L’appartamento è inutilizzabile a causa delle infiltrazioni: il condominio deve rimborsare le spese del temporaneo trasferimento e le riparazioni

Se la responsabilità del danno è attribuibile al condominio, il proprietario deve essere risarcito anche dei canoni di locazione versati per l’immobile in cui è stato costretto ad abitare provvisoriamente durante lo svolgimento degli interventi di sistemazione.

La tematica delle infiltrazioni d’acqua si presenta estremamente variegata e complessa. La frequenza con cui l'appartamento del singolo condomino viene danneggiato da tale fenomeno deriva principalmente da rottura di tubazioni condominiali o, in genere, da strutture comuni dell’edificio muri perimetrali, cortili condominiali, terrazzi . Spesso però non sono facilmente individuabili tali cause e pertanto è necessario una preventiva ispezione della parti danneggiate. Si spiega allora, la copiosa giurisprudenza che ormai si è formata sul tema. La vicenda. A causa delle infiltrazioni, con contestuale umidità provenienti dall’intercapedine di un immobile confinante, l’unità immobiliare diventa inabitabile. I danni sono attribuibili alla mancata manutenzione. Infatti, una volta effettuati i lavori, le infiltrazioni vengono eliminate. Il risarcimento. Nel caso di specie la Cassazione, con la sentenza n. 6128/12 depositata il 19 aprile scorso, specifica che, oltre alle fatture delle spese d’intervento sostenute, il proprietario deve essere risarcito anche dei canoni di locazione versati per l’appartamento in cui è stato costretto ad abitare provvisoriamente durante lo svolgimento degli interventi di riparazione. Pertanto, spetta al condominio rifondere le spese perché si è accertato che le infiltrazioni d’acqua provengono da un’area comune che doveva essere ispezionabile e che invece risultava inaccessibile prima dei lavori. L’umidità scompare solo alla fine delle opere di impermeabilizzazione, areazione e canalizzazione. Inoltre, il condominio non può sottrarsi al pagamento dei canoni di locazione pagati dal condomino danneggiato. Il criterio di imputazione della responsabilità . La decisione in rassegna ci consente di affrontare anche il rapporto intercorrente tra la responsabilità e il danno cagionato da cose in custodia, che si fonda su una relazione intercorrente tra l’attività del custode e la cosa danneggiata. Il custode è colui che ha l'effettivo potere sulla cosa, ovvero il proprietario, ma anche il semplice possessore o anche il detentore della cosa. Il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia è la disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa che comporti il potere-dovere di intervenire sulla stessa. Quindi, sotto l’aspetto prettamente tecnico-giuridico va precisato che la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia, stabilita dall'art. 2051 c.c., si fonda sulla relazione intercorrente tra il soggetto e la cosa dannosa. La responsabilità risiede nel mancato intervento che si concretizza in un comportamento omissivo da cui può scaturire il danno. Nella fattispecie, in tema di ripartizione dell'onere della prova, al condomino spetta provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il condominio, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno - anche il comportamento del danneggiato - che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'assoluta eccezionalità. È il danneggiato che deve provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno . Concludendo, l’unico limite che si può avanzare è che la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il danno sia provocato dal dinamismo connaturale alla cosa stessa, ancorché quest'ultima si sia inserita in un processo dannoso provocato da agenti esterni. È comunque onere del danneggiato provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, anche limitatamente alla circostanza che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione del bene. La sentenza analizzata, stabilisce che nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua nella singola unità immobiliare determinate dal deflusso proveniente da un’intercapedine fra due edifici che dovrebbe essere sempre ispezionabile e che invece non è mai stata soggetta a manutenzione, il condominio deve rifondere al proprietario esclusivo tutti i danni scaturiti, perché la colpa è ascrivibile alle infiltrazioni d’acqua derivanti da un’intercapedine che non sono state mai sottoposte a manutenzione mediante sistematiche ispezioni.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 gennaio – 19 aprile 2012, n. 6128 Presidente Schettino – Relatore Bucciante Svolgimento del processo Con sentenza n. 167/2005 il Tribunale di Genova - adito da D.O. , M F. e F.S. nei confronti del condominio dell'edificio sito in via omissis in quella città - respinse la domanda degli attori, intesa ad ottenere la condanna del convenuto al risarcimento dei danni conseguenti a infiltrazioni di umidità in un loro immobile, provenienti dal limitrofo fabbricato condominiale. Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata riformata dalla Corte d'appello di Genova, che con sentenza n. 1250/2010 ha condannato il condominio al risarcimento dei danni, nella misura di 11.251,35 Euro, con rivalutazione monetaria e interessi. Il condominio dell'edificio sito in via omissis ha proposto ricorso per cassazione, in base a cinque motivi. D.O. , M F. e S F. non hanno svolto attività difensive nel giudizio di legittimità. Motivi della decisione I motivi addotti a sostegno del ricorso attengono ad accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, insindacabili in questa sede se non sotto i profili dell'omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da tali vizi la sentenza impugnata è del tutto immune, poiché la Corte d'appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione. In particolare, a proposito dell' an debeatur , ha argomentatamente spiegato il perché ha ritenuto - nonostante il giudizio di sola probabilità espresso sul punto dal consulente tecnico di ufficio - che la causa delle infiltrazioni di umidità manifestatesi nell'immobile di O D. , F.M. e F.S. risiedesse nella mancanza di manutenzione dello spazio posto tra i due fabbricati, che il condominio avrebbe dovuto rendere ispezionabile ed accessibile, per poter evitare il ristagno di acque che vi si verificava, con conseguente loro deflusso verso la proprietà limitrofa inconvenienti che infatti erano cessata dopo i lavori di impermeabilizzazione, aerazione e canalizzazione che finalmente nel 1997 il condominio stesso aveva eseguito in quell'intercapedine. Relativamente poi al quantum, il giudice di secondo grado ha chiarito i motivi per cui competeva agli appellanti il rimborso sia delle spese risultanti dalle fatture da loro prodotte escluse quelle per le opere di rifacimento di un solaio, la cui lesione non era riferibile alle infiltrazioni sia dei canoni di locazione che avevano pagato per fruire di un altro alloggio durante i lavori di riparazione, poiché il loro era stato reso interamente inabitabile dall'umidità, i cui effetti si erano estesi anche agli ambienti non direttamente interessati. I contrarr assunti prospettati nel ricorso non possono costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che non consentono a questa Corte di compiere le valutazioni prettamente di merito che il condominio pretende di demandarle. Sono tali quelle che concernono l'inattendibilità delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, in quanto espletata quando lo stato dei luoghi era stato modificato la plausibilità delle possibilità alternative circa la causa delle infiltrazioni l'irrilevanza della loro cessazione dopo le opere di pavimentazione e convogliamento eseguiti nel 1997 l'avvenuta esecuzione di opere anche nell'appartamento di D.O. , F.M. e S F. . Vanno altresì disattese le ulteriori deduzioni del ricorrente. L'esistenza delle infiltrazioni era un dato acquisito e incontroverso, mentre l'individuazione della loro causa richiedeva particolari competenze tecniche, sicché la consulenza disposta dalla Corte d'appello non può essere considerata di carattere esplorativo, come il condominio sostiene. Essere stata la domanda degli attori accolta nel presupposto che l'umidità provenisse da acqua ristagnate - anziché corrente, come avevano prospettato nel promuovere la causa - non comporta l'ultrapetizione lamentata dal ricorrente, essendosi provveduto sul petitum come formulato ab initio. Che l'intercapedine in realtà appartenesse non al condominio, ma a O D. , M F. e F.S. , è questione che non è stata affrontata nella sentenza impugnata e che il ricorrente non deduce di aver posto nel giudizio a quo, sicché non può avere ingresso in questa sede. Il ricorso viene pertanto rigettato. Non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale gli intimati non hanno svolto attività difensive. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.