Confermato il risarcimento alla moglie del lavoratore. L’ente locale era a conoscenza dei problemi di salute del dipendente e avrebbe dovuto sospenderlo da ogni attività, anche la più leggera.
Comune colpevole per la morte del dipendente – un vigile urbano – affetto da grave patologia cardiaca. Sarebbe stato necessario, secondo i Giudici, sospenderlo da qualunque attività, e invece l’assegnazione di mansioni – anche da svolgere in ufficio – ne ha aggravato i problemi di salute, conducendo poi alla crisi fatale, verificatasi mentre l’uomo si recava alla sede della Polizia municipale Cassazione, ordinanza numero 7520/2018, Sezione Lavoro, depositata oggi . Danni. La tragedia si verifica nell’ottobre del 1993, quando il vigile urbano muore a causa di una improvvisa crisi cardiaca, manifestatasi durante il tragitto per recarsi sul posto di lavoro. Sotto accusa finisce il Comune, a cui la vedova attribuisce la responsabilità per la morte del marito. Questa visione viene ritenuta corretta dai Giudici, che, prima in Tribunale e poi in Appello, valutano «negligente» il comportamento tenuto dall’Ente locale e lo condannano a provvedere ad un adeguato «risarcimento» in favore della donna per «i danni» da lei subiti a seguito della «morte del proprio coniuge». Decisiva la constatazione che «il Comune, in presenza della segnalazione della grave patologia del lavoratore, oltre a non dispensarlo dai servizi esterni, non si era attivato per accertarne l’idoneità allo svolgimento delle normali mansioni del suo servizio». Colpe. La valutazione compiuta in Appello viene condivisa anche dai giudici della Cassazione. Nessun dubbio, in sostanza, sulle colpe del Comune. A questo proposito, viene posto in evidenza che «a partire dal novembre 1988, con l’insorgere della fibrillazione atriale, la patologia del vigile urbano si era bruscamente aggravata». Ciò significa che da quel momento, osservano i magistrati, «egli andava considerato totalmente inidoneo a qualsiasi attività lavorativa, anche la più sedentaria». Proprio questo elemento, cioè la certezza che «il Comune, in possesso di certificazioni mediche prodotte dal dipendente, doveva sospendere il lavoratore da qualunque attività», rende logico attribuire all’ente locale la principale responsabilità per la morte del vigile urbano.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 gennaio – 27 marzo 2018, numero 7520 Presidente Armano – Relatore Moscarini Fatti di causa Ma. Ro. Sa., vedova di Anumero Pr., vigile urbano presso il Comune di Campobasso, deceduto in data 22/10/1993 per una grave malattia cardiaca mentre si recava sul posto di lavoro, agì nei confronti del Comune di Campobasso e nei confronti della ASL numero 3 chiedendo che i medesimi fossero condannati al risarcimento dei danni conseguenti alla morte del proprio coniuge, provocato da comportamenti negligenti dei convenuti. In particolare l'attrice lamentò che la ASL avesse omesso di svolgere la visita medica richiesta nel 1980 e che il Comune non avesse sollecitato la fissazione di una nuova seduta del collegio medico continuando ad adibire Pr. a servizi esterni asseritamente causativi dell'accelerazione dell'evento dannoso. Si costituì il Comune di Campobasso il quale precisò di aver chiesto tempestivamente la visita medica collegiale della ASL, non tenutasi per fatti indipendenti dalla propria volontà, e di aver tempestivamente, non appena ricevuto notizia della condizione del Pr. 1980 , adibito il medesimo a compiti d'ufficio interni, salvo sporadiche occasioni dovute ad iniziativa del dipendente. La ASL pure si costituì negando la propria responsabilità per difetto del nesso di causalità e di legittimazione passiva. Assunte prove testimoniali e svolta CTU il Tribunale, con sentenza del 2008, accolse la domanda nei confronti del Comune di Campobasso ritenuto responsabile a titolo di responsabilità extracontrattuale, quale concausa del danno nella percentuale dell'80%. Proposto appello da parte del Comune, la Corte d'Appello di Campobasso ha confermato la sentenza di primo grado constatando che l'Amministrazione, in presenza di segnalazione della grave patologia del Pr., oltre a non dispensarlo dai servizi esterni, non si era attivato per accertare l'idoneità del dipendente allo svolgimento delle normali mansioni del suo servizio. La Corte ha altresì rilevato come, a partire dal novembre 1988, con l'insorgere della fibrillazione atriale la patologia del Pr. si fosse bruscamente aggravata sicché da tale momento l'attività lavorativa aveva avuto un ruolo di concausa più importante, anche se non esclusiva, nell'ulteriore progressione della malattia sino all'exitus di guisa che dal novembre 1988, come del resto precisato dal CTU, il Pr. andava considerato totalmente inidoneo a qualsiasi attività lavorativa anche la più sedentaria. La Corte ha valorizzato le considerazioni del CTU ribadendo che onere del Comune/datore di lavoro in possesso di certificazioni medica prodotte dal dipendente fosse quello di sospendere il lavoratore da qualunque attività ha confermato l'attribuzione dell'80% della responsabilità in capo al Comune ed ha altresì rigettato il motivo di appello relativo all'aspettativa di vita media di 32 anni considerata quale base di calcolo per il risarcimento, anziché l'aspettativa di 4/6 anni individuata dal CTU in relazione all'ultima fase di vita del dipendente, connotata da aggravamento della malattia ha infine rigettato il quarto motivo di appello con il quale si è ritenuto che erroneamente la ratio decidendi della sentenza di primo grado fosse basata sul titolo di responsabilità contrattuale del Comune, anziché extracontrattuale. Avverso la sentenza il Comune di Campobasso propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso Ma. Ro. Sa Si costituisce in giudizio l'ASL della Regione Molise ai soli fini della denuntiatio. Ragioni della decisione Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c. articolo 360, numero 3, c.p.c. nella parte in cui la Corte d'Appello ha ritenuto sussistere i presupposti della responsabilità extracontrattuale privilegiando una parte delle due espletate CTU e ritenendo insussistente il nesso di causalità tra la condotta del Comune e la morte del Pr Il motivo è inammissibile perché di merito, volto ad una rivalutazione dei fatti è certamente una deduzione in fatto la ricostruzione del nesso di causalità tra l'evento ed il danno. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 2054 e 1223 c.c., in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c. e all'articolo 2697 c.c. articolo 360, numero 3, c.p.c . nella parte in cui la sentenza non ha tenuto in considerazione che il danno dovesse essere commisurato all'aspettativa di vita 4/6 anni del Pr., anziché a quelli dell'aspettativa di vita di una persona sana. Il motivo è di merito e la Corte d'Appello ha adeguatamente motivato la sua scelta in base al seguente ragionamento ove l'andamento della sua patologia fosse stato adeguatamente monitorato e fossero state effettuate le necessarie valutazioni circa le mansioni cui destinarlo, compatibilmente con il suo quadro clinico perché l'indicazione del dott. Ga. 4/6 anni è infatti riferita al periodo successivo al 1988, coincidente con l'insorgenza della fibrillazione atriale e con il precipitare delle condizioni del Pr. delle quali è stata concausa la condotta commissiva ed omissiva dell'Amministrazione Comunale . Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c. e all'articolo 2697 c.c. articolo 360, numero 3, c.p.c . Censura la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità del Comune di Campobasso nella misura dell'80%. Anche questo motivo è di merito perché afferisce alla discrezionalità di valutazione del giudice sull'apprezzamento dei fatti. Con il quarto motivo violazione e falsa applicazione dell'articolo 92 c.p.c. censura la sentenza nella parte in cui ha posto le spese del giudizio per tutti i gradi a carico del Comune. Il motivo, consequenziale ai precedenti, resta assorbito. Conclusivamente il ricorso va rigettato sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione mentre a carico del ricorrente va posto il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Campobasso alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800 oltre Euro 200 per esborsi , oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi dell'articolo 13 co. 1 qua ter del D.P.R. numero 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. I-bis dello stesso articolo 13.