debitore e si risolverebbe in un abuso dello strumento processuale, concludendo nel senso che le domande sono state bene proposte innanzi ad un unico giudice, proprio tenuto conto del richiesta tutela della riservatezza dei propri dati. 3. - Il secondo motivo è infondato. L’assunto della ricorrente è di essere mero prestatore di servizi della società dell’informazione, quale hosting , ovvero offerta di accesso alle reti di comunicazione elettronica o semplice trasporto delle informazioni fornite dai terzi destinatari del servizio invoca, quindi, l’applicazione del c.d. decreto sul commercio elettronico, di cui al d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, il quale agli artt. 14, 15, 16 e 17 disciplina la responsabilità del prestatore di servizi stesso, limitandola a casi specifici, nella specie non ricorrenti. Tale assunto, tuttavia, si scontra con l’accertamento operato in punto di fatto dal giudice del merito, secondo cui la società nel caso di specie non ha operato limitandosi a fornire spazio virtuale nella rete per contenuti realizzati e diffusi da terzi, ma è il soggetto cui fa diretto riferimento la gestione del sito di fronte a questo accertamento, l’astratta questione dedotta rimane inidonea a censurare l’omessa applicazione di una disciplina imitatrice della responsabilità ad una situazione in fatto dalla corte del merito positivamente esclusa, e qui non più sindacabile. 4. - Il terzo e quarto motivo possono essere trattati insieme, vertendo sulla medesima questione e sono inammissibili, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., non contenendo la riproduzione delle circostanze di fatto, del tempo e del luogo della loro deduzione in giudizio, e che il giudice del merito avrebbe trascurato o valutato in difformità ai precetti invocati. 5. - Il quinto motivo è infondato. Invero, la corte del merito non ha affatto ritenuto di ravvisare un danno in re ipsa, al contrario essendosi attenuta alla corretta regola secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione, non è in re ipsa ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi né domandi il risarcimento che, peraltro, ben può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni giurisprudenza costante fra le altre, di recente Cass. 18 gennaio 2017, n. 1185 Cass. 13 ottobre 2016, n. 20643 Cass. 14 giugno 2016, n. 12143 Cass. 22 marzo 2016, n. 5590 Cass. 24 settembre 2013, n. 21865 Cass. 28 settembre 2012, n. 16543 . Ed è quanto ha fatto il giudice di appello nel caso specifico, allorché ha tenuto conto del numero delle immagini, del periodo della pubblicazione, dell’età del soggetto e di ogni altro elemento del caso di specie. Da ciò è conseguita la valutazione necessariamente equitativa del pregiudizio subito, risultando tale criterio imposto dalla natura stessa di tale danno, che non può essere provato nel suo preciso ammontare art. 1226 cod. civ. e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. Onde occorre concludere che la valutazione, nella specie operata, resta incensurabile, atteso che la somma liquidata risulta adeguata alle premesse enunciate, così come evidenziate dalla sentenza impugnata. 6. - Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.200,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge. Dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sussistono i presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.