La sussistenza del reato non è presupposto per il risarcimento del danno morale

Può esserci sussistenza del danno morale, con conseguente obbligo di risarcimento, anche se il comportamento della banca – oggetto d’esame non si configura come reato di appropriazione indebita.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 16612, depositata il 3 luglio 2013. Il caso. Un correntista, nonché fideiussore per una società, pure correntista, aveva convenuto in giudizio la propria banca per sentirla condannare alla corresponsione dell’importo di un assegno che la banca stessa non aveva pagato, avendo unilateralmente effettuato una compensazione del saldo attivo del predetto conto corrente con il credito da essa vantato nei confronti della società garantita , nonché al risarcimento dei relativi danni. Contro la sentenza del Tribunale - il quale aveva dichiarato illegittimo il rifiuto di pagamento dell’assegno, escludendo peraltro ogni risarcimento - l’attore aveva proposto appello e la banca appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza nella parte in cui era rimasta soccombente. La Corte territoriale aveva rigettato l’appello principale e dichiarato inammissibile per tardività quello incidentale. Avverso tale decisione il correntista ha presentato ricorso, in quanto la Corte territoriale, con la dichiarazione di tardività dell’appello in cui si chiedeva la revoca della condanna della banca alla corresponsione dell’importo dell’assegno, ha inteso affermare la legittimità del comportamento della banca. La Suprema Corte ha ritenuto la censura fondata, accogliendo il rilievo del ricorrente, secondo cui la Corte d’appello ha in sostanza riesaminato il motivo del contendere, cosa che non poteva fare, perché ormai la questione era coperta da giudicato. In questo modo, ritenendo legittimo il comportamento della banca in ordine all’avvenuta compensazione, ha tratto l’ulteriore conseguenza dell’insussistenza del danno morale. Infatti, i giudici di merito avevano affermato l’insussistenza del danno morale, poiché, nel comportamento della banca non si configurava il reato di appropriazione indebita. Indipendenza dal reato. Gli Ermellini hanno sostenuto che il giudice d’appello avrebbe dovuto limitare la valutazione alla sussistenza di tale danno, sotto il profilo della effettiva consistenza e del nesso di causalità con il comportamento della banca, e non già pervenire a escluderlo per difetto del presupposto. Inoltre, Piazza Cavour ha aggiunto che il danno non patrimoniale, attinente alla personalità e alla dignità della persona, è indipendente dall’esistenza del reato. Invece, in sede d’appello, non è stato esaminato tale profilo di danno, limitandosi ad insistere sulla legittimità del comportamento della banca ciò, in secondo grado, come specificato, non poteva essere

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 aprile - 3 luglio 2013, n. 16612 Presidente Salmè – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con atto di citazione, notificato in data 5-1-1996, P.E. conveniva in giudizio davanti il Tribunale di Lecce la Banca Tamborrino Sangiovanni, di cui era correntista, nonché fideiussore per una società, pure correntista, per sentir condannare la banca alla corresponsione dell'importo di un assegno, tratto sul suo conto corrente per L. 16.000.000 - che la banca stessa non aveva pagato, avendo unilateralmente effettuato una compensazione del saldo attivo del predetto conto corrente con il credito da essa vantato nei confronti della società garantita , nonché al risarcimento dei danni relativi. Costituitosi il contraddittorio, il Credito Emiliano S.p.A., successore, chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale di Lecce, con sentenza in data 15-4-2003, dichiarava illegittimo il rifiuto di pagamento dell'assegno da parte della banca, e la condannava alla corresponsione dell'importo dell'assegno stesso, escludendo peraltro ogni risarcimento. Proponeva appello il P. . Costituitosi il contraddittorio, il Credito Emiliano s.p.a. ne chiedeva il rigetto, e in via di appello incidentale, chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, là dove esso era rimasto soccombente. La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza 18-2-/19-10-2005, rigettava l'appello principale e dichiarava inammissibile per tardività quello incidentale. Ricorre per cassazione il P Resiste, con controricorso, il Credito Emiliano S.p.A Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 112 c.p.c. nonché vizio di motivazione, in quanto la Corte d'Appello, pur avendo dichiarato inammissibile per tardività l'appello incidentale, aveva tradito la sua stessa pronuncia, sostenendo il comportamento pienamente legittimo della banca e traendone indebite conseguenze circa l'esclusione del risarcimento del danno. Con il secondo, violazione dell'art. 1253, 1243 e 1936 c.c. nonché vizio di motivazione, sostenendo la mancanza, al momento della compensazione, di una valida costituzione in mora. Con il terzo, violazione dell'art. 189 c.p.c. in relazione agli artt. 278, 183 e 184 c.p.c. nonché vizio di motivazione, in quanto il tribunale, che si era riservato di decidere ai sensi dell'art. 278 c.p.c., non avrebbe potuto emettere sentenza definitiva. Il primo motivo appare fondato. Come precisa correttamente il ricorrente, la Corte, dopo aver dichiarato tardivo l'appello incidentale, ove, chiedendosi la revoca della condanna della banca alla corresponsione dell'importo dell'assegno, si intendeva affermare la legittimità del comportamento della banca stessa, ha in sostanza riesaminato tale profilo, ciò che non poteva fare, perché ormai la questione era coperta da giudicato, e ne ha tratto ulteriori conseguenze ritenendo legittimo il comportamento della banca, in ordine all'avvenuta compensazione, ha affermato l'insussistenza del danno morale. Al contrario, il giudice d'appello avrebbe dovuto limitarsi a valutare la sussistenza di tale danno, sotto il profilo della sua effettiva consistenza e del nesso di causalità con il comportamento della banca, e non già pervenire ad escluderlo per difetto del presupposto. Va precisato che la Corte afferma l'insussistenza del danno morale non configurandosi nel comportamento della banca il reato di appropriazione indebita, nonché del danno patrimoniale, per mancanza del nesso di causalità tra il comportamento della banca stessa e le perdite economiche ovvero il mancato guadagno del Tasca. Su tali affermazioni non vi è in sostanza contestazione da parte del ricorrente. Rimane tuttavia una posta rilevante di danno, quello non patrimoniale, attinente alla personalità e alla dignità della persona, indipendentemente dall'esistenza di reato. Come si è detto, la Corte di merito non esamina tale profilo di danno, limitandosi ad insistere sulla legittimità del comportamento della banca, ciò che essa, come si è detto, non poteva fare. All'accoglimento del primo motivo consegue l'assorbimento del secondo. Quanto al terzo motivo, esso va dichiarato inammissibile. E infatti sulla carenza di interesse, come affermata dal giudice d'appello per il quale nessun pregiudizio era derivato all'odierno ricorrente dalla sentenza definitiva in primo grado, indipendentemente dalla legittimità di essa, posto che la richiesta prova testimoniale, dedotta dal P. , e implicitamente disattesa dal Tribunale, nulla avrebbe aggiunto riguardo al danno e al relativo nesso causale non vi è alcuna argomentazione o contestazione da parte dell'odierno ricorrente. Va pertanto accolto, nei termini di cui in motivazione, il ricorso, cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione, che dovrà attenersi a quanto sopra indicato, e in particolare valutare, sulla base dell'illegittimo comportamento della banca, l'eventuale sussistenza del danno, determinandone l'ammontare. La Corte d'Appello si pronuncerà altresì sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione.