Respinta la pretesa avanzata da un uomo nei confronti dello Stato e dell’azienda produttrice delle sigarette da lui fumate. Per i Giudici sono noti gli effetti nocivi del tabacco, ed è una scelta consapevole e libera quella di comprare le sigarette.
Nessun risarcimento per il fumatore incallito che ha riportato gravissimi danni – un tumore – a causa delle sigarette. Esemplare la valutazione con cui i Giudici del ‘Palazzaccio’ hanno respinto la richiesta di ristoro economico presentata nei confronti della British American Tobacco Italia spa, dell’Ente tabacchi italiani, dell’Agenzia delle Dogane e del Ministero della Salute decisiva la consapevolezza che caratterizza la scelta di fumare, nonostante la risaputa nocività del fumo Cassazione, sentenza numero 11272/2018, Sezione Terza Civile, depositata oggi . Scelta. Ricostruita facilmente la delicata vicenda un uomo, fumatore incallito – capace di consumare due pacchetti di Marlboro in una giornata –, scopre l’esistenza di «un carcinoma al lobo inferiore del polmone sinistro». La diagnosi fatta dal suo medico non lascia spazio a dubbi tumore. Inevitabile la scelta di buttar via le sigarette, ma l’uomo spiega di «non essere riuscito a smettere» col vizio del fumo a causa del «forte bisogno di consumare sigarette». Di conseguenza, secondo la sua ottica, «l’assuefazione al fumo» è dovuta alla presenza di «sostanze contenute nelle sigarette», e tutto ciò ha provocato «la malattia» che, sempre a suo dire, è addebitabile «ai soggetti che hanno prodotto le sigarette e le hanno messe in commercio». L’atto di accusa riguarda, quindi, lo Stato italiano, da un lato, e l’azienda americana che produce le Marlboro. Per i giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, è impensabile riconoscere all’uomo un risarcimento. Ciò perché «la dannosità del fumo costituisce un dato di comune esperienza», e, soprattutto, «è una scelta libera, consapevole ed autonoma» quella di «fumare nonostante la nocività del fumo». E rispetto a quest’ultimo dato è impossibile, per i giudici di secondo grado, «sostenere che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione della persona, costringendola a fumare, senza possibilità di smettere, dai due ai quattro pacchetti al giorno». Questa visione è ritenuta corretta anche dai giudici della Cassazione, i quali respingono definitivamente la «richiesta di risarcimento», ribadita dai familiari dell’uomo, deceduto durante il processo proprio a causa del tumore. Anche per i magistrati del ‘Palazzaccio’ è decisiva la sottolineatura che il fumatore liberamente sceglie di comprare e consumare le sigarette, pur essendo pienamente consapevole dei rischi per la propria salute.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 febbraio – 10 maggio 2018, numero 11272 Presidente Spirito – Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. Nel novembre 2002 Onumero Annose convenne in giudizio BAT, A.A.M.S., il Ministero dello Finanze, il Ministero della Salute e Philip Morris Italia sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti a causa della gravissima malattia che aveva contratto a causa del fumo. Espose l'attore di avere cominciato fin da giovane a fumare anche due pacchetti di Marlboro al giorno e che tale abitudine aveva determinato il formarsi di un carcinoma al lobo inferiore del polmone sinistro, diagnosticato in data 3 aprile 2000. Aveva al riguardo sostenuto che prima di tale diagnosi aveva preso coscienza della pericolosità del fumo solo dopo aver cominciato ad avvertire i primi sintomi della malattia. Avrebbe, quindi, cercato di smettere di fumare senza tuttavia riuscire nel proprio intento essendo stato in ciò contrastato dal forte bisogno di consumare sigarette. Aveva inoltre aggiunto di aver smesso di fumare una volta reso edotto del tipo di malattia che aveva contratto e solo dopo che il medico lo aveva avvertito dello conseguenze nefasto che sarebbero derivate nel caso in cui avesse continuato a farlo. L'attore, quindi, nell'addebitare la propria assuefazione al fumo ed a sostanze contenute nelle sigarette, ha imputato la causa della sua malattia ai soggetti che le avevano prodotto e poste in commercio. A supporto di tale tesi aveva sostenuto che il produttore aveva subdolamente studiato e inserito nel prodotto sostanze tali da generare uno stato di bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica tali di indurlo a diventare un tabagista incallito. Aveva, pertanto, citato in giudizio l'E.T.I. spa succeduta al monopolio di Stato, la Philip Morris entrambi quali produttori e distributori delle sigarette, ai quali aveva ascritto la responsabilità di aver importato e commercializzato i prodotti da fumo, in particolare le sigarette Marlboro. Aveva citato il Ministero della Salute al quale ha attribuito la responsabilità di avere omesso di salvaguardare la salute pubblica non obbligando le multinazionali e lo Stato stesso ad offrire uno prodotto quanto più naturale, privo di rischi per la salute e di quelle sostanze che producono assuefazione. Aveva quindi chiesto che fosse accertato e dichiarato che le sigarette Marlboro prodotte dalla Philip Morris Italia spa e dall'ETI, su licenza della prima, contenevano sostanze nocive all'organismo che procuravano nel tempo assefuazione. In conseguenza di tale statuizione aveva chiesto che fosse accertato e dichiarato che l'attore non aveva mai prestato un libero consenso allorquando aveva acquistato le sigarette essendo stato lo stesso viziato e carpito dai convenuti con raggiri e dolo. Aveva, infine, chiesto che fosse accertato il nesso di causalità tra il carcinoma e il fumo costante di sigarette e che pertanto condannasse i convenuti al risarcimento del danno subito. Il Tribunale di Roma rigettò la domanda. 2. La decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Roma, con sentenza numero 396 del 21 gennaio 2014. La Corte ha ritenuto incentrare l'esame del gravame sulla manifesta insussistenza del nesso di causa fra le pretese condotte illegittime dei convenuti ed il danno, alla stregua dell'individuazione del principio di diritto della causa prossima di rilievo. Ha evidenziato la corte che la dannosità del fumo costituisce da lunghissimo tempo dato di comune esperienza perché anche in Italia era conosciuta, dagli anni 70, la circostanza che l'inalazione da fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro, poteva ritenersi un dato di comune esperienza. Campagne pubblicitarie promosse da organizzazioni non lucrative lanciarono in quegli anni moniti di qualche risonanza. Pertanto la Corte ha ritenuto che la circostanza che il fumo faccia male alla salute è un fatto socialmente notorio, anche se per ragioni culturali, sociali o di costume il vizio del fumo era più accettato. Nè ritiene la Corte possa enfatizzarsi, per sostenere la pretesa risarcitoria, il ruolo dell'avvertenza introdotta dall'articolo 46 L. 428/1990, avente da un lato carattere riaffermativo di una nozione da lungo tempo di comune esperienza. Ed anche a voler configurare una responsabilità ex articolo 2043 o 2050 c.c. in capo al produttore, si perverrebbe ugualmente ad escludere il nesso di causalità in applicazione del principio della causa prossima di rilievo, costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo. A maggior ragione in una fattispecie come quella in esame caratterizzata da abuso. Comportamento da ritenersi da solo sufficiente a determinarsi l'evento e ciò alla luce delle regole generali in tema di nesso di causalità poste dall'articolo 41, comma 2, c.p. [ ]. Sostiene anche la Corte ad abundantiam non può sostenersi che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione del soggetto, 'costringendolo' a fumare, senza possibilità di smettere, dai due ai quattro pacchetti al giorno. 3. Avverso tale pronunzia Gi. Fe., in proprio ed esercente la potestà sul minore Cl. Anumero , Co. e Lu. Anumero propongono ricorso per cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria. 3.1 Resistono con controricorsi autonomi la British American Tobacco - B.A.T. Italia s.p.a. già E.T.I. e l'Agenzia dei Tabacchi e dei Monopoli. La B.A.T. ha depositato memoria. Ragioni della decisione 4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione ed errata applicazione di norme di diritto di cui agli articolo 2050 e 2043 c.c. ex articolo 360 numero 3, c.p.c. . Lamentano sia che la Corte territoriale non abbia correttamente applicato l'articolo 2050 in connessione con l'articolo 2043 c.c., ovvero i principi in tema di responsabilità aquiliana per l'esercizio di attività pericolosa la produzione e commercializzazione di prodotti da fumo . Sia che non abbia accolto la domanda degli attori nonostante avesse constatato che la convenuta BAT non abbia fornito la prova liberatoria prevista dall'articolo 2050. Il motivo è infondato. A parte i profili di difetto di specificità del motivo, i ricorrenti non colgono la ratio decidenti della sentenza. Nell'accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l'esistenza del nesso eziologico tra quello che s'assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato. Una volta verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l'accertamento di un'eventuale colpa, né l'accertamento di una eventuale responsabilità cd. speciale con tutto quello che ne consegue in ordine all'inversione dell'onere probatorio . Ora con la pronuncia impugnata il giudice del merito ha effettuato una valutazione della sussistenza del nesso causale, necessario ai fini della esistenza della responsabilità risarcitoria tanto ex articolo 2043 quanto ex articolo 2050, escludendolo. Ciò ha fatto in applicazione del principio della 'causa prossima di rilievo' costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo [ ]. Conseguentemente va considerato irrilevante il tema della prova liberatoria ai sensi dell'articolo 2050, tema che si sarebbe dovuto affrontare ove il presupposto del nesso causale fosse stato asseverato. Ed in ogni caso, sul punto, il giudice del merito ha effettuato un accertamento di fatto. E quando il giudice di secondo grado esegue un accertamento di fatto, la Corte di cassazione, per poter verificare la legittimità della decisione di merito sulla questione, dev'essere investita da una censura di difetto di motivazione su di un punto decisivo, a norma dell'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., non essendo sufficiente, a scardinare tale accertamento, una censura di violazione di norma sul procedimento, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. Infatti, il motivo per cui la sentenza può venir cassata è prima di difetto di motivazione e solo consequenzialmente di violazione della norma di diritto processuale. Pertanto nel caso di specie, ove anche ci volesse ritenere centrata la ratio decidendo questa è stata comunque censurata in modo eccentrico. 4.2. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio - articolo 360 numero 5 c.p.c . Si dolgono che la Corte d'Appello non avrebbe preso in considerazione il lungo spazio temporale in cui le imprese produttrici, pur essendo a conoscenza del grado di pericolosità delle sigarette e di assuefazione provocata dalla nicotina sulla libertà di interromper la pratica del fumo, non avevano informato in modo adeguato i consumatori dei rischi collegati all'uso del prodotto di sigarette. Il motivo che discute della responsabilità contrattuale è assorbito a seguito del rigetto del primo, posto che l'insussistenza del nesso causale esclude anche la responsabilità ex 1218 c.c Ma sarebbe stato, comunque, ugualmente inammissibile perché posto fuori da quanto previsto da Cass. Sez. Unumero 8053-8054/2014 secondo cui la riformulazione dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., disposta dall'articolo 54 del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. 4.3. Con il secondo motivo, denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui agli articolo 105, 185 5 C e 268 c.p.c. ex articolo 360 numero 3, c.p.c . I ricorrenti sostengono che la Corte d'Appello avrebbe errato là dove ha confermato la inammissibilità delle domande di risarcimento del danno iure proprio perché formulate dagli eredi solo nella prima memoria ex articolo 183 c.p.c. e perciò tardivamente. Il motivo è assorbito dal rigetto dei precedenti perché nessuna responsabilità può essere attribuita ai controricorrenti. Sussiste pertanto il difetto di interesse. 5. Ed in ogni caso i tre motivi congiuntamente esaminati e sarebbero ugualmente inammissibili in quanto volti ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei dati processuali e a contestare sul piano meramente fattuale - al di là della veste formale conferita alla censura - il contenuto della motivazione della sentenza di appello che appare, di converso, immune da vizi logico-giuridici. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 7. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della B.A.T., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge, e al pagamento nei confronti dell'Agenzia dei Tabacchi e dei Monopoli in Euro 7.800 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17 della 1. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma I-bis del citato articolo 13.