Perdita della capacità lavorativa generica: il giudice può tener conto di tutti i pregiudizi patiti dalla vittima

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, la cui liquidazione non è però ostativa a che il giudice tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ivi compresi gli eventuali ulteriori danni patrimoniali derivanti dalla riduzione della capacità lavorativa generica.

E’ l’interessante approfondimento condotto dalla Terza sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 908, depositata il 16 gennaio 2013. Il caso . In esito ad un incidente stradale, un uomo riporta gravi lesioni personali che, sulla base delle conclusioni del Consulente dell’Ufficio, comportano, secondo i Giudici di merito, la sensibile riduzione della capacità lavorativa generica, ma non di quella specifica, non essendo rimasto dimostrato che il danneggiato, titolare di una azienda con numerosi dipendenti, svolgesse all’interno di essa lavori manuali. La Corte d’Appello rigetta la domanda di liquidazione di un ulteriore importo a titolo di danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa generica. La premessa è che la detta perdita assumerebbe rilevanza solo all’interno del danno biologico, di cui sarebbe specificazione, non essendo suscettibile di ulteriore ed autonomo risarcimento sotto il profilo del danno patrimoniale poiché l’attore aveva circoscritto il motivo di appello al profilo di liquidazione del danno patrimoniale e non anche del danno biologico, ciò avrebbe comportato la preclusione per effetto di giudicato dell’accertamento di ogni ulteriore pregiudizio rientrante nell’ambito della riduzione della capacità lavorativa generica. Perdita della capacità lavorativa e categorie di danno . Nell’affermare di non condividere una tale impostazione, la Corte di Cassazione riconosce che essa può essere stata il frutto dell’incertezza cagionata dalla successione nel tempo di diverse interpretazioni e collocazioni sistematiche delle categorie di danno, culminata, come noto, nelle sentenze gemelle delle Sezioni Unite del novembre 2008. Si ritiene, quindi, che la categoria concettuale della incapacità lavorativa generica, elaborata prima dell’individuazione di quella di danno alla salute al fine di evitare che il danneggiato privo di reddito non conseguisse alcun risarcimento diverso da quello da danno morale, debba essere armonizzata con i più recenti sviluppi giurisprudenziali. Se, quindi, essa non può essere utilizzata per riconoscere in modo automatico un danno patrimoniale da lucro cessante come conseguenza delle lesioni, ciò non significa che il danno biologico sia comprensivo anche della menomazione della generale attitudine al lavoro, dal momento che al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell’attitudine a produrre guadagni attraverso l’impiego dell’attività lavorativa. E ciò è tanto vero che si ritiene che gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possano dar luogo anche ad un danno patrimoniale da lucro cessante, qualora eliminino o riducano la capacità di produrre reddito. Capacità lavorativa e la pronuncia delle Sezioni Unite . Il ragionamento, secondo il Supremo Collegio, non è inficiato – ed anzi è confermato – dalle conclusioni delle Sezioni Unite n. 26972/2008 in ordine alla unitarietà della categoria del danno non patrimoniale da lesione della salute. Tale unitarietà, infatti, non osta a che il Giudice tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ivi compresi gli eventuali ulteriori danni patrimoniali derivati dalla riduzione della capacità lavorativa generica. Ne consegue che è errata la conclusione secondo la quale la diminuzione della capacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito poiché, costituendo una lesione di una attitudine o di un modo d’essere del soggetto, si sostanzierebbe sempre e comunque in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico. Nell’ipotesi in cui, viceversa, risulti comunque una riduzione, ancorché generica, della capacità di guadagno, tale ultima riduzione è certamente risarcibile, secondo la Corte di Cassazione, sotto il profilo del lucro cessante.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 ottobre 2012 - 16 gennaio 2013, numero 908 Presidente Petti – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con citazione ritualmente notificata M.O. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Pistoia F.G. e la S.p.A. Zurigo Assicurazioni assumendo che il giorno 2.10.1991 era rimasto vittima di un grave incidente stradale all'interno di un appezzamento di terreno di sua proprietà coltivato a vivaio di piante ornamentali. Deduceva che, a bordo di un ciclomotore, partendo dal piazzale di ingresso al vivaio, si era immesso in un vialetto della larghezza di circa tre metri per raggiungere la casa di abitazione quando era stato investito dalla autovettura condotta dal F. , suo dipendente, che, imboccato il vialetto dalla opposta direzione di marcia, lo percorreva a velocità molto elevata intendendo raggiungere il piazzale per riprendere il lavoro. Spiegava che il viottolo non sarebbe stato accessibile dalla direzione di marcia seguita dal F. , essendovi al suo limite con la proprietà M. un cartello con la scritta Proprietà privata e che il predetto, per accedere al vivaio, avrebbe dovuto seguire un altro percorso immettendosi direttamente nel piazzale. Sosteneva di avere subito gravissime lesioni in conseguenza dell'incidente con ingenti danni patrimoniali da calcolarsi in base al reddito percepito quale titolare della ditta individuale di vivaista. Chiedeva che, accertata la esclusiva responsabilità del F. nella produzione del sinistro, i convenuti fossero condannati al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali ed extrapatrimoniali, subiti nella somma da determinarsi, oltre rivalutazione, interessi e spese di causa. Si costituivano in giudizio i convenuti contestando sia la responsabilità che l'ammontare del danno. All'udienza di prima comparizione il procuratore dell'attore dava atto che la compagnia assicuratrice Zurigo aveva corrisposto in data 27.4.1994 la somma di lire 40.000.000, che era stata accettata in conto del maggior avere. La causa veniva istruita con l'espletamento di due CTU l'una diretta ad accertare causa e natura delle lesioni subite dall'attore, l'altra diretta alla determinazione dei redditi e del volume di affari dell'impresa e con l'assunzione delle prove orali proposte dalle parti. Terminata l'istruttoria, su richiesta dell'attore, il G.I. pronunciava ordinanza ai sensi dell'articolo 186 quater C.p.C., con cui, ritenuta la responsabilità dei convenuti nella determinazione dell'incidente, li condannava al risarcimento del danno che, computato l'acconto di lire 40.000.000 maggiorato della rivalutazione intervenuta fino alla data dell'ordinanza, quantificava in ulteriori lire 94.282.521, oltre rivalutazione ed interessi su tale somma progressivamente rivalutata. Con atto del 10.2.1999 ritualmente notificato i convenuti dichiaravano di rinunciare alla pronuncia della sentenza e l'ordinanza acquistava efficacia di sentenza. Avverso tale decisione il M. proponeva appello ed, in esito al giudizio, la Corte di Appello di Firenze con sentenza depositata in data 21 marzo 2006, in parziale riforma della decisione impugnata, ritenuto il concorso di colpa del M. nella misura del 70%, condannava i convenuti a risarcire il danno da questi subito nella misura del 30% che, computato l'acconto di lire 40 milioni, determinava nella residua somma di lire 18.142.721, pari ad Euro 9.369,93 oltre rivalutazione ed interessi su tale somma annualmente rivalutata dal 28 aprile 1994 al 22.12.1998 provvedeva quindi in ordine al governo delle spese. Avverso la detta sentenza il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resistono con controricorso il F. e la Zurigo Assicurazioni. Motivi della decisione Al fine di un utile inquadramento delle doglianze formulate dal ricorrente, torna utile premettere che con i primi tre motivi il M. ha censurato la decisione impugnata, sostanzialmente, sotto il profilo del quantum debeatur, mentre, con gli ultimi due motivi,ha invece lamentato l'erroneità della decisione riguardo all'accertamento delle responsabilità dei due conducenti quarto motivo e riguardo all'omessa valutazione del contributo causale delle condotte di guida ultimo motivo . Ciò posto, deve ritenersi opportuno, e non solo per comodità di esposizione, in quanto si tratta di censure riguardanti il terna dell'an debeatur, logicamente e giuridicamente assorbente, iniziare l'esame del ricorso dalla quarta e dalla quinta doglianza, la prima delle quali, la quarta, svolta sotto il profilo della motivazione insufficiente ed illogica, si fonda sulla considerazione che, essendo il fatto avvenuto su un vialetto privato non soggetto alla disciplina codicistica stradale , risulterebbe palese l'illogicità della decisione nella parte in cui assume che il M. avrebbe imboccato il vialetto contromano. Tale motivo è stato quindi accompagnato, ai fini del disposto di cui all'articolo 366 bis cpc, dalla seguente affermazione l'erroneamente ritenuto dovere codicistico o prudenziale di imbocca re il vialetto da destra ha rappresentato inidonea motivazione dell'accertamento di responsabilità prevalente del M. . L'ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli articolo 2056 e 1227 comma 1 cc e dell'omessa valutazione del contributo causale delle rispettive condotte di guida, si fonda infine sulla considerazione che la Corte di Appello non avrebbe compiuto nessuna analisi circa l'entità del contributo causale del F. . La censura è stata quindi conclusa con il seguente quesito di diritto se nella determinazione del concorso colposo del creditore-danneggiato, ex articolo 1227 cc, non si debba tener conto esclusivamente del grado della colpa inteso nel senso di livello della colpa ma innanzitutto dell'incidenza causale che le condotte colpose delle parti hanno avuto nella determinazione dell'evento . Entrambe le doglianze sono inammissibili. In primo luogo, deve rilevarsi l'inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale, non accompagnato da un momento di sintesi, omologo del quesito di diritto , idoneo a soddisfare le prescrizioni richieste, quali l'indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l'omissione, la contraddittorietà o l'insufficienza della motivazione, e l'indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione cfr Cass. ord. numero 16002/2007, numero 4309/2008 e numero 4311/2008 . In secondo luogo, con riferimento alla dedotta violazione di legge, deve sottolinearsi che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, l'ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione Sez. Unumero 28054/08 , dovendo escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un'interpretazione della motivazione Cass.14986/09 . Nel caso di specie, il quesito formulato non presenta i requisiti indicati né consiste in un interrogativo che contenga, sia pure sintetizzandola, l'indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l'applicazione, in modo da circoscrivere l'oggetto della pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto dei quesito stesso Sez. Unumero numero 23732/07 . Passando all'esame delle altre censure, va osservato che con la prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'articolo 2909 cc, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che, stante il mancato appello del capo dell'ordinanza che aveva sancito la mancanza di incidenza dei postumi sulla capacità lavorativa specifica, il passaggio in giudicato avrebbe precluso a monte le questioni inerenti il quantum del danno patrimoniale. Al contrario, la Corte avrebbe dovuto considerare che era rimasto definitivamente accertato per virtù di giudicato interno il fatto che le lesioni subite dal M. avessero compromesso la capacità di lavoro generica e la capacità di guadagno generica. Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di diritto se, data una sentenza che, pur negando ai postumi permanenti rilevanza sulla capacità lavorativa specifica, li abbia considerati comunque incidenti sul reddito di lavoro o capacità di guadagno ritenendoli, poiché di non scarsa entità, lesivi di una capacità lavorativa generica intesa autonomamente dal danno biologico , la mancata impugnazione del capo che abbia sancito detta incidenza dei postumi sul reddito da lavoro precluda al giudice investito dell'impugnazione sul quantum di rigettarla motivando proprio in ragione della mancanza di compromissione della capacità lavorativa specifica . Con la successiva doglianza, deducendo ancora la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2909 cc, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata concludendo il motivo con il seguente quesito di diritto se, data una sentenza che, pur negando ai postumi incidenza sulla capacità lavorativa specifica, abbia comunque riconosciuto il danno-conseguenza rappresentato dalla perdita della capacità di guadagno, la mancata impugnazione del capo che abbia sancito detta compromissione del reddito futuro da lavoro precluda al giudice investito dell'impugnazione sul quantum di rigettarla motivando in ragione della mancanza di lesione alla capacità lavorativa specifica . I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, meritano attenzione. A riguardo, al fine di una migliore comprensione delle due ragioni di doglianza, mette conto di sottolineare che il percorso argomentativo della Corte di merito si è fondato sulla premessa che il giudice di prime cure, sulla scorta dei rilievi del perito d'ufficio, aveva ritenuto che le lesioni subite dal M. avessero inciso soltanto sulla sua capacità lavorativa generica e non su quella specifica, non essendo rimasto dimostrato che l'attore, titolare dell'azienda dotata di diversi dipendenti, svolgesse all'interno di essa lavori manuali cfr pag. 11 della sentenza impugnata . Ciò premesso, poiché la perdita o la riduzione della capacità lavorativa generica assumerebbe rilievo esclusivamente all'interno del danno biologico, non essendo suscettibile di ulteriore ed autonomo risarcimento sotto il profilo del danno patrimoniale, e poiché il motivo di appello era limitato al profilo della liquidazione del danno patrimoniale e non anche del danno biologico, sarebbe rimasto precluso per effetto di giudicato - questa, la conclusione della Corte di merito - l'accertamento di ogni ulteriore pregiudizio rientrante nell'ambito della riduzione della capacità lavorativa generica. La conclusione dei giudici di merito, benché fondata su un principio affermato da questa Corte così, Cass. numero 15187/2004 non può essere condivisa, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità. Ed invero, fermo restando che la categoria concettuale della incapacità lavorativa generica, elaborata prima dell'individuazione di quella del danno alla salute al fine di evitare che il danneggiato privo di redditi di lavoro non conseguisse alcun risarcimento diverso da quello connesso al danno morale , non può essere utilizzata per riconoscere in modo automatico - quest'ultimo aggettivo deve essere sottolineato - un danno patrimoniale da lucro cessante come conseguenza delle lesioni ex coeteris, Cass. numero 10074/10 e fermo restando che i postumi permanenti di piccola entità, non essendo idonei ad incidere sulla capacità di guadagno, non pregiudicano la capacità lavorativa e rientrano invece nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona, deve però sottolinearsi - e la considerazione non è di poco conto - che, come ha già avuto modo di statuire recentemente questa Corte, ciò non significa che il danno biologico assorba anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell'attitudine a produrre guadagni attraverso l'impiego di attività lavorativa. Ed invero, gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono dar luogo anche ad un danno patrimoniale di lucro cessante ove eliminino o riducano la capacità di produrre reddito, cfr. Cass. numero 4493/2011 . Ciò, in quanto anche in base alla nota sentenza delle Sez. Unumero numero 26972/08, il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, la cui liquidazione non è però ostativa a che il giudice tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ivi compresi gli eventuali ulteriori danni patrimoniali derivanti dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando la cifra di invalidità, che sia venuta ad investire il danneggiato, non consenta, per la sua entità, l'esercizio di. attività lavorativa da parte del soggetto leso e dagli atti sia infatti emersa la prova della lesione della capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. Invero, nell'ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti comunque una riduzione della capacità di guadagno, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. Pertanto, alla luce di questa considerazione, non può ritenersi che il danno da riduzione dell'incapacità lavorativa generica, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, non attenga mai alla produzione del reddito, sostanziandosi sempre e comunque in una menomazione dell'integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico. Ne deriva che l'accertamento dell'eventuale ulteriore danno patrimoniale, subito dal ricorrente per effetto della riduzione della sua capacità lavorativa generica, non può ritenersi precluso in forza delle ragioni addotte dalla Corte di merito. Le due doglianze devono essere pertanto accolte, restando in esse assorbita la terza doglianza, svolta per violazione e falsa applicazione dell'articolo 4 comma primo e secondo legge numero 39/77, e fondata sulla considerazione che la Corte avrebbe dovuto sostituire al reddito fiscale quello effettivo utile di Impresa determinato dal CTU in lire 240.511.708. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti. Con l'ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, dichiara assorbito il terzo e dichiara inammissibili gli ultimi due motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.