Terrazzo difettoso, pavimento sollevato. A sette anni dai lavori paga comunque il costruttore

Accolta la richiesta di risarcimento avanzata dai proprietari dell’immobile, che avevano effettuato l’acquisto direttamente dalla società immobiliare che aveva realizzato l’opera. Resiste la presunzione di responsabilità, nonostante il tempo trascorso e nonostante l’ulteriore intervento, sempre sul terrazzo, di un’altra impresa.

Terrazzo difettoso. A testimoniarlo il pavimento sollevatosi all’improvviso. Legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai proprietari dell’appartamento. E a pagare dovrà essere la società immobiliare che ha realizzato e venduto l’immobile, nonostante siano passati ben sette anni dalla ultimazione dei lavori Cassazione, ordinanza n. 16815/2012, Sesta Sezione Civile, depositata oggi . Opera pronta? Consegna ‘chiavi in mano’, nell’anno di grazia 1998, dell’appartamento con annesso terrazzo. Portate a termine anche le rifiniture, portata a termine la vendita opera pronta e finalmente di proprietà della coppia. A distanza di sette anni, però, arriva una sgradevole sorpresa il pavimento del terrazzo si solleva in maniera evidente. La piccata reazione dei proprietari si concretizza nell’azione di risarcimento avanzata contro la società immobiliare che ha realizzato e venduto l’appartamento. Richiesta legittima? Assolutamente sì, secondo il Giudice di pace prima e secondo il Tribunale poi. Decisiva la presunzione semplice di responsabilità a carico dell’appaltatore. Dimostrazione mancata. Secondo la società, però, la decisione di accogliere la domanda di risarcimento dei danni proposta dai proprietari dell’appartamento è assolutamente illogica. Soprattutto tenendo presenti due elementi primo, i sette anni passati tra il completamento della costruzione e il manifestarsi del problema secondo, l’intervento, realizzato in tempi molto più recenti, sul terrazzo ad opera di un’altra impresa. Per il legale della società – che propone ricorso per cassazione – manca la dimostrazione, da parte dei proprietari, del nesso tra l’operato della società e i vizi dell’immobile. Tale osservazione, però, viene respinta dai giudici, i quali, difatti, nonostante il tempo trascorso dal completamento dell’immobile, ribadiscono il valore del principio fissato in secondo grado. Più precisamente, la presunzione di responsabilità resta a carico dell’appaltatore, che può ‘superarla’ solo attraverso la prova dell’ascrivibilità del fatto al fortuito o all’opera di terzi . Essendo mancato tale elemento, è logica, e da confermare, la condanna della società a risarcire i danni ai proprietari dell’appartamento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 luglio – 3 ottobre 2012, n. 16815 Presidente Goldoni – Relatore Buccianti In fatto e diritto La Corte ritenuto che - si è proceduto nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c. - la relazione depositata in cancelleria è del seguente tenore ‘‘Con sentenza n. 721/2009 il Giudice di pace di Bassano del Grappa, in applicazione dell’art. 1669 c.c., condannò la s.r.l. Immobiliare Lara a pagare a F.V. e I.F. la somma di 2.500,00 euro, oltre agli interessi, a titolo di risarcimento dei danni derivati da vizi della pavimentazione del terrazzo annesso all’appartamento che nel 1998 la convenuta aveva realizzato e venduto agli attori. Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dal Tribunale di Bassano del Grappa, che con sentenza n. 690/2010 ha rigettato il gravame, ritenendo tra l’altro - per quanto rileva in questa sede - che ‘‘l’art. 1669 c.c. pone a carico dell’appaltatore una presunzione semplice di responsabilità la quale può essere vinta dallo stesso attraverso la prova dell’ascrivibilità del fatto al fortuito, all’opera di terzi, ovvero del committente o del suo direttore dei lavori o del progettista v. Cass. n. 5624/1984 e 2123/1991 ’’. La s.r.l. Immobiliare Lara ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. F.V. e I.F. si sono costituiti con controricorso. Con entrambi i motivi di ricorso la s.r.l. Immobiliare Lara lamenta di essere stata erroneamente e ingiustificatamente gravata dal giudice a quo della prova dell’assenza del nesso di causalità tra il proprio operato e i vizi dell’immobile, manifestatisi ben sette anni dopo la costruzione e quando da poco era stato realizzato un intervento ad opera di un’altra impresa sul terrazzo, anche se in una zona diversa da quella interessata dal fenomeno del sollevamento della pavimentazione. La censura appare manifestamente infondata, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, pertinentemente richiamata nella sentenza impugnata e nel controricorso v., tra le altre, Cass., 16 dicembre 2000 n. 15488 , secondo cui ‘‘la responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. è riconducibile alla violazione di primarie regole di rilievo pubblico dettate per assicurare la sicurezza dell’attività costruttiva, sì da potersi configurare una sua attrazione nell’ambito della responsabilità extracontrattuale nondimeno, dal crollo o dalla rovina di un edificio deriva, a carico di chi quell’edificio abbia costruito, una presunzione iuris tantum di responsabilità, che può essere vinta dall’appaltatore attraverso la prova dell’ascrivibilità del fatto al fortuito o all’opera di terzi’’. Non è pertanto condivisibile la tesi della ricorrente, la quale sostiene che competeva agli originari attori ‘‘dimostrare sia la sussistenza del vizio costruttivo originario, che il nesso di causalità materiale tra tale vizio e l’evento’’. Si ritiene quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375, n. 5, seconda ipotesi, c.p.c.’’ - il ricorrente ha presentato una memoria il suo difensore e il pubblico ministero sono comparsi e sono stati sentiti in camera di consiglio - il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie, osservando che non sono state efficacemente contrastate con gli argomenti esposti dalla ricorrente nella memoria e nell’audizione orale, i quali si basano su principi giurisprudenziali ormai superati da quelli richiamati nella relazione - il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione sostenute dal resistente, che si liquidano in 200,00 euro, oltre a 1.500,00 euro per onorari, con gli accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 euro, oltre a 1.500,00 euro per onorari, con gli accessori di legge.