Sinistro stradale: l'appello di uno dei litisconsorti necessari spiega effetti anche nei confronti degli altri

Nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli, quando il danneggiato proponga azione diretta nei confronti dell'assicuratore si instaura un rapporto processuale trilatero ed inscindibile, comprendente anche l’assicurato. Così la sentenza, statuendo sull'appello proposto, spiega i propri effetti anche nei confronti dell'assicurato, sebbene quest'ultimo non abbia avanzato appello incidentale.

La vicenda decisa dalla Terza Sezione con la sentenza 9727/12 con deposito del 14 giugno trae origine da un incidente stradale in cui un'auto investe una donna che muore a seguito delle lesioni riportate. La vicenda pregressa. Gli eredi hanno, infatti, agito giudizialmente per ottenere l'integrale risarcimento del danno subito promuovendo la speciale azione diretta nei confronti dell'assicuratore, prevista dal combinato disposto degli artt. 18 e 23 della l. n. 990/69 norma abrogata a seguito dell'introduzione del cd. Codice delle Assicurazioni, d. lgs. 209/05, che prevede l'azione diretta nell'attuale art. 147 . Nel corso del giudizio di primo grado, peraltro, la compagnia assicurativa in causa venne posta in liquidazione coatta amministrativa, e dovette quindi intervenire la Compagnia designata dal Fondo di Garanzia. L'appello veniva proposto dall'impresa in liquidazione e dalla Compagnia designata, in adesione . La Corte riduceva la liquidazione delle somme da versare. La sentenza di secondo grado viene quindi impugnata con ricorso per cassazione e due sono gli aspetti di interesse. Necessaria unicità della sentenza di condanna . Senza discostarsi dai precedenti, la Terza Sezione ricorda che nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, quando il danneggiato proponga azione diretta nei confronti dell'assicuratore si instaura un rapporto processuale trilatero ed inscindibile tra danneggiato, assicurato e assicuratore con la conseguenza che la sentenza, la quale decide sull'appello proposto dall'assicuratore della R.C.A., spiega i propri effetti anche nei confronti dell'assicurato, sebbene quest'ultimo non abbia proposto appello incidentale . Infatti la controversia che si instaura tra i tre soggetti legati da due obbligazioni affatto diverse rispettivamente il fatto illecito nel rapporto danneggiato-danneggiante/assicurato e il contratto assicurativo nel rapporto assicurato-assicurazione è ontologicamente una e una sola e pertanto deve concludersi con una decisione valevole in maniera univoca nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, che d'altra parte sono litisconsorti necessari. Siamo cioè di fronte a una causa inscindibile ex artt. 331 e 334 c.p.c. con la conseguenza che basta l'impugnazione proposta da uno dei litisconsorti perché la sentenza non possa passare in giudicato non è quindi possibile il fenomeno cd. del giudicato interno per nessuno di essi. Quale massimale per 'mala gestio' in caso di impresa in liquidazione coatta amministrativa ? Un'altra delle censure sollevate che merita attenzione è quella relativa al massimale applicabile all'impresa designata in ipotesi di mala gestio . I ricorrenti chiedono infatti si applichi il massimale di polizza più alto rispetto al massimale minimo legale previsto dall'art. 21 l. n. 990/69, ora art. 283 Codice delle Assicurazioni . Anche tale prospettazione viene respinta, e la motivazione addotta e anche in questo caso non costituisce una novità è che l'obbligazione da mala gestio costituisce una obbligazione accessoria rispetto a quella di risarcimento o meglio indennizzo, trattandosi dopo l'intervento del Fondo di Garanzia di un sistema di indennizzo, soggetto a taluni limiti e in questo modo viene rispettata la ratio della previsione dei massimali di legge, posti a tutela non solo del danneggiato ma anche del Fondo di garanzia . Peraltro, trattandosi di limiti ex lege , l'impresa designata non ha necessità di provare l'importo del massimale minimo applicabile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 maggio – 14 giugno 2012, numero 9727 Presidente Massera – Relatore Giacalone In fatto e in diritto 1. F S. , G S. , S.M. e P. , i primi due, genitori, e gli altri, fratelli di St.Ma. , deceduta in conseguenza delle lesioni subite nell'incidente del XXXXXXX, quando F P. l'aveva investita alla guida della propria auto Fiat 128/B, lungo la XXXXXXXX nel territorio di OMISSIS , convennero davanti al Tribunale di Frosinone, il Pi. e il suo assicuratore, la società Firs Italiana, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. Si costituirono i convenuti e, nel chiedere la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello in corso davanti al Tribunale Penale di Napoli nei confronti del Pi. , imputato di omicidio colposo, negarono la responsabilità, quanto meno esclusiva, di quest'ultimo nella determinazione dell'incidente. Il giudizio penale, nel quale era stata emessa sentenza di condanna del Pi. , impugnata da quest’ultimo, si concluse con declaratoria di improcedibilità per morte dell'imputato, avvenuta il XXXXXXX. Tale evento determinò anche l'interruzione del presente processo, riassunto dagli attori con ricorso del 19/2/93, e nuovamente interrotto a causa della sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa della Firs. Poiché nelle more era deceduto anche F S. , S.G. , S.M. e P. , con ricorso del 29/3/95, riassunsero il giudizio, anche quali eredi del primo, nei confronti degli eredi del Pi. , la moglie L B. e la figlia R. , della liquidazione della Firs, e dell'Assitalia quale impresa designata per la liquidazione mentre le eredi del Pi. non si costituirono, le società, costituendosi, proposero le difese già spiegate in precedenza dall’assicuratrice allora in bonis, rilevando che comunque la condanna non avrebbe potuto superare il massimale, fissato in L. 100.000.000. 2. Il Tribunale affermò la responsabilità esclusiva del Pi. e condannò le eredi di questo in solido con l'Assitalia, al risarcimento del danno, nella liquidazione del quale, riconosciuta la ricorrenza e risarcibilità, sia del danno morale, inteso come nocumento che i congiunti della vittima subiscono per la sua morte, e del quale chiedevano il risarcimento ture proprio, sia quello biologico consistente nella lesione dell'integrità fisica con esito letale, patita direttamente dalla vittima nel tempo intercorso tra le lesioni e la morte, e quindi acquisita dalla stessa e trasferita agli eredi che ne chiedono il risarcimento ture hereditatis, procedette alla quantificazione, limitandosi ad attestare per essa l'adozione del criterio equitativo e quindi enunciando gli importi dovuti a ciascuno dei danneggiati, Euro 240.668,91 alla Sa. , Euro 178.694.09 a P S. ed Euro 187.990 23 a S.M. , con la sola precisazione che tali somme, attualizzate e decurtate della provvisionale imposta dal giudice penale, erano comprensive, oltre che del danno biologico subito dalla vittima, anche della quota parte ereditaria relativa al risarcimento dovuto a F S. . 2.1. Contro la sentenza proponeva appello la Firs in l.c.a Si costituivano la S. con i suoi figli, resistendo al gravame e impugnando incidentalmente la sentenza. L'Assitalia, costituendosi, aderiva all'appello della Firs. Le eredi del Pi. restavano contumaci. Il primo giudice. 2.2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata in data 24 febbraio 2009, la Corte di Appello di Roma, per quanto qui rileva 2.2.1. nello scrutinare la censura della Firs sull'affermazione della responsabilità esclusiva del Pi. , rilevava che ad essa aveva aderito l'Assitalia, così proponendo appello incidentale 2.2.2. in ordine al quantum, ritenendo fondata la relativa doglianza della Firs, riteneva doversi correggere la liquidazione del danno sulla base di criteri e parametri oggettivi di riferimento e di definiti elementi del conteggio, così pronunciandosi rispetto alle censure relative alle singole voci di danno a. nella liquidazione del danno morale, conseguente alla perdita della congiunta, afferma di volere utilizzare quale parametro di riferimento le tabelle in uso al tempo della sentenza impugnata, apportandovi il fattore correttivo di personalizzazione, giustificato dalla giovane et della vittima, appena diciottenne all'epoca della morte l'importo dovuto ai genitori ammonterà ad Euro 145.000, e quello riconoscibile ai fratelli, ad Euro 64.000. Poiché da tali somme deve sottrarsi, previa rivalutazione, alla data della sentenza impugnata e secondo un criterio equitativo, che tenga conto dell'effettiva perdita del potere d'acquisto della moneta, la provvisionale imposta dal giudice penale e pagata, nel 1989, nella misura di cinque milioni di lire per ciascuno dei quattro danneggiati si ottengono le rispettive somme di Euro 141.000 ed Euro 60.00 b. riconosce il danno biologico subito dalla giovane investita, nell'apprezzabile lasso di tempo intercorso tra le lesioni subite e la morte, risultando che la stessa, per effetto delle lesioni subite grave trauma cranico, frattura femore, frattura pube , che poi ne causarono la morte, rimase, in stato comatoso e di totale invalidità, ricoverata presso il reparto rianimazione dell'Ospedale Civico di OMISSIS e poi presso l'ospedale OMISSIS il danno biologico si poteva quindi quantificare, secondo i parametri tabellari, corretti con il fattore personale sopra indicato, in Euro 1.000 comma non riconosce, invece, il danno patrimoniale - invocato dai prossimi congiunti dello S. in forza di liquidazione equitativa delle perdite delle utilità economiche che avrebbero conseguito dall'attività che la piccola Ma. avrebbe svolto se sopravvissuta - perché esso, come già affermato dal primo giudice, mancava di prova, non potendosi questa risolvere nella semplice aspettativa di lavoro e di reddito connessa alla sopravvivenza della vittima, e mancando dati oggettivi dai quali si potesse ragionevolmente presumere che la stessa non solo avrebbe conseguito un reddito, ma avrebbe anche contribuito al mantenimento dei suoi familiari d. sulla somma complessiva riconosce dovuti gli interessi legali dall'epoca della liquidazione al soddisfacimento del credito. 2.2.3. Quanto alla questione dei massimali osserva che Tanto la Firs in liquidazione, quanto l'Assitalia nella qualità, censurano la sentenza per non aver contenuto la condanna nei loro confronti entro il limite, fissato in cento milioni di lire, del massimale, del quale il primo giudice dichiara di non poter tener conto dato che nessuna delle parti interessate ne ha provato la misura . Aggiunge che secondo un orientamento giurisprudenziale prevalente, non ricorre alcun onere per la parte che invochi il limite del massimale, di provarne l'esistenza e 1 ammontare, operando anzi, in tale caso, in cui il limite è determinato da atti di natura normativa, il principio iura novit curia, in base al quale è il giudice a dover acquisire tale conoscenza . riconosciuto che il massimale in specie coincide con l'importo indicato, tale verifica non produce tuttavia l'effetto prospettato nei confronti di nessuna delle due società, la cui condanna potrà infatti superare il limite suddetto, attraverso l'addebito ulteriore di interessi, rivalutazione e spese, dall'epoca del fatto e sino al soddisfacimento del credito, a causa della mala gestio, della quale entrambe, come si vedrà appresso, sono responsabili . Ritiene che, per l'attribuzione di tale maggior danno, non è necessaria una specifica domanda del danneggiato, apparendo sufficiente la richiesta di risarcimento integrale del danno, nella specie sin dall'origine proposta dai familiari della S. . L'ingiustificato ritardo nel pagamento delle somme dovute, anche nei limiti del massimale, e quindi il colpevole inadempimento, appariva poi evidente, stante l'immediata configurabilità, per l'assicuratore e poi per l'impresa designata, della responsabilità dell'investitore assicurato. La responsabilità per tale colpevole ritardo gravava sia sull'assicuratore, poi sottoposto a liquidazione, il quale, quando tale situazione sopravvenne, nel XXXX, aveva già protratto di ben nove anni il colpevole inadempimento, sia sull'impresa designata, dato che essa, da un canto, succedendo all'assicuratore, ne aveva assunto le obbligazioni e quindi anche quella connessa alla mala gestio, e che, dall'altro, aveva perpetuato l'inadempimento almeno sino alla condanna giudiziale qui censurata. Pertanto, condannava l'Assitalia e dichiarava l'obbligo di pagamento della Firs in l.c.a., relativamente al massimale maggiorato di interessi, rivalutazione e spese, decorrenti come in motivazione, su tale importo. 3. I prossimi congiunti della S. propongono ricorso per cassazione sulla base dei seguenti sette motivi. Resistono, ciascuno con proprio controricorso, la Firs e l'Assitalia, nelle rispettive qualità, e chiedono respingersi il ricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. I prossimi congiunti della S. e la Firs hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c 3.1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 numero 5 c.p.c. . La Corte di Appello, nonostante la mancata proposizione di appello principale od incidentale da parte degli eredi di Pi.Fr. , rimasti contumaci anche in 2 grado , ha pronunciato la riforma parziale della sentenza del Tribunale, indistintamente, anche nei confronti ed a beneficio degli stessi, perché, pur avendo dato atto della loro contumacia, non ha più considerato tale aspetto totalmente estraneo all'intera motivazione e nel dispositivo li ha condannati al pagamento, in solido con l'Assitalia quale impresa designata, al pagamento di una somma liquidata in misura notevolmente inferiore a quella determinata dal Tribunale mentre sul punto, in assenza dell'appello di detti eredi, si sarebbe formato il giudicato interno. Né i predetti avrebbero potuto beneficiare di alcuna riduzione, dato che l'obbligazione solidale passiva da luogo a rapporto processuale scindibile, con autonomo interesse di ciascun coobbligato all'impugnazione. Su tale punto, perciò, la sentenza di appello sarebbe inficiata da un evidentissimo vizio logico su questione decisiva quanto meno tra gli attori ed i contumaci , che non può che condurre alla cassazione della stessa, trattandosi di statuizione riduzione delle somme, già liquidate dal Tribunale, anche a beneficio dei contumaci non appellanti non sorrette da adeguata ed esplicita motivazione. 3.2. - Nullità della sentenza di secondo grado per violazione del giudicato interno art. 360 numero 4 c.p.c. , sempre per avere la Corte territoriale riformato la pronuncia del Tribunale anche per gli eredi Pi. ed in punto al quantum debeatur con consistente riduzione delle cifre liquidate in prime cure . Formula il seguente quesito di diritto se la riforma della sentenza del Tribunale di Frosinone riguardo agli eredi Pi. e relativamente al quantum debeatur era ed è preclusa in conseguenza della mancata proposizione di appello da parte degli stessi e del conseguente giudicato interno formatosi sul punto conseguentemente se la mancanza di qualsiasi statuizione al riguardo integri un'omessa pronuncia deducibile ex art. 360 numero 4 c.p.comma causa di nullità della sentenza . 3.2.1. I due motivi - che possono trattarsi congiuntamente, avendo ad oggetto, in sostanza, la medesima questione dell'effetto estensivo, o meno, dell'impugnazione dell'assicuratore anche all'assicurato - sono privi di pregio sotto ogni profilo. Impropriamente viene dedotto nel primo motivo un vizio motivazionale, senza formulare, peraltro, rispetto a detta censura, né un momento di sintesi, né un quesito di diritto. Del pari, il secondo motivo impropriamente lamenta un'omessa pronuncia e, comunque, un error in procedendo, in quanto la censura avrebbe dovuto più correttamente essere prospettata sotto il profilo della violazione del giudicato art. 324 c.p.c. , come soltanto accennato nell'intestazione del motivo, che non trova riscontro però in adeguati quesiti, i quali non si rivelano, pertanto, adeguatamente conferenti rispetto all'effettiva doglianza. Né viene prospettata la violazione dell'art. 1306 c.c 3.2.2. Senza contare che, comunque, nella specie, non è neanche prospettabile la formazione di un giudicato interno sulla posizione del danneggiante/assicurato. Infatti, nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, quando il danneggiato proponga azione diretta nei confronti dell'assicuratore, ai sensi dell'art. 18 legge 24.12.1969 numero 990, s'instaura un rapporto processuale trilatero ed inscindibile tra danneggiato, assicurato ed assicuratore con la conseguenza che la sentenza, la quale decide sull'appello proposto dall'assicuratore della R.C.A., spiega i propri effetti anche nei confronti dell'assicurato, sebbene quest'ultimo non abbia proposto appello incidentale Cass. numero 23735/2009 5279 del 2008 10693/1998 . 3.2.3. Invero, l'art. 23 della legge numero 990/1969, sull'assicurazione obbligatoria della R.C.A., stabilendo che, nel caso di azione diretta promossa dal danneggiato contro l'assicuratore, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno, configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, che trova giustificazione nell'esigenza di rafforzare la posizione processuale dell'assicuratore ai fini dell'opponibilità all'assicurato dell'accertamento della responsabilità Cass. numero 2552/91 , con la conseguenza che s'instaura una controversia che si svolge in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale e che abbraccia inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell'assicurato, sia il rapporto assicurativo Ne consegue che l'appello, ancorché proposto solo dall'assicuratore nei confronti del danneggiato avverso la sentenza che ha riconosciuto l'esclusiva responsabilità dell'assicurato, in ragione della inscindibilità del giudizio, investe il giudice di secondo grado, previa integrazione del contradditorio nei confronti dell'assicurato, del potere-dovere di riesaminare le risultanze istruttorie e di decidere il merito con un accertamento valevole nei confronti di tutte le parti, e, quindi, ugualmente nei confronti dell'assicuratore e dell'assicurato sent. numero 198/87 . Non rileva, in sostanza, che l'assicurato non abbia proposto appello, atteso che, vertendosi in tema di cause inscindibili, ai sensi degli artt. 331 e 334 c.p.c., l'impugnazione proposta da un litisconsorte rimette necessariamente in discussione, davanti al giudice dell'impugnazione, anche la posizione dei litisconsorti che non abbiano impugnato, così evitando difformità di giudicati. Infatti, come confermato dalla giurisprudenza più recente Cass. numero 5737/2009 , anche a Sezioni Unite Cass. S.U. numero 10311/2006 , in tema di assicurazione obbligatoria della R.C.A., qualora il danneggiato evochi in giudizio l'assicuratore ed il responsabile assicurato, proponendo domande risarcitorie nei confronti di entrambi, le domande medesime si trovano in rapporto di connessione e dipendenza reciproche, trovando entrambe presupposti comuni nell'accertamento della responsabilità dell'assicurato, con la conseguenza che l'impugnazione della sentenza per un capo attinente a detti presupposti comuni, da qualunque parte ed in confronto di qualsiasi parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell'intera pronuncia con riguardo a tutti i litisconsorti. 3.3. - Nullità della sentenza per omessa pronuncia art. 112 c.p.c. sulle eccezioni di mancata proposizione e, comunque, di inesistenza/nullità/inammissibilità dell'appello incidentale della SpA Assitalia art. 360 numero 4 c.p.c. - Nullità della sentenza per violazione del giudicato interno art. 360 numero 4 c.p.c. . Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado nei punti relativi al quantum debeatur ed all'esistenza ed opponibilità di un asserito massimale minimo di legge anche a vantaggio della SpA Assitalia e pur non esaminando le eccezioni di mancata proposizione di appello incidentale adopera di detta Impresa designata e, comunque, di inesistenza/nullità dello stesso per difetto di valida procura, limitandosi ad affermare che alla prima delle censure mosse dalla Firs quella riguardante solo Vari ha aderito la Assitalia, così implicitamente proponendo appello incidentale . Ove dovesse ritenersi che la sentenza impugnata, pur in mancanza di una specifica motivazione, contenga il rigetto implicito delle eccezioni degli attori e che la censura prospettata integri il vizio di cui al numero 5 dell'art. 360 c.p.c., i ricorrenti precisano che fatto controverso in relazione al quale la motivazione è palesemente omessa, insufficiente e contraddittoria è la proposizione o meno di valida e rituale impugnazione incidentale da parte della Assitalia, nonché la nullità o meno della stessa per difetto di valida procura e per inesistenza dei poteri rappresentativi in capo al soggetto che l'ha rilasciata. Le ragioni per cui detta motivazione è inidonea a giustificare la decisione su di un punto decisivo perlomeno tra attori ed Impresa designata sono quelle, esposte nella trattazione del motivo, che testimoniano la inesistenza rectius la mancata proposizione e la nullità dell'appello incidentale dell'Assitalia, che, ove dichiarate, avrebbero comportato un esito differente della lite. Ove, invece, effettivamente il presente motivo rientri nell'ipotesi di cui all'art. 360 numero 4 c.p.c, chiedono a questa Corte se la riforma della sentenza di I grado, quanto all'Assitalia e relativamente alla quantificazione dei danni ed all'inesistenza di un massimale minimo legale, era ed è preclusa dalla mancanza di un valido e rituale appello incidentale che la Corte di Appello ha ritenuto implicitamente formulato per mera e generica adesione a quello principale e nonostante fosse pure privo di una sufficiente esposizione del fatto, di una specificata articolazione dei motivi e di una chiara volontà di impugnare e, comunque, dalla nullità dello stesso per difetto di valida procura apposta a margine del 4 foglio del ricorso in riassunzione in prime cure degli attori e per inesistenza degli indimostrati e contestati poteri del soggetto che l'ha rilasciata e conseguentemente se la mancata statuizione sulle eccezioni degli attori integri il vizio di omessa pronuncia deducibile ex art. 360 numero 4 c.p.comma causa di nullità della sentenza . 3.3.1. Anche questa censura si rivela priva di pregio. Pure in essa viene impropriamente dedotta un'omessa pronuncia, con conseguente inconferenza del quesito di diritto improntato a tale profilo della doglianza. In ogni caso, anche in relazione all'assunta mancata o viziata proposizione di appello incidentale da parte dell'impresa in I.c.a., si deve escludere che sia prospettabile una violazione del giudicato interno. 3.3.2. Si deve, infatti, ribadire che, in materia di assicurazione obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, l'impresa designata assume, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, la stessa posizione dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa e può limitarsi a far propri i motivi di appello proposti dalla sua dante causa senza necessità di proporre un proprio appello incidentale Cass. 1 agosto 2001 numero 10490, che, sulla base di tale principio, ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'impresa designata sulla base dei motivi dedotti in appello dall'impresa in l.c.a. e da quella fatti propri nello stesso senso anche Cass. numero 22316 del 2007, in motivazione . 3.3.3. Infatti, in virtù dell'art. 25 l. 24.12.1969, numero 990, si realizza una successione a titolo particolare nel diritto controverso da parte dell'impresa designata rispetto all'impresa posta in l.c.a., la quale non può, però, essere estromessa dal giudizio Cass. 25.7.1995, numero 8092 Cass. 26.6.1993, numero 7087 Cass. 14.1.1989, numero 135 Cass.4.7.1985., numero 4042 . È vero che il comma terzo, del citato art. 25 1. numero 990/1969 statuisce che L'impresa designata può intervenire volontariamente nel processo, anche, in grado di appello, proponendo nella comparsa di costituzione, le istanze difese e prove che ritiene di suo interesse . Sennonché, detto intervento non è inquadratale nella disciplina di cui agli artt. 105 e 344 c.p.c., una volta ritenuto che nella fattispecie si è verificata una successione a titolo particolare, bensì in quella di cui all'art. 111, comma 3, c.p.c Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che interviene nel processo in base a quest'ultima norma, non è terzo in senso proprio e sostanziale ma è l'effettivo titolare dei diritto in contestazione, tale divenuto nel corso del processo, ed assume non una posizione distinta bensì la stessa posizione del suo dante causa, di modo che mentre quest'ultimo, sia pur sull'accordo delle parti, può anche essere estromesso dal giudizio, il successore gode di tutte le facoltà proprie della parte e, così come la sentenza spiega direttamente effetto nei suoi confronti, egli è anche direttamente legittimato ad impugnarla, Ne deriva che assumendo l'impresa designata la stessa posizione del suo dante causa l'impresa in l.c.a. , per effetto della predetta successione a titolo particolare, ben poteva limitarsi a far propri i motivi di appello proposti dalla l.c.a., non richiedendosi che essa proponesse un proprio appello incidentale. 3.4. - Nullità della sentenza di 2 grado per omessa pronuncia art. 112 c.p.c. sull'appello incidentale motivo I, seconda parte, riportato nel ricorso per cassazione degli attori/odierni ricorrenti in punto alla chiesta liquidazione, pure, del danno biologico subito in proprio per il decesso della congiunta art. 360 numero 4 c.p.c. Ove detto vizio fosse ritenuto compreso nella fattispecie di cui al numero 5 dell'art. 360 c.p.comma perché la sentenza di 2 grado, pur in difetto di motivazione, conterrebbe il rigetto tacito di tale pretesa o perché detta pronuncia sarebbe incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa degli attori , i ricorrenti precisano che fatto controverso è il riconoscimento o meno ad essi del danno biologico subito in proprio per la perdita della congiunta, che la questione è decisiva investendo una domanda alla stato pretermessa o comunque rigettata ed idonea a comportare su tale capo un esito diverso della lite e che la motivazione, proprio perché totalmente mancante o non esplicitata, è inidonea giustificare la decisione. Invece, questa corte dovesse qualificare il vizio dedotto come violazione dell'art. 360 numero 4 c.p.c., formulano il seguente quesito di diritto se, in relazione alle circostanze del caso concreto, competa ai congiunti padre, madre e fratelli della giovane vittima il risarcimento, pure, del danno biologico conseguente alla morte della congiunta e conseguentemente se la mancanza di qualunque statuizione in proposito integri omessa pronuncia deducibile ex art. 360 numero 4 c.p.comma causa di nullità della sentenza . In ogni caso non potrebbe non conseguirne l'accoglimento del I motivo dell'appello incidentale degli attori, previa, ove occorra, c.t.u. medica sulla sussistenza ed incidenza di tale danno biologico richiesta istruttoria insistita nelle conclusioni sia di I che di II grado . 3.4.1. Anche questa censura non coglie nel segno. Il quesito non rispetta il paradigma prefigurato dall'art. 366 bis c.p.c., come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte non contiene adeguati riferimenti in fatto né circa l'oggetto della questione controversa, né la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso , né espone chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s'invoca l'applicazione, si limita ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa Cass. S.U. 11.3.2008 numero 6420 . Del resto, il quesito di diritto non può risolversi - come nell'ipotesi - in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta Cass. S.U. 2/12/2008 numero 28536 . 3.4.2. Senza contare che, come noto, la proposizione di una domanda inammissibile non determina nel giudice l'obbligo di provvedere sulla stessa tra le molte, Cass. numero 10489/2009 6094/2006 16033/2004 2080/2001 . Nella specie, la domanda era intrinsecamente inammissibile perché dalla sua stessa formulazione emerge la mancanza di idonea allegazione probatoria, riposando sulla richiesta di una consulenza d'ufficio senza specificare se e quali fossero le basi della richiesta di danno biologico in proprio per la morte della giovane congiunta quale la certificazione medica di eventuali affezioni psico-fisiche conseguenti a tale perdita . Si deve, invero, confermare il consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato a tal fine il giudice può far ricorso a presunzioni, ma il danneggiato dovrà comunque allegare tutti gli elementi idonei a fornire, nella concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fato ignoto Cass. S.U. 11 novembre 2008, numero 26973 e, per la giurisprudenza anteriore, Cass. numero 20987 del 2007, e successiva, Cass. numero 10527/2011 . 3.5. - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 numero 5 c.p.c. , per avere la Corte territoriale rigettato l'appello incidentale degli odierni ricorrenti nel punto motivo I relativo alla chiesta liquidazione, pure, del danno patrimoniale subito in conseguenza della morte della povera Ma. , respinta in primo grado sul presupposto che non era stata fornita alcuna prova che gli istanti avessero subito detto danno. Nel caso de qua, fatto controverso11 è la spettanza o meno, in considerazione delle circostanze del caso concreto, del danno patrimoniale subito dagli attori e che le ragioni che testimoniamo la inidoneità della motivazione della sentenza di 2 grado analiticamente esposte pag. da 41 a 48 del ricorso consistono, pure, nella mancata considerazione proprio di tali circostanze. 3.5.1. È palese l'inammissibilità della censura in esame, a partire dall'inidoneità del momento di sintesi, formulato in relazione al denunziato vizio motivazionale in ordine al rigetto - perché non provata - della richiesta di riconoscimento del danno patrimoniale futuro, I motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione a del fatto controverso b degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione c degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria Cass. 17/7/2008 numero 19769, in motivazione . Orbene, nel caso, con riferimento al motivo in esame, le parti non hanno formulato un idoneo momento di sintesi. Difetta, infatti, la chiara indicazione delle ragioni che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall'art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile v. Cass., 18/7/2007, numero 16002 e non è operabile attraverso un semplice rinvio alla pur articolata trattazione del motivo. L'individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all'attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un'inammissibile diversa lettura delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata. Si deve, infatti, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell'art. 366 bis cod. procomma civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell'art. 360 numero 5 cod. procomma civ., la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d'inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione nella specie, in ordine alla mancata prova del danno patrimoniale, che non può mai essere in re ipsa v. precedente punto 2.2.2.C. , mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all'incidenza rispetto alla decisione Cass. numero 4589/09 . 3.6. - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 numero 5 c.p.c. , lamentando la generica quantificazione dei danni operata dai giudici di merito. In particolare sussisterebbe detto vizio per la mancata quantificazione del danno morale subito in proprio dalla vittima e per l'operata rivalutazione della provvisionale. Ove, invece, la Corte dovesse ritenere prospettabile l'ipotesi di nullità della sentenza per violazione del giudicato interno formatosi su tali elementi, i ricorrenti formulano il seguente quesito se sussista o meno violazione del giudicato, laddove la Corte di Appello, nonostante l'accertamento e la liquidazione da parte del Tribunale, del danno morale subito dalla vittima e trasmessosi agli eredi , nonché la mancata rivalutazione sempre da parte del Tribunale della provvisionale, da un lato non ha provveduto a quantificare detto pregiudizio e. dall'altro, ha rivalutato le somme percette dai danneggiati a titolo di provvisionale e ciò in difetto di valido gravame, sui punti, da parte della Firs . Inoltre, i ricorrenti lamentano che anche la determinazione degli accessori sarebbe stata operata dalla Corte territoriale in violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatum , perché avrebbe dovuto limitare il riesame al thema del dies a quo degli interessi legali sulla somma rivalutata integralmente e definitivamente . Anche tale aspetto del presente motivo involgerebbe un vizio di motivazione della sentenza di 2 grado, pure contraddittoria in quanto la stessa Corte di Appello, nel trattare le conseguenze della responsabilità da mala gestio, aveva fatto riferimento a criteri e termini ben diversi, quali l'addebito ulteriore di interessi, rivalutazione e spese, dall'epoca del fatto e sino al soddisfacimento del credito . Anche la statuizione concernente rivalutazione ed interessi e relativi termini , però, potrebbe ritenersi viziata da error in procedendo per violazione di giudicato interno art. 360 numero 4 c.p.c. il che, pure, viene dedotto, con la formulazione al riguardo del seguente quesito se sussista in tal caso con conseguente nullità della pronuncia o meno violazione del giudicato interno laddove la Corte di Appello, nonostante la mancata proposizione, sul punto, di appello della Firs, ha riformato la sentenza di 1 grado nel capo relativo alla spettanza del danno da integrale svalutazione monetaria su tutte le somme liquidate, riconosciuto oltre agli interessi legali su detti importi rivalutati dal Tribunale con decorrenza dal dr dell'evento e sino alla data della decisione Anche ove si trattasse soltanto di vizio di motivazione, evidenti sarebbero le incongruenze della decisione di 2 grado, in quanto, onde evitare una non meglio precisata duplicazione della rivalutazione , la Corte di Appello avrebbe inteso reintegrare il cosiddetto lucro cessante con la semplice attribuzione dell'interesse compensativo pag. 8 sentenza e ciò, con meccanismo poco chiaro, tenendo presenti le somme liquidate sulla scorta delle tabelle in uso al tempo della sentenza impugnata pag. 7 sentenza , devalutate e poi rivalutate pag. 8 sentenza . Così, la Corte territoriale avrebbe attribuito agli attori somme notevolmente inferiori a quelle loro spettanti, che, invece, avrebbero dovuto quantificarsi conformemente alle istanze da essi ribadite con il IV motivo dell'appello incidentale completamente trascurato nella sentenza di appello e con i principi richiamati in questo motivo, rispetto al quale, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., che fatto controverso è quello attinente alla quantificazione delle somme sorte ed accessori liquidate agli attori ed ai criteri applicati dalla Corte di Appello e che le ragioni sopra analiticamente esplicitate mostrano come, in assenza dei vizi lamentati, la soluzione della controversia sarebbe stata diversa. 3.6.1. Il motivo è inammissibile, sia in considerazione dell'inidoneità del quesito di diritto e del momento di sintesi su quest'ultimo si richiama quanto espresso in ordine al quinto motivo . Non vengono adeguatamente sintetizzati nel quesito gli elementi in fatto rispetto ai quali si è sviluppata la controversia, sui punti oggetto della censura, né vengono indicate le regole di diritto che la Corte avrebbe erroneamente applicato e solo genericamente si indicano quelle di cui s'invoca l'applicazione. In ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale, non si indicano le ragioni che renderebbero illogica la pur esistente decisione sul punto v. precedente punto 2.2.2.a. . 3.6.2. Per quanto concerne la determinazione degli accessori, la censura è formulata in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione. Tale parte del motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Non è infatti sufficiente un'affermazione apodittica nella specie, la semplice e generica invocazione di una diversa decorrenza di determinate voci accessorie di danno, che avrebbe determinato la liquidazione di importi notevolmente inferiori a quelli invocati nel motivo di gravame pertinente, senza idoneo raffronto con il contenuto dell'impugnata sentenza e non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata Cass. 31 maggio 2006 numero 12984 16 gennaio 2007 numero 828 nonché Cass. 18 aprile 2007 numero 9245 e 16 luglio 2007 numero 15768, in motivazione . Proprio con riguardo agli accessori dei crediti risarcitori ed ai fini dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, questa Corte ha affermato che, poiché l'interesse processuale all'impugnazione deve essere concreto e non teorico e va provato dal ricorrente, questi deve necessariamente indicare quale rivalutazione avrebbe dovuto essere correttamente effettuata, solo così potendo dimostrare che quella operata dal giudice sia quantitativamente inferiore e, quindi, far risaltare il suo interesse alla censura argomento desumibile da Cass. numero 376 del 2005 e numero 14115 del 20110, in motivazione e che è riportatale anche agli interessi ed alle relative decorrenze. 3.7. - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 numero 5 c.p.c. relativo all'esistenza e, comunque, all'applicabilità al più nei confronti della Firs cfr. motivi I - III che precedono del massimale di legge o di polizza. Ove la mancanza di un'espressa statuizione della Corte di Appello circa l'applicabilità al più del massimale di polizza ove prodotto dalla controparte , fosse ritenuta concretare l'ipotesi, regolata dall'art. 360 numero 4 c.p.c., della omessa pronuncia in relazione all'art. 112 c.p.c. e della conseguente nullità della pronuncia, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto se concreti o meno omessa pronuncia la mancanza di un'espressa statuizione della Corte di Appello sul thema dell'eventuale applicabilità, al più, del massimale di polizza in luogo di quello minimo legale e, in caso affermativo, se la stessa determini nullità della pronuncia Parimenti, nell'ipotesi in cui la censura riguardante l'erronea applicazione, per tutti i danneggiati in proprio, di un unico massimale previsto invece per ogni persona danneggiata concretasse, ai sensi dell'art. 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 C.C. e 185 C.P., formulano il seguente quesito se l'avere la Corte di Appello omesso di distinguere tra danni subiti dalla vittima e pregiudizi riportati in proprio dai 4 attori, nonché nell'avere conseguentemente ritenuto applicabile il limite complessivo del massimale per una sola persona danneggiata anziché quello, operante singolarmente, per ciascuno dei 4 danneggiati in proprio , concreti violazione e falsa applicazione dell'art. 2056 C.C. in tema di valutazione dei danni e dell'art. 185 C.P. in punto a risarcimento dei pregiudizi da fatto-reato . 3.7.1. Anche questa censura è priva di pregio sotto ogni profilo. È innanzi tutto inammissibile l'ultima parte della censura, in quanto formulata in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non specificandosi, né nel quesito di diritto, né nella trattazione del motivo, se, dove, come e quando fosse stata rappresentata alla Corte territoriale la questione dell'applicazione del limite del massimale in relazione non globalmente a tutti i danneggiati, bensì per ciascuno di essi, dovendolo così, nella specie, moltiplicare per quattro. 3.7.2. Seppur impropriamente rubricato quale vizio motivazionale - deducendo inammissibilmente la ricorrenza dei tre profili dell'art. 360 numero 5 e non fornendo comunque l'indicazione delle ragioni per le quali la motivazione si rivelerebbe illogica o inidonea a sorreggere la decisione - il motivo non coglie neanche nel segno quanto alla lamentata omessa pronuncia in ordine alla prospettata in primo grado e riproposta in secondo grado con il secondo motivo di appello incidentale applicabilità del massimale di polizza , operante nei confronti dell'impresa assicuratrice poi ammessa alla l.c.a., anziché di quello legale, previsto per il debito dell'impresa designata, ritenuto operante nella specie dalla Corte territoriale. 3.7.3. Questa, pertanto, non è venuta meno al proprio dovere di pronunciare in merito a detta questione e la motivazione è conforme a diritto. Si deve, infatti, ribadire che, in caso di liquidazione coatta amministrativa dell'assicuratore della R.C.A., l'eventuale danno da mala gestio o da colpevole ritardo al cui risarcimento sia tenuta l'impresa cessionaria o designata va calcolato sulla base del massimale minimo legale di cui all'art. 21 legge 24 dicembre 1969 numero 990, e non sul massimale eventualmente superiore previsto dalla polizza, anche con riferimento al danno causato dall'assicuratore allorché era in bonis, atteso che detto danno costituisce un'obbligazione accessoria rispetto al debito principale da indennizzo e che è così rispettata la ratio della previsione dei massimali minimi di legge, posti a tutela non solo del danneggiato, ma anche del Fondo di garanzia Cass. numero 18833 del 2003 3380/2005, in motivazione v. anche Cass. numero 5233 del 2006 e 16131 del 2009 . L'articolata e convincente motivazione delle sentenze del 2003 e 2005 consente di ritenere ormai superato il divergente orientamento invocato dai ricorrenti Cass. numero 7298 del 1998, riproposto poi, tra le altre, da Cass. numero 4733 del 2001 . 3.7.4. Invero, poiché il maggior danno da meda gestio o colpevole ritardo viene considerato come obbligazione accessoria rispetto al debito principale da indennizzo Cass. S.U. 4 luglio 1985, numero 4042 Cass. 10 ottobre 1995, numero 10580 Cass. 23 gennaio 1995, numero 756 Cass. 14 dicembre 1994, numero 10688 , in ogni caso la base di calcolo dello stesso non può che essere costituita dal debito principale, a cui è tenuto il debitore nei confronti del quale si agisce. Ciò non solo con riguardo alla mala gestio imputabile all'impresa cessionaria, ed al cui risarcimento essa è tenuta per fatto proprio, ma anche con riferimento a quella imputabile all'assicuratore in l.c.a., maturata durante il periodo in cui era in bonis, e nella quale posizione debitoria l'impresa designata è succeduta ope legis. Infatti l'accessorietà del debito da mala gestio o colpevole ritardo, rispetto al debito principale da risarcimento, comporta che, se quest'ultima posizione debitoria, nella quale egualmente l'impresa cessionaria nella qualità succede ope legis, è falcidiata nei limiti del massimale minimo di legge, detto nuovo limite costituisce anche la base per il calcolo di ogni obbligazione accessoria, dovuta dall'impresa designata, indipendentemente se maturata per fatto proprio o dell'assicuratore, cui è succeduta. Il credito principale da risarcimento, nella parte eccedente il limite di cui all'art. 21 L. numero 990 del 1969, ed il suo accessorio, costituito dal danno da mala gestio, maturato nei confronti dell'assicuratore in bonis, per la parte eccedente quella come sopra liquidata e cioè calcolata sulla parte eccedente il massimale minimo di polizza , potranno essere soddisfatti solo nei limiti e con le modalità della procedura concorsuale nei confronti dell'assicuratore in L.c.a., ma non nei confronti dell'impresa designata nella qualità di rappresentante ex lege del Fondo di garanzia. Solo in questo modo si rispetta la rado che ha ispirato il legislatore a porre dei massimali minimi, i quali, se da una parte sono a tutela della posizione del danneggiato, dall'altra sono anche a tutela della posizione del Fondo di garanzia, che altrimenti si troverebbe esposto a possibili risarcimenti di entità non preventivabili, poiché non agganciati ad un limite predisposto dalla legge, sia pure con rinvio a decreti di adeguamento, ma rimesso alle volontà delle parti, quale si è manifestata nel fissare il massimale di polizza. Né si intenderebbe la ragione per cui, mentre il massimale di polizza, se superiore al massimale minimo di legge, è inopponibile al Fondo di Garanzia, lo stesso diverrebbe rilevante per calcolare il risarcimento del danno da colpevole ritardo cui è tenuto il Fondo, sia pure a titolo successorio nei confronti dell'impresa in L.c.a., poiché identica è la posizione del Fondo sia per il debito principale da indennizzo, che per quello accessorio causato dal colpevole ritardo. 3.7.5. Conforme a diritto si rivela la decisione impugnata anche laddove ha ritenuto che i decreti del Presidente della Repubblica, che aggiornano gli importi dei massimali minimi di legge previsti dagli artt. 9, secondo comma, e 21, terzo comma, della legge 24 dicembre 1969, numero 990, hanno natura di curia pertanto, in caso di sottoposizione dell'impresa assicuratrice a l.c.a., l'impresa designata che intenda far valere nei confronti del danneggiato i limiti alla propria responsabilità derivanti dalle predette disposizioni, non è tenuta a fornire la prova dell'importo del massimale minimo di legge applicabile Cass. numero 21057/2009 5226/2006 10479/2004 3807/2004 4485/2003 , così dovendosi ritenere ormai superato il divergente orientamento invocato dai ricorrenti. 4. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, nei rapporti con le parti costituite. Nulla per le spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio in favore delle parti costituite, che liquida, in favore della FIRS in Euro 9.200,00 di cui Euro 9.000,00 per onorari, e in favore della General Business Solutions in Euro 6.700,00, di cui Euro 6.500,00 per onorario, oltre, per ciascuna di esse, spese generali ed accessori di legge.