Il committente risponde nei confronti dei terzi se limita l’autonomia dell’appaltatore

In tema di appalto, la responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile quando risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente.

Si tratta del principio di diritto più rilevante ribadito dalla seconda sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 259, depositata l’8 gennaio 2013. Il caso. Il proprietario di un appartamento, architetto, commissiona ad una impresa l’esecuzione di alcune opere di ristrutturazione, assumendo, altresì, la qualifica di progettista e direttore dei lavori. La proprietaria dell’appartamento sovrastante lamenta danni al proprio immobile quale conseguenza dell’esecuzione dei lavori, ed agisce per il ripristino ed il risarcimento degli ulteriori danni subiti. Resiste il proprietario/committente, agendo a sua volta per i danni subiti dagli illegittimi sospensione e rallentamento dell’opera commissionata. Tanto il Tribunale in primo grado, quanto la Corte d’Appello, in secondo, ravvedono la responsabilità del convenuto nella sua veste di committente, progettista e direttore dei lavori, e lo condannano al pagamento di importi – seppur diversamente quantificati – rigettando, contestualmente, la domanda di manleva rivolta dal convenuto nei confronti dell’impresa appaltatrice. Il convenuto soccombente affida il proprio ricorso in Cassazione a molteplici motivi, i più significativi dei quali riguardano i rapporti tra il proprietario, il committente ed il progettista/direttore dei lavori nei confronti dei terzi. Legittimazione passiva del proprietario dell’immobile . Il primo tema sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità è quello della legittimazione passiva del proprietario dell’immobile, di cui il ricorrente nega la sussistenza atteso che – sostiene – con l’appalto si presume che il dovere di custodia e vigilanza si trasferisca all’appaltatore, con la conseguenza che sarebbe onere di quest’ultimo o al più del danneggiato che agisce fornire sul punto la prova contraria. Secondo la Corte di Cassazione, è corretta la prospettazione del Giudice territoriale, che aveva ritenuto come l’aver provveduto personalmente, da parte del proprietario dell’immobile, alla progettazione ed alla direzione dei lavori appaltati avesse comportato il mantenimento, in capo a quest’ultimo, del dominio sull’immobile di sua proprietà. Con tale premessa, si applica al caso di specie il principio consolidato per cui, nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c., che si basa, oggettivamente, sulla mera sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo. Responsabilità dell’appaltatore e del committente nei confronti dei terzi . Sul tema, la Corte richiama ancora una volta il concetto fondamentale dell’autonomia, o meno, dell’appaltatore rispetto al committente. E’ principio consolidato, infatti, che il committente risponda nei confronti dei terzi allorquando risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall’appaltatore, che di regola opera in totale autonomia, in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto di appalto, abbia così esercitato una concreta ingerenza sull’attività dell’appaltatore, al punto da renderlo mero esecutore. Nel caso di specie, pacifico che il committente avesse anche progettato e diretto i lavori, la Corte territoriale, con argomenti condivisi dai Giudici di legittimità, aveva ritenuto non coerente la prospettazione del convenuto, il quale avrebbe semplicemente dovuto dimostrare come, viceversa, l’appaltatore avesse agito in autonomia nella realizzazione delle opere causalmente collegate ai danni riscontrati. Questi, invece, aveva valorizzato gli aspetti della consulenza tecnica che evidenziavano la cattiva esecuzione delle opere oggetto dell’appalto da cui è derivato il danno lamentato dal terzo così facendo, afferma il Supremo Collegio, si è limitato a confermare l’esistenza di un fatto determinativo di danno, ma non ha minimamente escluso la responsabilità, per lo stesso fatto, del committente progettista e, soprattutto, direttore dei lavori.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 novembre 2012 - 8 gennaio 2013, n. 259 Presidente Felicetti – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto 1. - Con citazione del novembre 1999, A G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trento, L D. per sentirlo condannare al ripristino dell'immobile di sua proprietà, sito in omissis , per i danni ad esso cagionati in conseguenza dei lavori di ristrutturazione dell'appartamento sottostante di proprietà del convenuto, nonché al risarcimento dei danni ulteriormente patiti da essa attrice. La G. , subito dopo la notificazione dell'atto di citazione, proponeva, nei confronti del D. , anche ricorso per denuncia di nuova opera in relazione agli anzidetti lavori ancora in corso di esecuzione. Il convenuto contestava la fondatezza della domanda attorea, chiedendo in via riconvenzionale la condanna della G. al risarcimento dei danni subiti per la sospensione dei lavori e per il ritardo nel completamento delle opere ad essa imputabili chiamava in causa, altresì, l'impresa Piffer Guido e C. s.n.c., che aveva eseguito i lavori di ristrutturazione, nonché la società Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., con la quale aveva stipulato una polizza assicurativa. L'impresa Piffer contestava l'esistenza di danni, mentre la società di assicurazioni assumeva che, ove fossero stati accertati i pregiudizi lamentati, gli stessi non rientravano comunque nella copertura assicurativa. 1.1. - All'esito di istruttoria, consistita nell'espletamento di consulenza tecnica d'ufficio sia nella procedura di denuncia di nuova opera, che nella causa di merito , l'adito Tribunale, con sentenza del luglio 2002, condannava il D. al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 8.088,63, oltre IVA ed interessi legali dalla domanda al saldo, nonché la G. al pagamento in favore del convenuto della somma di Euro 800,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, rigettando la domanda di manleva del D. nei confronti della Piffer s.n.c. ed accogliendo invece quella proposta dallo stesso convenuto nei confronti della società assicuratrice. Quanto al regolamento delle spese di lite, il Tribunale le compensava per metà tra la G. e il D. , il quale veniva condannato al pagamento della restante metà, oltre al pagamento delle spese processuali sostenute dalla impresa Piffer s.n.c., mentre la Levante Norditalia veniva condannata al pagamento delle spese di lite in favore del D. . 2. - La decisione del Tribunale di Trento veniva appellata in via principale dalla G. ed in via incidentale dal D. e dalla società Carige Assicurazioni S.p.A., già Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A 2.1. - Con sentenza resa pubblica il 24 febbraio 2006, l'adita Corte di appello di Trento, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava L D. al pagamento, in favore di G.A. , della somma di Euro 33.400,00, Iva compresa, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonché al pagamento dei tre quarti delle spese processuali di entrambi i gradi sostenute dall'appellante principale, compensando il restante quarto tra le stesse parti condannava lo stesso D. al pagamento delle spese del grado in favore della Piffer Guido e C. s.n.c., in liquidazione, mentre compensava le spese di appello tra il D. e la Carige Assicurazioni S.p.A 2.2. - Quanto alla preliminare eccezione del D. in ordine al proprio difetto di legittimazione passiva, per essere l'impresa appaltatrice Piffer s.n.c. l'unica responsabile del danni lamentati dall'attrice, la Corte territoriale ne affermava l'inammissibilità in ragione della sua novità. Peraltro, lo stesso giudice di appello reputava che l'eccezione fosse comunque infondata, per non aver fornito il D. , che aveva progettato e diretto i lavori in economia, appaltati alla Piffer s.n.c., la prova di aver affidato completamenti il suo appartamento all'appaltatore. La Corte territoriale respingeva, altresì, l'ulteriore eccezione proposta dal D. , che lamentava la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per aver il Tribunale, nonostante che l'attrice avesse chiesto una condanna al risarcimento danni in forma specifica, condannato esso convenuto per equivalente. 2.3. - Nel merito dell'impugnazione principale, escludeva la sussistenza di un concorso di colpa della G. nella causazione dei danni da essa lamentati ai fini del quantom debeatur valorizzava, oltre alla documentazione fotografica, le conclusioni della consulenza di parte depositata dalla G. in luogo di quelle raggiunte dal c.t.u., ritenute in parte non convincenti riteneva equo liquidare la somma di Euro 1.500,00 per il pregiudizio che sarebbe derivato alla G. per dover restare fuori casa e dover reperire una sistemazione provvisoria per un periodo di tempo superiore rispetto a quello calcolato dal ctu determinava in Euro 33.400,00 la somma definitiva per i molteplici interventi da eseguirsi per far ritornare l'appartamento nelle condizioni anteriori ai danni cagionati . 2.4. - Quanto poi all'appello incidentale proposto dal D. , la Corte territoriale, premesso che i motivi concernenti il concorso di colpa della G. e l'esorbitanza dell'importo di Euro 800,00 riconosciuto alla stessa per il reperimento di altro alloggio erano stati rigettati con l'accoglimento dell'appello principale sugli stessi punti, respingeva anche l'impugnazione incidentale nei confronti dell'impresa Piffer s.n.c., assumendo, quanto alla dedotta responsabilità dell'appaltatore, che tale eccezione era nuova e, comunque, infondata, per carenza di prova rispetto a lavori in relazione ai quali il D. oltre che quella di progettista aveva assunto anche la direzione . 2.5. - Infine, la Corte di appello di Trento respingeva il gravame incidentale della Carige Assicurazioni S.p.A. al fine di ottenere in proprio favore l'estensione della compensazione della somma di Euro 800,00 liquidati al D. a titolo di danni conseguenti alla sospensione dei lavori. 3. - Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Luciano D. , affidando le sorti dell'impugnazione a quindici motivi di censura, illustrati da memoria. Resistono con controricorso A G. - che ha depositato memoria in prossimità dell'udienza - e la ditta Piffer Guido & amp C. s.n.c Non ha svolto difese l'intimata Carige Assicurazioni S.p.A Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 345 cod. proc. civ. in relazione al rigetto per inammissibilità dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva del D. , la quale, diversamente da quanto opinato dal giudice di appello, è da ritenersi proponibile anche per la prima volta in appello, riguardando la regolare costituzione del contraddittorio . 1.1. - Il motivo è infondato. È difatti agevole rilevare che l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in appello dall'attuale ricorrente - sul presupposto della legittimazione dell'impresa alla quale aveva appaltato i lavori di ristrutturazione del proprio appartamento, come tale da reputarsi la sola responsabile dei danni lamentati dall'attrice - non riguarda la legitimatio ad causam, ma il merito della lite, giacché relativa alla titolarità, passiva, del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, risolvendosi, dunque, nell'accertamento di una situazione di fatto favorevole all'accoglimento o al rigetto della pretesa azionata. Sicché, tale questione a differenza della legitimatio ad causam, che è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio è affidata alla disponibilità delle parti, e, ove trovi applicazione come nella specie , ratione temporis, il secondo comma dell'art. 345 cod. proc. civ., nel testo successivo alle modifiche apportate dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, essa non può essere prospettata per la prima volta in sede di gravame in tale ottica, più di recente Cass., 23 maggio 2012, n. 8175 . 2. - Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1655, 1662, 2043 e 2697 cod. civ. in relazione al rigetto per infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva del D. . Avrebbe errato la Corte territoriale nell'affermare in capo al proprietario dell'appartamento nel quale si eseguono i lavori appaltati la persistente materiale disponibilità dell'immobile, giacché nel caso di appalto si presume che il dovere di custodia e vigilanza passi all'appaltatore, per cui è onere di quest'ultimo o del danneggiato ciascuno in relazione al rispettivo interesse provare che ciò non è avvenuto , là dove, nella specie, l'impresa Piffer non aveva fornito siffatta prova, né, peraltro, era risultato provato che l'appaltatore aveva agito quale nudus minister di esso committente, Sicché, le doglianze dell'attrice dovevano rivolgersi solo contro la Piffer s.n.c. e ciò in ragione del fatto illecito dannoso di quest'ultima, che aveva determinato il sorgere del rapporto tra le due parti. 2.1. - Il motivo è infondato. La Corte territoriale, sulla premessa, neppure intrinsecamente censurata, che il committente non aveva perduto ogni dominio sull'immobile di sua proprietà, giacché aveva provveduto egli stesso alla progettazione e, soprattutto, alla direzione dei lavori appaltati in economia, ha fatto corretta applicazione del principio, consolidato tra le altre, Cass., 6 ottobre 2005, n. 19474 Cass., 18 luglio 2011, n. 15734 , per cui, nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 cod. civ., che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l'evento lesivo. 3. — Con il terzo motivo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa dell'art. 112 cod. proc. civ., nonché dell'art. 2058, secondo comma, cod. civ., in relazione alla domanda della G. di risarcimento in forma specifica anziché per equivalente . Ci si duole che, in assenza di specifica domanda della G. , la Corte territoriale abbia comunque condannato esso D. al risarcimento del danno per equivalente, là dove, pur essendo la seconda un minus della prima, si rendeva comunque necessaria che fosse esplicitamente proposta. Peraltro, la violazione dell'art. 2058 cod. civ. era apprezzabile in ragione del fatto che, nella specie, i lavori di sistemazione erano perfettamente realizzabili e non sussisteva la loro eccessiva onerosità. 3.1. - Il motivo è infondato. Nessuna violazione del principio della domanda è, difatti, apprezzabile nella pronuncia impugnata, né sussiste la dedotta violazione dell'art. 2058, secondo comma, cod. civ., essendosi il giudice di appello attenuto al principio, ripetutamente affermato da questa Corte tra le altre, Cass., 18 gennaio 2002, 552 Cass., 17 febbraio 2004, n. 3004 Cass., 8 marzo 2006, n. 4925 , secondo il quale, in tema di danni, rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito il cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente anziché in forma specifica come domandato dall'attore la valutazione di cui all'art. 2058, secondo comma, cod. civ. del pari essendo insindacabile in sede di legittimità risolvendosi in un giudizio di fatto . Ciò in quanto il risarcimento per equivalente costituisce un minus rispetto al risarcimento in forma specifica e, quindi, la relativa richiesta è implicita nella richiesta di risarcimento in quest'ultima forma, per cui il giudice può condannare d'ufficio al risarcimento per equivalente senza incorrere nella violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ 4. - Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 345, terzo comma, cod. proc. civ. in relazione alla eccezione di tardività della produzione della CTP Detassis del 26.03.2003 . Ci si duole che la G. abbia prodotto la anzidetta consulenza di parte, al fine di criticare la c.t.u. redatta dall'ing. M. in primo grado, soltanto con l'atto di appello, avendone esso appellato dedotto la tardività con la comparsa di costituzione del 19 novembre 2003, senza che però il giudice del gravame si sia pronunciato sul punto. Peraltro, una implicita pronuncia di rigetto al riguardo sarebbe in violazione dell'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto il documento costituito dalla perizia di parte, o quantomeno le foto ad esso allegate, non poteva avere ingresso nel processo di secondo grado. 4.1. - Il motivo è infondato. Quanto alla doglianza che investe specificatamente la consulenza tecnica di parte, essa si infrange in ogni caso contro il principio per cui detto atto, costituendo una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, può essere prodotta sia da sola che nel contesto degli scritti difensivi della parte e, nel giudizio di appello celebrato con il rito ordinario, anche dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni Cass., 21 febbraio 1975, n. 662 Cass., 9 maggio 1988, n. 3405 . In ordine poi alla censura che riguarda la produzione documentale allegata alla consulenza tecnica di parte ossia, le fotografie , occorre premettere che l'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nell'escludere l'ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perché dotate di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia indispensabilità da apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicché solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultanze istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario cosi Cass., 5 dicembre 2011, n. 26020 . Peraltro, il requisito dell'indispensabilità - posto dalla legge per escludere che il potere del giudice venga esercitato in modo arbitrario - non richiede necessariamente un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione dell'ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di appello, dalla quale risulti, anche per implicito, la ragione per la quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio Cass., 15 novembre 2011, n. 23963 analogamente si veda Cass., 1 giugno 2012, n. 8877 . Nella specie, la Corte territoriale, nel porre anzitutto in evidenza la peculiare incidenza della consulenza tecnica di parte nella complessiva formazione del proprio convincimento in punto di consistenza dei danni lamentati dall'appellante, ha attribuito particolare risalto proprio alle fotografie ad essa allegate, che hanno rappresentato l'elemento decisivo per far preferire definitivamente le conclusioni rese al riguardo dal consulente di parte rispetto a quanto invece accertato, sempre in punto di consistenza dei danni, dalla c.t.u. espletata in primo grado, sulla quale si era basata senza riserve la decisione del Tribunale. Con ciò, rilevanza e decisività della produzione documentale hanno trovato, seppur implicitamente, piena giustificazione nella pronuncia resa dal giudice di appello, rendendo priva di consistenza la doglianza del ricorrente. 5. - Con il quinto e sesto mezzo si deduce, rispettivamente, violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 115 e 116 cod. proc. civ. ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , nonché insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo all'apprezzamento della consulenza tecnica di parte rispetto alla consulenza tecnica d'ufficio . Il ricorrente sostiene che il giudice del merito, sebbene possa fondare la propria decisione su di una consulenza stragiudiziale , deve dar conto dell'iter logico seguito nella formazione del suo convincimento, posto che la c.t.u. fornisce maggiore garanzia di affidabilità , mentre nella specie ciò non sarebbe avvenuto. La Corte territoriale avrebbe, infatti, dato credito alle foto allegate alla consulenza di parte peraltro, tardivamente prodotte , superando le conclusioni del c.t.u. e facendo proprie quelle del c.t.p. in ordine ai singoli interventi ed al loro quantum senza alcun rilievo critico e senza alcuna verifica e riscontro, soprattutto riguardo ai costi , avendo il predetto consulente indicato nel computo metrico anche interventi del tutto ingiustificati . Sicché, il giudice di appello non avrebbe ben esercitato il suo potere discrezionale di valutazione delle prove, mancando altresì di fornire adeguata e sufficiente motivazione, anche in considerazione del fatto di non aver proceduto all'assunzione delle prove orali offerte dalle parti, limitandosi agli elementi forniti dal c.t.p., peraltro smentiti dalla documentazione in atti, come la relazione della Polizia giudiziaria del 21 gennaio 1999. 5.1. - I motivi sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili. Occorre premettere che, secondo un orientamento costante di questa Corte tra le molte, Cass., 12 settembre 2003, n. 13426 Cass., 13 settembre 2006, n. 19661 Cass., 3 marzo 2011, n. 5148 , il controllo del giudice del merito sui risultati dell'indagine svolta dal consulente tecnico d'ufficio costituisce un tipico apprezzamento di fatto, in ordine al quale il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della sufficienza e correttezza logico giuridica della motivazione. In particolare, ove il giudice di primo grado si sia conformato alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, il giudice di appello può pervenire a valutazioni divergenti da quelle, senza essere tenuto ad effettuare una nuova consulenza, qualora, nel suo libero apprezzamento, ritenga, dandone adeguata motivazione, le conclusioni dell'ausiliario non sorrette da adeguato approfondimento o non condivisibili per altre convincenti ragioni. Nella specie, la Corte territoriale, assumendo a riferimento i contenuti della consulenza tecnica di parte prodotta dall'appellante, unitamente alle fotografie ad essa allegate in guisa - come già messo in risalto in precedenza - di documentazione atta a corroborare quanto evidenziato in detta consulenza, di per sé priva di autonomo valore probatorio , è giunta a ritenere, ai fini del quantum debeatur, non convincenti le conclusioni alle quali era pervenuto il c.t.u. in relazione sia alla ipotizzata sostituzione parziale delle piastrelle danneggiate del pavimento della cucina, ove non reperibili piastrelle uguali invece della diversa soluzione di sostituire le piastrelle dell'intero pavimento , sia ai rattoppi circoscritti alle sole parti danneggiate delle tramezze con evidenti fessurazioni, sia, infine, nella riduzione del 25% dei costi di ripristino di piastrelle e rivestimenti in ceramica sul presupposto che quelli danneggiati erano già vecchi . Interventi, questi, che la Corte territoriale ha inteso come escamotage tecnici non soddisfacenti, posti al fine di ridurre gli interventi di ripristino attraverso semplici riparazioni, limitando le parti da rifare . A tal riguardo, il giudice di appello ha, difatti, ritenuto che le tramezze del bagno e della cucina dovessero essere ricostruite ex novo per poter sostenere il peso dei pensili e della caldaia a gas , essendo la loro stabilità seriamente compromessa dalla fessurazione passante evidenziata nelle foto , le quali ne facevano risaltare l'importanza. Inoltre, nella sentenza impugnata si è osservato che l'appartamento della G. risultava in buono stato di manutenzione e, in particolare, tali risultavano, in base alla documentazione fotografica, le piastrelle dei pavimenti e la ceramica di rivestimento, sicché non poteva seguirsi il ragionamento del c.t.u. secondo il quale la G. avrebbe beneficiato di un arricchimento a seguito della sostituzione delle parti danneggiate ed il valore del materiale da utilizzare alla scopo avrebbe dovuto essere abbattuto del 25%, là dove - si soggiunge ancora in sentenza - non risulta che i materiali indicati nella ctp siano di maggior pregio e con caratteristiche diverse rispetto a quelli danneggiati . Trattasi, dunque, di motivazione adeguata, logicamente attrezzata e congruente, che si fonda non solo sul contenuto dell'elaborato di parte, ma, eminentemente, sul materiale fotografico acquisito ritualmente in atti. Sicché, neppure sono ravvisabili in essa i dedotti vizi giuridici ed anzi il complessivo convincimento del giudice di gravame, nel valorizzare i necessari interventi ripristinatori in luogo di quelli meramente riparatori delle parti danneggiate, trova sostanziale rispondenza anche nel principio per cui, ove siano state danneggiate talune parti di una abitazione, che, per esigenze di uniformità, traducentesi in condizioni di normale abitabilità, richiedano un intervento ripristinatorio più esteso, il diritto del proprietario dell'immobile di conseguire, a titolo di risarcimento, il rimborso dell'intera somma occorrente per tale lavoro non trova limitazioni in relazione all'eventuale vantaggio ricevuto, essendosi in presenza di un esborso per la totale eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell'illecito, che non può essere addossato al danneggiato stesso si veda, per una fattispecie di rifacimento della tinteggiatura anche delle pareti non interessate dall'evento dannoso, Cass., 3 aprile 1982, n. 2063 . Per il resto le doglianze si appalesano inammissibili, giacché, a fronte dell'anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, sorretto, come visto, da motivazione adeguata e priva di vizi logici e giuridici, il ricorrente, lungi dall'evidenziarne deficienze intrinseche, ha inteso addivenire ad una non consentita rivalutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura ad esso favorevole, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova stessa tra le altre, Cass., 26 marzo 2010, n. 7394 Cass., 6 marzo 2008, n. 6064 . 6. - Con il settimo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ., in relazione alla liquidazione a titolo risarcitorio di Euro 5.000,00 per spese legali e di Euro 2.000,00 per spese perizie tecniche . Nel far proprie le voci e le somme di cui al computo metrico estimativo del consulente di parte, la Corte territoriale avrebbe incluso anche la voce Rimborso spese legali per Euro 5.000,00 e quella Rimborso spese perizie tecniche per Euro 2.000,00 e ciò in violazione dell'art. 91 cod. proc. civ., che dispone la liquidazione in sentenza di detti esborsi unitamente agli onorari di difesa. 6.1. - Con l'ottavo ed il nono motivo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa motivazione in ordine al riconoscimento in favore della G. delle voci di danno di Euro 5.000,00 per spese legali e di Euro 2.000,00 per spese di perizie tecniche, nonostante la separata liquidazione in dispositivo delle spese processuali e dell'imputazione della complessiva somma risarcitoria liquidata in Euro 33.400,00 ai molteplici interventi che dovranno essere eseguiti per far ritornare l'appartamento nelle condizioni anteriori ai danni cagionati . 6.2. - I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono fondati. La Corte territoriale ha liquidato, in favore della G. , la somma complessiva di Euro 33.400,00, quale importo congruo rispetto ai molteplici interventi che dovranno essere eseguiti per far ritornare l'appartamento nelle condizioni anteriori ai danni cagionati importo comprensivo anche della somma di Euro 1.500,00, a titolo risarcimento per il danno conseguente al mancato utilizzo della propria abitazione ed al reperimento di sistemazione provvisoria durante il periodo dei lavori di ripristino. Le poste di Euro 5.000,00 per spese legali che la stessa controricorrente G. ha, peraltro, ammesso come non dovuta, altresì deducendo di aver fatto offerta reale di pagamento in favore del ricorrente e di Euro 2.000,00 per perizie tecniche che la G. ha, comunque, riconosciuto di non aver corrisposto , che integrano, come le stesse anzidette parti confermano, il predetto montante risarcitorio, non trovano, dunque, giustificazione alcuna in relazione al titolo del risarcimento del danno riconosciuto alla G. . Ha, dunque errato il giudice di appello nella liquidazione del danno in favore dell'appellante, ricomprendendo in essa voci che esulano dalla ragione di danno rispetto alla quale ha espressamente affermato di calibrare il ristoro dovuto. 7. - Con il decimo mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1655, 1662, 2043 e 2 697 cod. civ., in relazione al diritto alla manleva del D. nei confronti della ditta appaltatrice . Ad avviso del ricorrente, sebbene l'appaltatore risponda nei confronti del committente solo in caso di cattiva esecuzione del contratto, ciò non verrebbe ad escludere la responsabilità dello stesso appaltatore nei confronti del terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., per cui esso, quale esecutore materiale delle opere, sarebbe tenuto a manlevare l'appaltante, salvo i casi in cui vi sia stata ingerenza tale di quest'ultimo da aver reso il primo nudus minister. Nella specie, ciò non sarebbe avvenuto, posto che la ditta Piffer fece rifare i calcoli per l'installazione delle travi metalliche dall'ing. C. e poi, su indicazione di quest'ultimo, installò travi in calcestruzzo armato, così da organizzare i propri lavori senza alcuna interferenza da parte dell'arch. D. riguardo ai metodi di lavoro e gestione del cantiere e con propria autonomia decisionale d operativa. Peraltro, era onere della Piffer s.n.c. provare l'esistenza di un appalto a regia , posto che l'autonomia dell'appaltatore si presume, cosi come la sua responsabilità. 7.1. - Con l'undicesimo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa e comunque insufficiente motivazione in ordine alla responsabilità dell'appaltatore nella causazione dei danni . La Corte territoriale, nell'affermare la mancanza di prova della responsabilità della Piffer s.n.e., avrebbe del tutto omesso di considerare le critiche alla conduzione dei lavori da parte della ditta appaltatrice presenti nell'espletata c.t.u 7.2. - I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono infondati. È principio consolidato quello per cui, in tema di appalto, la responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile quando risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall'appaltatore - che di regola opera in autonomia - in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto, abbia in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull'attività dell'appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore tra le tante, Cass., 27 maggio 2011, n. 11757 Cass., 20 settembre 2011, n. 19132 . Nella specie, la Corte territoriale, senza invertire l'onere della prova, ha ritenuto comprovato che il D. non solo avesse progettato i lavori, appaltati in economia alla ditta Piffer s.n.c., ma anche provveduto alla direzione degli stessi. Tale assunto non ha invero trovato specifica e coerente censura da parte del ricorrente, il quale, per un verso, ha addotto una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accolta dalla sentenza impugnata, così da introdurre, inammissibilmente Cass., 26 marzo 2012, n. 4787 , temi nuovi e non dibattuti in precedenza per altro verso, ha mancato di proporre specifici mezzi di denuncia in ordine ad eventuali omissioni da parte della Corte territoriale nell'integrazione istruttoria della controversia rispetto ai fatti che soltanto in questa sede deduce. Sicché, in aderenza al principio di diritto sopra enunciato, è dunque coerente l'ulteriore affermazione del giudice di merito circa il mancato riscontro della responsabilità dell'appaltatore in una situazione che vedeva quest'ultimo come mero esecutore delle opere appaltate. Così come, in siffatto contesto, risulta irrilevante ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'appaltatore nudus minister porre in risalto gli accertamenti della consulenza tecnica d'ufficio peraltro, tramite un richiamo solo parziale dell'elaborato sulla cattiva esecuzione delle opere oggetto dell'appalto da cui è derivato il danno lamentato dal terzo, giacché con ciò si viene a confermare l'esistenza di un fatto determinativo di danno, ma non già ad escludere la responsabilità per lo stesso fatto del committente progettista e, soprattutto, direttore dei lavori. 8. - Con il dodicesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla domanda del D. in sede di appello incidentale relativamente alla misura dei danni dal medesimo subiti e liquidati in solo Euro 800,00 . Con la comparsa di costituzione in appello del 19 novembre 2003, esso D. aveva chiesto la rideterminazione dell'importo risarcitorio liquidatogli dal Tribunale, sia per la sua inadeguatezza, sia per la mancata considerazione del tempo necessario per gli interventi di consolidamento del solaio comune tra i due appartamenti nonché del costo per lo smontaggio ed il reimpianto del cantiere, quantificato in Euro 1.000,00 . Inoltre, esso appellante incidentale aveva chiesto il risarcimento del danno ammontante ad Euro 4.000,00 per il tempo perso . per interventi e sopralluoghi in dipendenza delle iniziative della G. presso il Comune di Trento . 8.1. - Il motivo - con cui chiaramente si deduce l'omessa pronuncia su domanda oggetto di appello incidentale, puntualizzandosi altresì i relativi estremi e contenuto - è fondato. Come emerge già dalla stessa sentenza impugnata, il D. , con il proposto gravame incidentale, aveva concluso per la riforma della sentenza del Tribunale di Trento, chiedendo la condanna della G. al risarcimento dei danni subiti e subendi per l'ingiustificata sospensione dei lavori comunque in misura superiore a Euro 800,00 per il tempo necessario agli interventi di consolidamento del solaio comune per il costo di smontaggio e reimpianto del cantiere per il tempo perso a causa degli interventi e sopralluoghi richiesti e provocati dalla G. sia prima che dopo il rilascio della concessione edilizia, con eventuale liquidazione equitativa ex art. 122 6 c.c. . Nessuna statuizione ha assunto la Corte d'appello su tale domanda di danni, non rinvenendosi in sentenza alcuna argomentazione nella quale, peraltro, possa riconoscersi un esame della stessa. 9. - Con il tredicesimo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa motivazione in ordine alla liquidazione in favore della G. di una somma per inutilizzo del proprio appartamento durante i lavori nonostante tale appartamento sia privo del certificato di abitabilità . Nel riconoscere l'importo risarcitorio di Euro 1.500,00 alla G. per il reperimento di altro alloggio durante i lavori di sistemazione del proprio appartamento, la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla questione, rilevata da esso D. , della mancanza del certificato di abitabilità dell'appartamento, siccome risultante da documentazione in atti, con la conseguenza che l'immobile non avrebbe potuto essere utilizzato ed il Comune avrebbe potuto procedere, ai sensi dell'art. 222 del T.U.LL.SS. all'ordine di sgombero sicché la somma riconosciuta costituisce risarcimento di un'attività illecita, come tale inammissibile . 9.1. - Il motivo non può trovare accoglimento. Pur in disparte il profilo di inammissibilità dello stesso giacché si deduce una omessa motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., mentre sembra piuttosto che si intenda denunciare una mancata pronuncia su specifica eccezione di parte, che avrebbe dovuto essere veicolata ai sensi del n. 4 dello stesso art. 360 e con specifica indicazione delle modalità di proposizione dell'eccezione stessa in sede di gravame , esso è comunque privo di consistenza. Difatti, non è censurato l'accertamento sul fatto che la G. abbia comunque utilizzato l'immobile come propria abitazione, mentre è assolutamente generico - e comunque in alcun modo calato nella realtà della vicenda oggetto di controversia - l'assunto sul quando il certificato di abitabilità sia mancato in riferimento al tempo del verificarsi del fatto dannoso e, soprattutto, sulla carenza di detto certificato ai fini della effettiva e non già astratta inutilizzabilità dell'immobile medesimo. Ciò in quanto, non ponendosi nella specie questione di circolazione giuridica del bene immobile, ma questione della sussistenza di un danno per impossibilità dell'utilizzo dell'abitazione, occorre considerare che la mancanza del certificato di abitabilità non esclude di per sé la conformità dell'abitazione stessa alle norme igienico-sanitarie Cass., 6 dicembre 1984, n. 6403 , né, quindi, la sua utilizzazione in concreto, con la conseguenza che non impinge in errore di diritto la decisione del giudice di appello che ha riconosciuto alla G. il risarcimento del danno per la mancata fruizione, per un certo lasso di tempo, del proprio appartamento a causa del fatto illecito ascrivibile al D. si veda, per una fattispecie speculare, in cui è stato escluso il risarcimento del danno per aver gli istanti concretamente utilizzato il proprio appartamento pur in assenza del certificato di abitabilità, Cass., 20 aprile 1976, n. 1377 sulla rilevanza della concreta utilizzazione del bene locato, nonostante il mancato rilascio della relativa abitabilità, si veda Cass., 25 maggio 2010, n. 12708 . 10. - Con il quattordicesimo ed il quindicesimo motivo si deduce, rispettivamente, violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 cod. civ. ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al concorso di colpa della G. . Sarebbe, anzitutto, contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata là dove da credito alle risultanze della c.t.u. soltanto per escludere il concorso di colpa della G. nella causazione dei danni lamentati, mentre lo si ritiene inattendibile per il resto. Peraltro, non sarebbe neppure rispondente al vero che il c.t.u. abbia escluso chiaramente il concorso di colpa della G. , evidenziandosi nella consulenza la presenza di vecchie fessurazioni, non collegabili direttamente con i lavori eseguiti dal D. , nonché l'incertezza sul fatto che i lavori realizzati nel 1991 dalla G. avessero, o meno, determinato un incremento dei carichi gravanti sul solaio ligneo . Insufficiente e contraddittoria sarebbe poi la motivazione là dove rileva che la G. avrebbe solo demolito . alcune tramezze ed aperto una finestra nel bagno , cosi da addossare ai lavori eseguiti dal D. l'intera eziologia dei danni, senza considerare che i lavori realizzati dall'attrice tra il 1991 ed il 1995 avevano riguardato la demolizione del muro di spina centrale dell'immobile , senza predisporre opera di consolidamento sul solaio sottostante e in difformità dalla concessione edilizia, come risulterebbe dall'ordinanza di riduzione in pristino del Comune di Trento, prodotta in atti. Inoltre, sarebbe stato necessario acquisire nozioni tecniche particolari per valutare il nesso causale tra i danni lamentati e i precedenti lavori realizzati dalla stessa G. , là dove risulterebbe irrilevante la diversa scansione temporale degli interventi e che i danni provocati dalla G. non sono stati immediatamente rilevati in quanto all'epoca l'appartamento sottostente del D. non era abitato . 10.1. - I motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, non possono trovare accoglimento. La doglianza con la quale si fa valere un vizio di violazione di legge è, di per sé, inammissibile cosi come prospettata, posto che, nella sua assoluta genericità e in assenza di qualsivoglia indicazione sulle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, è impedito a questa Corte di svolgere il proprio ruolo istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione tra le altre, Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010 . Ciò detto, entrambe le censure si risolvono in una denuncia di un vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del dedotto concorso di colpa della G. nella causazione del danno da essa stessa patito, che la Corte territoriale ha invece ascritto integralmente al D. . Secondo orientamento risalente e consolidato si veda già Cass., 29 marzo 1969, n, 1035 , l'indagine intesa ad accertare se l'evento dannoso sia dipeso da colpa concorrente dell'autore del fatto illecito e del danneggiato si risolve in un giudizio di fatto, che, se adeguatamente motivato ed immune da errori logici o giuridici, si sottrae al sindacato di legittimità. Nella specie la sentenza impugnata ha evidenziato, sia attingendo dalle conclusioni della espletata c.t.u., sia traendo il proprio convincimento direttamente dalla documentazione fotografica in atti, che non era riscontrabile un concorso di colpa della G. ricollegabile ai lavori della medesima eseguiti nel suo appartamento nel periodo dal 1991 al 1995. In tal senso deponeva, per l'appunto, l'elaborato peritale, ma, altresì, risultava logicamente dal fatto che i lavori anzidetti avevano riguardato modifiche interne, con la demolizione di tramezze e l'apertura di una finestra nel bagno, sicché non potevano ad esse eziologicamente ricollegarsi il distacco con crepe di tramezze dal soffitto, le fessurazioni dei pavimenti e delle ceramiche di rivestimento del bagno, la sconnessione della porta di ingresso, le fessurazioni della parete portante sud e tutti gli ulteriori danni documentati attraverso numerose foto , da ascriversi integralmente alle demolizioni effettuate dal D. nell'appartamento sottostante che hanno determinato la perdita di appoggio di solai con sconnessione e movimento degli stessi in particolare, la demolizione del muro portante della facciata sud, con intervento negativamente incisivo sulla stabilità dell'immobile . La sentenza impugnata si sottrae, dunque, alle censure ad essa mosse dal ricorrente, posto che l'affermata insussistenza di un concorso di colpa della G. nella verificazione del danno si lega ad impianto motivazionale adeguato, coerente, supportato da idonei riscontri probatori e privo di errori giuridici, mentre le doglianze del ricorrente sono lungi dall'attingere alla necessaria specificità di prospettazione, fondandosi su estrapolazioni parziali della consulenza tecnica d'ufficio e della stessa motivazione della sentenza impugnata, nonché propongono una diversa lettura degli atti processuali e della vicenda controversa, cosi sovrapponendosi, inammissibilmente, all'accertamento riservato al giudice del merito come già in precedenza ricordato, alla stregua di un orientamento stabile di questa Corte ex plurlmis, le citate Cass. n. 7394 del 2010 e Cass. n. 6064 del 2008 . 11. - Vanno, dunque, accolti il settimo, l'ottavo, il nono ed il dodicesimo motivo di ricorso, mentre devono essere rigettati i restanti motivi. La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione ai motivi accolti ed il giudice del rinvio dovrà attenersi, per ciò che concerne la determinazione del quantum debeatur dovuto alla G. , a quanto si è statuito in riferimento all'esame congiunto dei motivi settimo, ottavo e nono al p. 6.2 che precede inoltre, alla stregua di quanto si è statuito in sede di esame del dodicesimo motivo di ricorso al p. 8.1. che precede, dovrà esaminare la domanda di danni proposta dal D. sulla quale il giudice di appello non si è pronunciato. Infine, il medesimo giudice del rinvio dovrà provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il settimo, l'ottavo, il nono ed il dodicesimo motivo di ricorso e rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Trento, che provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.