Motociclista cade a causa di una buca sulla strada? Peggio per lui …

Spetta all’attore dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la cosa in custodia nella specie una strada e il fatto dannoso.

Il Tribunale di Brescia, con sentenza dell’11 dicembre 2014, respinge la richiesta risarcitoria di un motociclista caduto rovinosamente a causa di una buca presente sul manto stradale. L’ente pubblico convenuto in giudizio è stato dunque assolto da ogni pretesa, con il favore delle spese di lite. Tuttavia, la decisione solleva qualche perplessità per il percorso argomentativo con il quale – forse invertendo l’onere della prova sul punto - è stata negata la sussistenza del necessario nesso di causalità tra la cosa in custodia e il fatto dannoso. Il caso. In una strada di montagna Passo Gavia , un motociclista – in ragione di una buca presente sul manto stradale e posta al termine di una curva – cadeva a terra, riportando significativi danni. L’infortunato proponeva azione di risarcimento dei danni avanti al Tribunale convenendo in giudizio l’ente proprietario della strada Provincia , che si difendeva affermando l’esclusiva applicabilità dell’art. 2043 c.c., e chiedendo il rigetto delle pretese avversarie ovvero, in subordine, una riduzione del risarcimento in ragione dell’effettivo grado di colpa ad esso imputabile. Ma nessuna specifica eccezione quanto al profilo del nesso di causalità veniva proposta dalla parte convenuta che del resto, come detto, riteneva non applicabile l’art. 2051 c.c. . Il Giudice, rigettate tutte le richieste istruttorie, decideva nel merito la causa in modo favorevole all’ente pubblico convenuto in ragione di una ritenuta mancata prova, da parte dell’attore, del nesso di causalità. La norma di diritto non esplicitata sottesa alla decisione. Anche se il Giudice non ne fa mai menzione in modo espresso, sembra che la decisione sia stata assunta ai sensi dell’art. 2051 c.c In questo senso, del resto, la giurisprudenza appare ormai assestata nel ritenere non applicabile l’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c. ai sinistri stradali del genere qui in esame. Tra le ultime decisioni in materia si può far riferimento a Cass., sez. III Civ., n. 3793/2014 , per cui la responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. sui beni di sua proprietà, ivi comprese le strade aperte al pubblico transito in relazione ai sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze, è esclusa solo dal caso fortuito”. In questo quadro, precisa la Suprema Corte, il caso fortuito” può consistere - sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l'uso dell'ordinaria diligenza - sia nella condotta della stessa vittima, consistita nell'omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l'impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l'interruzione del nesso eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il danno. Da notare che nel caso appena segnalato un Comune era stato condannato a risarcire l'automobilista che, a causa di una buca ricolma d'acqua, perdeva il controllo del veicolo finendo fuori strada. Prova del nesso di causalità – prova del caso fortuito a chi spetta l’onere della prova? Il Tribunale pare essere incorso in un errore di prospettiva laddove sembra aver addossato all’attore non solo l’onere di provare il nesso di causalità tra l’evento e la cosa in custodia, ma anche quello invero di spettanza dell’ente pubblico convenuto , del cosiddetto caso fortuito”, che appunto ben può essere rappresentato dal fatto esclusivo del danneggiato. Ed è significativo osservare che la Provincia convenuta non aveva fatto valere il comportamento del convenuto con l’intento di dimostrare il caso fortuito e quindi l’interruzione del nesso di causalità tra la buca presente sulla strada e la caduta. Ipotesi, quella del caso fortuito, forse neppure presa in considerazione dall’ente pubblico, peraltro coerentemente con la sua impostazione difensiva tesa ed escludere l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2051 c.c Non sarebbe stata necessaria una valutazione tecnica? Secondo il Tribunale, spettava alla parte attrice dimostrare, anzitutto, l’esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso. A tale scopo sarebbe indispensabile secondo il principio della conditio sine qua non ” temperato dal criterio della regolarità causale - che le caratteristiche della cosa costituiscano antecedente necessario dell’evento dannoso - che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di quella particolare situazione. Il verificarsi di quest’ultima condizione dipende, in via diretta, dalla concreta sussistenza, nella cosa in custodia, di una specifica idoneità a nuocere ad altri, in mancanza della quale, la cosa stessa svolge il mero ruolo di occasione dell’evento che è, in realtà, provocato da una causa ad essa estranea, che può anche essere integrata dal comportamento dello stesso soggetto danneggiato . L’idoneità a nuocere della cosa in custodia e il comportamento dell’infortunato. La valutazione della predetta idoneità a nuocere” che si sostanzia in un’indagine sul livello di intrinseca pericolosità della cosa influisce inevitabilmente sul giudizio relativo alla sussistenza di un’autonoma capacità, da riconoscere al fattore esterno estraneo alla cosa , di provocare l’evento lesivo, interrompendo il nesso eziologico tra cosa e danno. Tanto meno la cosa risulterà intrinsecamente pericolosa essendo l’eventuale situazione di pericolo facilmente prevedibile e superabile attraverso l’adozione delle normali cautele tanto più la condotta del danneggiato dovrà essere considerata nel caso concreto incidente sul dinamismo causale del fatto dannoso, giungendo anche ad interrompere il rapporto causale tra cosa e danno. In definitiva, si è trattato di un rapporto di mera occasionalità. Nella concreta fattispecie - la giornata era serena e l’unico limite alla completa visibilità dei luoghi derivava dalla presenza di una curva circostanza che deve allertare opportunamente l’utente della strada inducendolo a ridurre la velocità - sul luogo vigeva il limite di velocità di 30 km/h la fotografia prodotta in atti dall’attore ritraeva un cartello sufficientemente visibile, sempre a giudizio del Giudice - era obbligo del motociclista mantenere una velocità sufficientemente moderata per poter affrontare la curva destrorsa mantenendosi alla propria destra e seguendo l’andamento curvilineo del tracciato stradale, restando alla propria destra fino alla fine della curva ed evitando di allargare” la traiettoria alla propria sinistra verso il centro della carreggiata. L’insieme delle predette considerazioni impedisce di affermare che l’infortunio sia conseguenza normale delle particolari condizioni del piano viabile percorso dal motociclista e che vi sia stata quindi violazione dell’obbligo di custodia dell’ente proprietario . Decisiva la ritenuta esclusiva responsabilità del motociclista. In conclusione, per il Tribunale l’infortunio si verificò per causa esclusivamente riferibile alla condotta della parte attrice. Affermazione che, come accennato, fa sorgere qualche perplessità quanto alla corretta applicazione delle regole, anche in tema di onere della prova, riconducibili all’art. 2051 c.c. disposizione sicuramente applicabile al caso di specie.

Tribunale di Brescia, sez. I Civile, sentenza 11 dicembre 2014 Giudice De Lellis Fatto e diritto La responsabilità della Provincia convenuta deve essere esclusa. Spettava alla parte attrice dimostrare, anzitutto, l’esistenza del nesso causale tra cosa in custodia punto della strada Provinciale n. 300, per il Passo Gavia, in cui si verificò il sinistro e fatto dannoso. A tale scopo è indispensabile secondo il principio della conditio sine qua non” temperato dal criterio della regolarità causale - che le caratteristiche della cosa costituiscano antecedente necessario dell’evento dannoso - che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di quella particolare situazione. Il verificarsi di quest’ultima condizione dipende, in via diretta, dalla concreta sussistenza, nella cosa in custodia, di una specifica idoneità a nuocere ad altri, in mancanza della quale, la cosa stessa svolge il mero ruolo di occasione dell’evento che è, in realtà, provocato da una causa ad essa estranea, che può anche essere integrata dal comportamento dello stesso soggetto danneggiato . La valutazione della predetta idoneità a nuocere” che si sostanzia in un’indagine sul livello di intrinseca pericolosità della cosa influisce inevitabilmente sul giudizio relativo alla sussistenza di un’autonoma capacità, da riconoscere al fattore esterno estraneo alla cosa , di provocare l’evento lesivo, interrompendo il nesso eziologico tra cosa e danno. Tanto meno la cosa risulterà intrinsecamente pericolosa essendo l’eventuale situazione di pericolo facilmente prevedibile e superabile attraverso l’adozione delle normali cautele tanto più la condotta del danneggiato dovrà essere considerata nel caso concreto incidente sul dinamismo causale del fatto dannoso, giungendo anche ad interrompere come già detto il rapporto causale tra cosa e danno. L’attore non ha provato l’oggettiva pericolosità dell’anomalia della strada descritta in citazione rilevata e descritta dai verbalizzanti intervenuti nell’immediatezza del fatto né ha provato che l’evento lesivo scaturì quale normale conseguenza di quella particolare situazione. Parte attrice si è limitata ad affermare che la caduta a terra del motociclista sarebbe avvenuta a causa della buca esistente al centro della propria corsia di marcia” in cui il Tavelli sarebbe finito con la ruota anteriore del motociclo per evitare altra buca esistente ai margini del tombino” presente circa 35 metri prima. La predetta descrizione della dinamica del sinistro, tuttavia, non trova riscontro negli elementi rilevati dai verbalizzanti. Infatti - il tombino menzionato dalla parte attrice rilevato dai verbalizzanti è posto a ragguardevole distanza oltre 35 metri dal punto in cui iniziano le tracce di scarrocciamento lasciate dal motociclo del Tavelli ed è situato al margine della carreggiata - non vi sono elementi né sono state offerte, a tale riguardo, prove adeguate per affermare con certezza che attorno a tale tombino vi fosse un avvallamento realmente pericoloso - nessuna indicazione precisa viene infatti fornita circa la reale profondità di quel presunto avvallamento - l’altro avvallamento dell’asfalto rilevato in prossimità del punto W” sulla planimetria è stato indicato dai verbalizzanti come caratterizzato da profondità variabile tra cm. 1 e cm. 3 - trattasi di avvallamento situato al centro della carreggiata. Tali elementi oggettivi impongono di escludere che le caratteristiche del secondo avvallamento di profondità del tutto modesta fossero tali da determinare, quale normale conseguenza, la caduta di un motociclo in transito. Il giudicante osserva infatti, a tale riguardo, che - la presenza di piccole anomalie del piano viabile di una pubblica via è sempre prevedibile - tale prevedibilità diviene ancora più ovvia su strade di montagna - nel caso in cui l’anomalia sia facilmente avvistabile ed evitabile, con le opportune manovre di emergenza, la sua presenza costituisce circostanza priva di reale capacità offensiva - in ogni caso, la profondità variabile da cm. 1 a cm.3 dell’avvallamento era talmente modesta da consentire, se affrontato a velocità adeguata, a qualsiasi motociclo un passaggio sicuro e privo di rischi. Nella concreta fattispecie - la giornata era serena e l’unico limite alla completa visibilità dei luoghi derivava dalla presenza di una curva circostanza che deve allertare opportunamente l’utente della strada inducendolo a ridurre la velocità - sul luogo vigeva il limite di velocità di 30 km/h la fotografia prodotta dalla parte attrice ritrae un cartello sufficientemente visibile - era obbligo del motociclista mantenere una velocità sufficientemente moderata per poter affrontare la curva destrorsa mantenendosi alla propria destra e seguendo l’andamento curvilineo del tracciato stradale, restando alla propria destra fino alla fine della curva ed evitando di allargare” la traiettoria alla propria sinistra verso il centro della carreggiata in cui vi era la descritta anomalia dell’asfalto . L’insieme delle predette considerazioni impedisce di affermare che l’infortunio descritto in citazione sia conseguenza normale delle particolari condizioni del piano viabile percorso dal motociclista e che vi sia stata quindi violazione dell’obbligo di custodia dell’ente proprietario . Le menzionate condizioni della strada costituirono invece elemento legato da rapporto di mera occasionalità con l’infortunio patito dal Tavelli, causalmente riconducibile, in via esclusiva, al comportamento di quest’ultimo che non regolò adeguatamente la propria velocità circostanza evidenziabile anche dalla lunghezza - mt. 23 - delle tracce di scarrocciamento lasciate dal motociclo o non seppe condurre il veicolo con la necessaria prudenza e perizia. Le istanze di prova orale non sono idonee a superare le predette argomentazioni e risultano quindi irrilevanti. In conclusione, gli atti impongono di affermare che l’infortunio si verificò per causa esclusivamente riferibile alla condotta della parte attrice. La domanda deve dunque essere respinta con aggravio di spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede - respinge la domanda - condanna l’attore Tavelli Michele a rifondere le spese di lite sostenute dalla convenuta Provincia di Brescia che liquida in € 4.500,00 per compenso professionale, oltre spese generali, Iva e Cpa.