Portone troppo veloce o ragazzo troppo lento? Impatto forte, lesioni evidenti: è il condominio a dover dimostrare il funzionamento dell’impianto

Il movimento di chiusura porta allo scontro tra la pesante anta del portone dell’immobile e un ragazzo che era in procinto di uscire dal palazzo. Ribaltata la linea seguita in primo e in secondo grado non è possibile addebitare alla persona vittima dell’incidente l’onere di attestare l’irregolarità della chiusura.

Una corsa lungo le scale per uscire in strada, magari per andare fuori a giocare insieme agli altri ragazzi, e poi l’ultimo salto per attraversare l’ingresso del palazzo. Poi, all’improvviso, il portone, pesante, si richiude, bloccando l’uscita e, soprattutto, colpendo duramente il ragazzo, che riporta lesioni serie. A risponderne deve essere, comunque, il condominio che gestisce l’immobile, anche se il comportamento della persona rimasta vittima dell’infortunio è stato caratterizzato da ‘riflessi lenti’ Cassazione, sentenza numero 10860, terza sezione civile, depositata il 28 giugno . Moviola? Eppure, sia in primo che in secondo grado le rimostranze dei genitori del ragazzo, rimasto ferito a causa del colpo, erano state respinte nessun risarcimento, difatti, a carico del condominio. Soprattutto perché, spiegano i giudici, l’incidente si era verificato per una ragione precisa il ragazzo era rimasto nel raggio di chiusura dell’anta, con conseguente responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro, posto che il meccanismo era tale che chiunque fosse rimasto nella lunetta disegnata dal rientro del battente era destinato a essere investito . Secondo questa ricostruzione dei fatti, è chiaro l’addebito mosso al ragazzo, ossia l’essere uscito troppo lentamente, attardandosi nello spazio del portone d’ingresso. Senza questo comportamento, in sostanza, non ci sarebbe stato l’incidente Responsabilità. Ma tale visione viene contestata direttamente dal ragazzo, oramai divenuto maggiorenne, con un ricorso ad hoc in Cassazione, fondato sul principio della responsabilità per il danno cagionato da cosa in custodia . Secondo il legale che rappresenta il ragazzo, difatti, si è erroneamente cancellato il ruolo del condominio, dando un’interpretazione non giusta all’episodio, ossia all’incidente verificatosi nel momento in cui la persona era transitata attraverso il portone d’ingresso per uscire dal condominio e il battente si era chiuso immediatamente . Punto di riferimento imprescindibile, per i giudici della Cassazione, è la giurisprudenza, che, a più riprese, ha affrontato la delicata tematica della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia . A tale proposito, viene ricordato che spetta al custode , ossia al condominio, in questo caso, provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere il nesso causale . Passando poi dalla teoria alla pratica, i giudici riprendono in mano l’episodio, sottolineando che, alla luce di quanto ricostruito, l’incidente ebbe a verificarsi mente il ragazzo usciva fuori quindi, l’anta del portone d’ingresso, notoriamente pesante, ebbe ad attingere l’infortunato nel momento in cui lo stesso si accingeva ad abbandonare l’interno del condominio, portandosi, attraverso l’uscio, all’esterno . Ma il passaggio a vuoto è rappresentato dall’aver addossato al ragazzo l’onere di provare l’immediatezza e, in definitiva, l’irregolarità della chiusura dell’anta piuttosto, spettava al condominio, evidenziano i giudici, dimostrare il buon funzionamento del portone d’ingresso e, quindi, la addebitabilità dell’episodio al ragazzo, attestando che quest’ultimo contro le più elementari regole di prudenza, si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente . Una volta ristabilito l’ordine ‘naturale’ della responsabilità, è in questo quadro che la vicenda deve essere nuovamente valutata – dai giudici d’Appello a cui la questione viene riaffidata – per addivenire a una decisione definitiva sulla possibilità di un risarcimento dei danni subiti dal ragazzo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 aprile – 28 giugno 2012, n. 10860 Presidente Uccella – Relatore Amendola Svolgimento del processo S.G. e M.P., nella qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul figlio D.P., convennero in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Piedimonte Matese il Condominio Palazzo Cuzzone di via Epitaffio in Piedimonte Matese, per ivi sentirlo condannare a risarcire al minore i danni da questi patiti in data 21 agosto 2004 a causa della chiusura improvvisa e accidentale del portone d’ingresso. Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò l’avversa pretesa. Chiese, ed ottenne, di chiamare in causa RAS Assicurazioni s.p.a., per esserne manlevato in caso di soccombenza. Con sentenza del 14 ottobre 2005 il Giudice di Pace rigettò la domanda. Proposto dai soccombenti gravame, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 25 gennaio 2010, lo ha respinto. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte D.P., divenuto nelle more maggiorenne, formulando un unico motivo e notificando l’atto al Condominio Palazzo Cuzzone di via Epitaffio in Piedimonte Matese e ad Allianz s.p.a. già RAS Assicurazioni s.p.a. . Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1 Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito, ricordati i principi che governano la responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 cod. civ., ha ritenuto inattendibile la deposizione del teste escusso, avendo questi affermato che il ragazzo si era infortunato dopo essere uscito dal portone di ingresso, laddove nell’atto di citazione si assumeva che il minore si trovava all’interno del condominio. In ogni caso, ha aggiunto, l’incidente si era verificato perché il P. era rimasto nel raggio di chiusura dell’anta, con conseguente responsabilità esclusiva dello stesso nella causazione del sinistro, posto che il meccanismo era tale che chiunque fosse rimasto nella lunetta disegnata dal rientro del battente era destinato a essere investito. 2 Nell’unico motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2051, 2043, 2697 e 1227 cod. civ., nonché vizi motivazionali, il ricorrente sostiene che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno del disposto dell’art. 2051 cod. civ., avendo escluso la responsabilità del condominio benché questi non avesse fornito alcuna prova in ordine alla ricorrenza di un caso fortuito idoneo a interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia - nella fattispecie, il portone di ingresso del palazzo - e il danno subito dall’attore. Aggiunge che nessuna contraddizione era ravvisabile tra la versione dei fatti fornita dall’unico teste escusso e quella esposta in citazione, assumendosi in entrambe che il sinistro si era verificato nel momento in cui l’attore era transitato attraverso il portone d’ingresso per uscire dal condominio, e ciò tanto più che il teste aveva confermato che il battente si era chiuso immediatamente. Né il convenuto aveva mai dimostrato che la condotta del minore era stata causa esclusiva dell’evento dannoso. 3 Le censure sono fondate per le ragioni che seguono. La tormentata elaborazione dei principi giuridici che governano la materia della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, ex art. 2051 cod. civ., è approdata, nella giurisprudenza di legittimità, alle seguenti affermazioni - la responsabilità prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento la responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 3229 Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279 Cass. civ. 5 dicembre 2008, n. 28811 - la radicale oggettivazione dell’ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata, che rende più congruo parlare di rischio da custodia piuttosto che di colpa nella custodia e di presunzione di responsabilità piuttosto che di colpa presunta , comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un’attività o una condotta colposa del custode, di talché, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279 - posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi, traendo profitto dalla cosa, si trova nelle condizioni e di doverne sopportare gli incommoda e di controllarne i rischi, deve considerarsi custode chi di fatto ne governa le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario - ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è esclusa, come si diceva innanzi, solamente dal caso fortuito, che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull’elemento psicologico dell’illecito, e che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029 Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279 Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15384 - al danneggiato compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo più nello specifico, ricordato che la responsabilità presunta per danni da cose in custodia è configurabile anche con riferimento ad elementi accessori, pertinenze inerti e qualsivoglia altro fattore che, a prescindere dalla sua intrinseca dannosità o pericolosità, venga a interferire nella fruizione del bene da parte dell’utente, la prova che il danneggiato deve dare, anche a mezzo di presunzioni, consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia spetta invece al custode provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale confr. Cass. civ. 19 maggio 2011, n. 11016 Cass. civ. 2 febbraio 2007, n. 2308 . 4 Venendo al caso di specie, l’insufficienza dell’approccio del giudice di merito emerge già dalle ragioni addotte a sostegno della ritenuta, scarsa attendibilità della deposizione del V. Non si vede, infatti, dove sia il rilevato contrasto tra la ricostruzione dei fatti dallo stesso fornita e quella posta a fondamento della domanda, posto che il teste, affermando che il sinistro ebbe a verificarsi mentre il ragazzo usciva fuori, ha in sostanza confermato che l’anta del portone d’ingresso, notoriamente pesante, ebbe ad attingere l’infortunato nel momento in cui lo stesso si accingeva ad abbandonare l’interno del condominio, portandosi, attraverso l’uscio, all’esterno. A ciò aggiungasi che, in disparte ogni rilievo in ordine alla sostanziale apoditticità della svalutazione delle informazioni fornite dal teste V. sul funzionamento del portone, informazioni riportate sia in sentenza che nel ricorso, il giudice di merito ha in sostanza addossato all’attore l’onere di provare l’immediatezza e in definitiva l’irregolarità della chiusura dell’anta, così in sostanza violando il disposto dell’art. 2051 cod. civ., nella portata assunta per consolidato diritto vivente. L’errore giuridico in cui è caduto il Tribunale ha avuto una plastica ricaduta nell’affermazione che il ragazzo era rimasto nel raggio di chiusura dell’anta, affermazione che, non suffragata da alcun elemento oggettivo, è evidentemente frutto di una presunzione che contra ius addossa al danneggiato, piuttosto che al custode, l’onere di provare l’insussistenza del caso fortuito, costituito, nella fattispecie, dal comportamento della stessa vittima. Non par dubbio infatti che, sotto il profilo dell’art. 2051 cod. civ., spettasse al Patrone dimostrare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, e cioè la dipendenza eziologica dei pregiudizi da lui riportati per effetto della chiusura del portone d’ingresso mentre incombeva sulla controparte dare la prova del fortuito, in sostanza deducendo, e dimostrando, il buon funzionamento del dispositivo MAB e la correlativa addebitabilità dell’evento all’utente che, contro le più elementari regole di prudenza si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente. 4 Deriva da quanto sin qui detto che, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione, che, nel decidere, sì atterrà al seguente principio di diritto la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l’attore dimostri il verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione.